lunedì 27 maggio 2013

INTERVISTA A DANIELA LOJARRO

Ciao Daniela, benvenuta nel mio blog. Raccontaci qualcosa di te.

Ciao Linda e un saluto a tutti i lettori! 
Sono nata a Torino ma vivo a Zurigo dove, capitata per lavoro, ho conosciuto Andrea che poi è diventato mio marito e così, alla fine, non ho più valicato le Alpi! A complicare ancora di più questa doppia anima italiana e svizzera, c’è pure il fatto che la famiglia materna è di origini savoiarde e piemontesi mentre quella paterna in parte napoletana e in parte spagnola … Insomma, un bel crogiolo di tradizioni e culture. Sono cantante lirica: ho studiato prima a Torino e poi nella città natale di G. Verdi Busseto (in provincia di Parma) con uno dei più celebri tenori verdiani di ogni tempo: il M° Carlo Bergonzi. Da lui ho potuto imparare non solo la tecnica del Belcanto italiano ma anche lo stile interpretativo del nostro Melodramma: senza dubbio è stata la persona più importante per me dal punto di vista professionale … senza dimenticare che la sua personalità forte e “tutta d’un pezzo”, da vero gentiluomo d’altri tempi, mi ha dato anche un’impronta indelebile dal punto di vista umano. Ho avuto anche la fortuna di seguire anche un corso di recitazione con l’attrice Franca Valeri che mi ha trasmesso l’importanza del sapere essere presenti in ogni attimo, in ogni gesto in palcoscenico e il rigore per la coerenza nella costruzione di ogni personaggio: noi, infatti, noi siamo il mezzo con cui il personaggio vive ma non dobbiamo dimenticarci che il personaggio ha una sua vita, un suo carattere e una sua personalità. Ho cantato un po’ ovunque portando il melodramma italiano perfino negli Emirati Arabi, in Sud Corea e in Sud Africa oltre naturalmente aver calcato le scene dei più prestigiosi teatri italiani come il S. Carlo di Napoli o il teatro Regio di Parma oppure europei come il Covent Garden di Londra o l’Opera di Montecarlo. Negli ultimi anni, però, mi sono dedicata maggiormente all’attività concertistica cercando di far conoscere anche il vasto repertorio da camera o di canzoni italiane che, spesso, è messo in ombra rispetto a quello tedesco o francese perché, secondo i musicologi, non ne raggiunge la raffinatezza. Invece, proprio in questo ambito, a Abu Dhabi ho avuto un paio di esperienze bellissime e indimenticabili. Ho visto l’imperturbabile ambasciatore coreano e alcuni dei numerosi sceicchi che assistevano al concerto commuoversi fino alle lacrime mentre cantavo la canzone napoletana di Ernesto de Curtis “Non ti scordar di me”! Il giorno seguente ho tenuto una conferenza-concerto sull’Opera e sul repertorio italiano in generale in un esclusivo college del posto. Le ragazze all’inizio ascoltavano compite e un po’ perplesse quella musica del tutto nuova per loro ma, alla fine, si sono messe a ballare la “Tarantella” di Gioacchino Rossini dimenticando compostezza e veli! Potere della Musica!
La tua passione per la musica inizia da giovanissima. Definisci il vostro rapporto ‘viscerale’, a tal punto da aver imparato a 'parlare cantando’ e ‘leggere studiando i libretti delle opere che più sentivi tue’. Approfondiamo questi concetti.

Ho ascoltato musica fin da prima di venire al mondo e sono vissuta sempre in mezzo alla musica: mia madre è pianista e cantante mentre mio padre è un appassionato di opera lirica. Per me è stato naturale imitare gli adulti sia ripetendone le parole sia i “suoni”. Per questo dico che ho imparato a parlare cantando.
Più avanti, quando iniziai a seguire i miei genitori a teatro (la prima volta ero veramente piccola: avevo 6 anni e vidi la Tosca di Giacomo Puccini) scoprii che spesso i libretti delle opere erano tratti da tragedie, romanzi, miti famosi oppure trattavano di personaggi storici realmente esistiti; così, per comprendere meglio il magico mondo dell’opera che tanto mi affascinava, mi misi a leggere i testi da cui le opere che amavo erano tratte. Un’abitudine che, quando ho affrontato l’opera lirica come professionista, mi è stata utilissima perché, quando dovevo imparare un nuovo ruolo, una parte del lavoro era già fatta: conoscevo l’originale letterario, il periodo storico in cui era stato composto, il periodo storico cui si riferiva e potevo anche notare, per esempio, le differenze di prospettiva e d’intenti del compositore rispetto all’autore.

