Ciao, sono Stefania, ho 38 anni e da un paio d’anni mi sono
in messa in testa di fare la scrittrice. In realtà scrivo da sempre, è l’unica
cosa che non ho mai smesso di fare; semplicemente da qualche tempo ho iniziato
a pubblicare ciò che scrivo.
Vivo a Milano con la mia adorata famiglia e conduco una vita piuttosto normale. Voglio sottolineare questo perché da quando ho iniziato a pubblicare in molti pensano che io abbia una Supervita! Invece ho una vita come quella di qualunque mamma lavoratrice: ho due figlie piccole che mi impegnano parecchio, molto più del lavoro in ufficio, ma grazie all’aiuto dei nonni e di un marito molto presente riesco a gestire senza impazzire del tutto! Perché a volte penso di essere davvero un po’ matta. Spesso (per non dire sempre) sono in un posto ma con la testa sono altrove, e ho come la sensazione di vivere più vite contemporaneamente, su dimensioni differenti. Questa credo sia la mia caratteristica principale: che sono sempre un po’ stralunata.
Vivo a Milano con la mia adorata famiglia e conduco una vita piuttosto normale. Voglio sottolineare questo perché da quando ho iniziato a pubblicare in molti pensano che io abbia una Supervita! Invece ho una vita come quella di qualunque mamma lavoratrice: ho due figlie piccole che mi impegnano parecchio, molto più del lavoro in ufficio, ma grazie all’aiuto dei nonni e di un marito molto presente riesco a gestire senza impazzire del tutto! Perché a volte penso di essere davvero un po’ matta. Spesso (per non dire sempre) sono in un posto ma con la testa sono altrove, e ho come la sensazione di vivere più vite contemporaneamente, su dimensioni differenti. Questa credo sia la mia caratteristica principale: che sono sempre un po’ stralunata.
Ami lo sport, in
particolar modo la pallavolo che hai frequentato anche a livello agonistico, e
i viaggi. Citando testualmente le tue parole ‘… fosse per me girerei il mondo.’
Da dove nasce questa tua passione? C’è qualche viaggio in particolare che
porterai sempre nel cuore?
Amo lo sport,
si, anche se da quando sono diventata mamma ho smesso di praticarlo. Ho smesso
di fare molte cose da quando esistono quelle due piccole pesti! Dai dodici ai diciotto anni ho giocato a pallavolo, a livello agonistico. Avevo un grande futuro davanti, peccato sia sopraggiunto un problema piuttosto grave alla schiena che mi ha costretta a ritirarmi precocemente. Poi ho ripreso da più grandicella, ma solo per divertirmi un paio di sere alla settimana con le compagne di università, per poi smettere definitivamente con la nascita della mia prima figlia. Ma quando mi capita di entrare in una palestra non nego che la tentazione di prendere una palla e scagliarla con tutte le mie forze dall’altra parte del campo è forte…
E in effetti non escludo di riprendere a giocare un giorno.
Un’altra cosa che amo molto, e che fortunatamente non ho ancora smesso di fare, è viaggiare. Ho iniziato relativamente tardi, più che a viaggiare a conoscere posti nuovi. Perché viaggiare ho viaggiato sempre: sono nata e cresciuta a Milano ma i miei genitori sono calabresi e siciliani, per cui ogni anno mi ritrovavo a percorre l’Italia intera, in treno o in auto, per andare a trovare i miei nonni.
E’ a ventisette anni, però, che ho iniziato a girare il mondo! A quell’età presi per la prima volta l’aereo e come sempre, essendo un tipo che non conosce le mezze misure, affrontai venti ore di volo per raggiungere la California! Andai a Los Angeles con la scusa dell’inglese ma in realtà volevo solo fare un’esperienza lontana da casa, immersa in una nuova realtà. Rimasi qualche mese in quel posto lontano, girandolo in lungo e in largo, spingendomi fino allo Utah per raggiungere il Grand Canyon, uno dei posti più incantevoli dell’universo. Mi mantenevo lavorando due giorni a settimana come baby-sitter presso una famiglia italoamericana e per il resto fingevo di studiare e vivevo da zingara, come piace a me.
Non ho più fatto viaggi così importanti da allora, e devo dire che la California mi è rimasta nel cuore, però appena posso volo a conoscere o a rivedere qualche capitale europea, come Londra o Praga, le mie preferite, oppure mi rifugio in qualche paradiso terrestre… l’ultimo Santorini, un anno fa.
Non ho un posto preferito… o forse si, ma non è di certo il più bello né il più esclusivo. Un luogo che è un rifugio, che profuma di casa anche se non ci sono nata. Quel posto è quell’angolo di mare tra la Calabria e la Sicilia. Lì sento sempre forte il richiamo delle mie radici.
Un’altra delle tue
passioni è la musica, in particolar modo la musica classica. Parlacene.
Ah… la
classica… una volta che inizi ad apprezzarla non torni più indietro! Amavo
Vasco ad esempio, sono cresciuta con le sue canzoni e tutto. Ci credi che non
riesco più ad ascoltarlo? Tutta Colpa di Mozart, Tchaikovsky e Vivaldi,
Rachmaninov e Beethoven. Potrei morire per l’Estate di Vivaldi o il Concerto
numero 3 di Rachmaninov, quello famoso per fare impazzire i pianisti (e
probabilmente ha dato il colpo di grazia anche a me). Il vero “colpevole”, comunque, è mio marito, violinista di professione. Prima di conoscere lui non avevo nemmeno mai visto un violino! Poi frequentandolo, seguendo i suoi concerti e i concorsi che dirige e organizza, insomma ascoltando la musica classica, con le sue complicate e travolgenti armonie… è stato un po’ come imparare a volare.
E quando impari a volare difficilmente puoi tornare indietro.
Moglie, madre di due
splendide bambine, gestisci assieme ai tuoi fratelli una piccola azienda edile.
Dove trovi il tempo per scrivere?
Ammetto di sognare a volte di potermi ritirare in un posto
sperduto e silenzioso, tipo un convento tra le montagne o qualcosa di simile.
Purtroppo non posso permettermelo, avendo una piccola azienda, fondata da mio
padre, da mandare avanti e due bambine piccole da crescere! Mi devo quindi
accontentare di scrivere la notte, quando mi capita di svegliarmi alle 4 e non
riuscire a riprendere sonno, oppure in ufficio, tra una telefonata e l’altra,
che non è proprio il massimo, ma è sempre meglio di niente.
Com’è stato il tuo
approccio con il mondo della scrittura?
Come dicevo
scrivo da sempre. Inizialmente mi limitavo a registrare gli avvenimenti che
reputavo importanti, e devo dire che ho iniziato prestissimo! Già da bambina sentivo
il bisogno di annotare la vita sui miei diari; ne ho uno che risale alla prima
media, in cui ad esempio racconto di una mia zia rapinata fuori dalla banca con
la figlia incinta, o di un ragazzino che trovavo molto carino e delle sue
Converse nere come le mie. Poi a 15 anni il diario è iniziato a diventare una costante della mia vita. Da allora non riesco a stare un giorno senza scrivere qualcosa, non solo annotazioni ma anche poesie o brevi racconti; anche se è a 27 anni, in California, che c’è stata la vera svolta. E’ proprio laggiù che il mio approccio alla scrittura è iniziato a cambiare; probabilmente stimolato dal radicale cambiamento del regime linguistico a cui mi trovai sottoposta, il mio modo di scrivere iniziò ad allontanarsi gradualmente dalla dimensione del diario per scivolare sempre più verso quella del romanzo.
Alla base del mio bisogno di scrivere c’è sempre la necessità di raccontare ciò che mi accade, forse per poter trattenere, o illudermi di fermare, alcuni istanti della mia vita, che alla fine non è altro che aria e tempo che scorre.
Credo che scrivere sia il mio metodo per esorcizzare la paura di dimenticare ed essere dimenticata. Qualcosa che mi dica che la vita è a tutti gli effetti reale e non pura illusione.
E che se proprio deve trattarsi di un sogno, è del mio sogno che stiamo parlando.
Nel novembre 2012
pubblichi il tuo primo romanzo “Portata dal vento”. Un titolo interessante come
l’input che ti ha spinto a scriverla. Raccontaci qualcosa di questo tuo
esordio.
Diciamo che
"Portata dal vento" è nato in modo piuttosto anomalo. Intanto non è nato come
romanzo, ma ha preso spunto dal mio diario della gravidanza e da una lettera
d’amore che scrissi a mia figlia ad un mese dalla sua nascita. Così mio marito
mi fece notare che era giunto il momento di provare a pubblicare qualcosa,
erano anni che dicevo di volerlo fare, ed era giunto il momento di
concretizzare quel sogno. Aveva letto sia il diario che la lettera d’amore per
nostra figlia e li aveva trovati commoventi e per nulla banali. Mi fece notare
che il mio romanzo d’esordio era già tutto lì, mi sarebbe semplicemente bastato unire le due cose… Ovviamente non fu un lavoro semplice perché è molto più facile creare dal nulla che tentare di unire in modo armonioso due mondi tanto distanti tra loro, anche se con un centro comune.
Però dopo tre anni il romanzo vide la luce, e fu una gioia equiparabile alla nascita di un figlio.
Per quanto riguarda il titolo devo ammettere che è davvero bello. E dire che il titolo era un altro, fino a poco tempo prima della pubblicazione. Il libro doveva chiamarsi ‘Forty Weeks’, come il titolo del mio diario della gravidanza; il taglio che volevo dargli inizialmente voleva essere piuttosto ironico. Invece prese una piega romantica e ‘Forty Weeks’ mi sembrava non si addicesse più.
Accadde così che una notte mi svegliai con una musica nelle orecchie, l’avevo ascoltata non so dove, né quando… la canticchiai subito a Giorgio e lui, il mattino seguente, me la suonò. Era una musica che conosceva bene perché era stato proprio lui a scriverla, per me, qualche anno prima, e che aveva intitolato "Portata dal Vento". Così pensai a quello strano titolo, a mia figlia Giorgia e al suo arrivo insieme a quello di un fiore viola, sbocciato sul mio balcone senza che nessuno l’avesse piantato…
Come quel fiore anche lei era arrivata col vento. E il gioco fu fatto.
Da pochi giorni,
invece, è uscito il tuo secondo romanzo “Alla fine dei sogni”. Cosa troveranno
i lettori al suo interno?
In quel
libro c’è nascosta la parte più profonda di me. "Alla fine dei sogni" è un
romanzo che ho scritto a cuore aperto. Sebbene sia molto meno autobiografico di
"Portata dal vento", va comunque a toccare le mie corde più profonde e nascoste.
E’ una storia molto emozionante, che parte dall’alto e punta ancora più in alto. E’ tutta in crescendo. Chi lo ha letto mi ha giurato di non essersi riuscito a staccare dal libro finché non lo ha finito.
"Alla fine dei sogni" è un libro che si inizia a leggere di sera e lo si conclude di notte. La stessa notte di cui è intrisa ogni sua pagina. Parla della notte, la notte della vita.
Quali tematiche affronti?
I temi che affronto sono molto impegnativi, rischiosi perché potenzialmente potrebbero spaventare i lettori. I temi centrali, il cancro e l’aborto, e due splendide ragazze, legate da un’amicizia che nonostante la disperazione assoluta riesce a ridipingere di giallo e azzurro tutto quel nero. C’è il desiderio di vita che sovrasta l’istinto di morte.
Ci sono tante, tantissime emozioni. Chi lo leggerà si prepari a ridere, sorridere, e a versare fiumi di lacrime.
Com’è nata l’idea per
questo romanzo?
L’idea è
nata da un pensiero avuto quando i medici dissero che per Michela, la mia più
cara amica, non c’era più niente da fare, e io ero oppressa dalla nausea per la
gravidanza della mia seconda (desideratissima) figlia. Sebbene fossimo
devastate per due motivi diametralmente opposti, il malessere che ci accomunava
era lo stesso. Si tratta di un sogno di cui parlammo ma che non riuscimmo a
realizzare proprio a causa delle nostre pessime condizioni di salute. Un viaggio… sarebbe stato il nostro ultimo viaggio insieme.
“Io incinta e lei col cancro, sembra una barzelletta” mi dissi.
Ed è proprio quel desiderio che porto a compimento nel nostro libro. Dico 'nostro' perché a stesura ultimata mi sono resa conto di non averlo scritto da sola…
In maniera molto simile ad un ‘addio al nubilato’, in questo viaggio - perché al centro del libro c’è proprio un viaggio - celebriamo il suo ‘addio alla vita’.
Definisci “Alla fine
dei sogni” terapeutico. Approfondiamo questa definizione.
"Alla fine
dei sogni" è stato terapeutico perché mi ha aiutata ad accettare la morte della
mia amica. Non dico che adesso non mi manchi più, però sono più serena. L’ho scritto piuttosto velocemente, in sei mesi, e mentre lo scrivevo ridevo, piangevo, tremavo. Ricordo che dopo averlo concluso andai da mia madre, stremata, e le chiesi di farmi un caffè. Sembravo tornata dalla guerra. Trascorsi due giorni in stato catatonico, stanca come mai prima di allora. La nostra ultima avventura si era conclusa, ma non mi sentii svuotata. Solamente stanca, quello si, ma il sogno di scrivere di lei e farla rivivere tra quelle pagine si era realizzato. E ogni volta che ho bisogno di lei la ritrovo lì, perché anche se la storia e i personaggi sono quasi totalmente inventati, è esattamente di quella Michela che parlo. Non ho voluto nemmeno cambiarle il nome proprio perché questo libro l’ho scritto per lei.
Volevo darle una fine più alla sua altezza. Spero di esserci riuscita.
Hai altri progetti di
cui vuoi metterci a parte?
Si, c’è un
terzo libro che in realtà doveva essere il primo. L’ho iniziato molti anni fa ma
l’ho sempre messo da parte per qualcosa di più urgente: prima "Portata dal
vento" e poi "Alla fine dei sogni". Più o meno sono a metà della storia, quindi a buon punto considerando che ho il difetto di accorciare i finali… Ma se dovessi ascoltare il mio istinto lo butterei per ricominciarlo da capo.
La storia mi sembra intrigante, ma non mi riconosco più in quello stile. In questi ultimi anni ho letto e scritto molto, e insieme a me è cresciuto anche il mio modo di raccontare la vita.
Però posso anticipare il titolo, "Anti-storia d’amore", che ovviamente cambierò a stesura ultimata, come è accaduto per gli altri due libri!
L’unica cosa certa è che non pubblicherò un nuovo romanzo prima del 2015. Devo lasciare respirare i primi due libri (usciti a distanza molto ravvicinata) e i miei lettori J.
E’ stato un piacere ospitarti nel mio blog. In bocca la lupo.
Per seguire Stefania STEFANIA TRAPANI SCRITTRICE