 
Hai studiato pianoforte e canto con il celebre Maestro Bergonzi, vinci alcuni concorsi nazionali e inizi a esibirti sui più importanti palcoscenici nazionali e internazionali. Ricordi ancora l’emozione della prima esibizione? Cosa ti ha lasciato questa straordinaria esperienza?
Certo che la ricordo! Si trattò della finale del concorso internazionale dedicato a Giuseppe Verdi a Busseto: una competizione cui a quell’epoca partecipavano ogni anno quasi centocinquanta giovani cantanti lirici di ogni nazionalità. In quell’occasione cantai l’aria di Gilda dal “Rigoletto”, ruolo che mi ha accompagnato per tutta la carriera. Il palcoscenico per i solisti e l’orchestra era stato montato nella piazza centrale di Busseto e, di fronte a noi, la statua di Giuseppe Verdi. Era una serata d’estate profumata e calda (il giorno del mio ventiduesimo compleanno!), le rondini fischiavano, il cielo era limpido, i riflettori emanavano un calore insopportabile, la giuria era seduta nelle prime file mentre il pubblico di appassionati e intenditori, pronti a portarti in trionfo o a fischiarti, si affollava sulle gradinate ... e milioni di zanzare! Ero tesa come la corda di un violino e non ricordavo nemmeno una nota: vuoto assoluto!  Ma, quando il direttore d’orchestra diede l’attacco per la mia aria, ci fu solo più la musica che accompagnava la mia voce e la meravigliosa sensazione di percepire quella magica comunione/tensione sia con chi sta facendo musica con te in quel momento che con il pubblico che, ascoltandoti, a sua volta comunica con te! In quel momento ho capito che quell’emozione che provavo era quella che avrei dovuto portarmi sempre dentro e ricreare ogni volta che il sipario si sarebbe alzato.

Alcuni tuoi brani sono entrati a far parte di colonne sonore di film diretti dal grande Martin Scorsese e Franco Zeffirelli, per citarne alcuni. Parlacene.
Non amo molto le sale d’incisione: detesto avere il microfono davanti ed essere costretta a star ferma nel posto dove i tecnici hanno messo una grossa croce per essere certi che uno non si muova da lì sfalsando tutti gli equilibrio così a lungo provati. Infatti, durante le “prove tecniche” si canta e si suona solo per permettere ai tecnici di bilanciare i microfoni, gli acuti, i bassi, l’equilibrio dell’orchestra e delle voci, l’equilibrio di una voce con l’altra … Insomma, quando si arriva all’incisione si è già perso un mucchio di energia e di entusiasmo! Per esempio, per l’incisione del sestetto di “Lucia di Lammermoor” di Gaetano Donizetti, i tecnici mi spostarono almeno 6/7 volte prima di trovare la giusta posizione rispetto al microfono: secondo loro la mia voce “bucava” il microfono! Solo l’incisione de “Il giovane Toscanini” di Zeffirelli fu fatta in loco e in contemporanea al film mentre le altre sempre separatamente e dopo la realizzazione del film. In quell’occasione la registrazione fu fatta al Teatro Petruzzelli di Bari (prima dell’incendio) che era stato trasformato in set per il film. Fu più piacevole perché Zeffirelli desiderava che si mantenesse l’aspetto estemporaneo e l’acustica del luogo; quindi, non fummo costretti a troppe prove tecniche. Intravidi pure Liz Taylor … ma appunto … noi eravamo solo le “voci” e l’équipe non vedeva l’ora di non averci più tra i piedi perché i cantanti lirici hanno bisogno di camerini tranquilli, senza spifferi, senza aria condizionata o la voce ne soffre, storcono il naso e si rifiutano di mangiare i piatti pronti del catering … altrimenti chi canta più con certe schifezze nello stomaco!

Oltre all’attività concertistica, ti dedichi al metodo Tomatis, per aiutare persone con difficoltà nello sviluppo della lingua sia parlata che scritta. Di cosa si tratta?
Il Metodo Tomatis è stato sviluppato a partire dagli anni ’50 dal professor Alfred Tomatis in Francia. Alla base della terapia c'è la scoperta fatta negli anni '50 da Alfred Tomatis che la voce può riprodurre solo le frequenze che l'orecchio ascolta. Per Tomatis, infatti, esiste una differenza fondamentale tra udire e ascoltare. Udire è una funzione passiva: le orecchie sono sempre aperte, anche quando si dorme. Al contrario, ascoltare è una funzione attiva che implica la volontà di scegliere tra tutti gli stimoli sonori che si ricevono quelli che si vogliono inviare coscientemente al cervello perché siano analizzati ed elaborati. Si tratta, quindi, di una terapia di riabilitazione della voce e dell'ascolto. Si rivolge a chi ha problemi di sviluppo della lingua, sia parlata sia scritta, con conseguenti difficoltà di comunicazione e integrazione: dislessia (scambiare le lettere durante la lettura ad alta voce oppure i numeri), balbuzie, iperattività, mancanza di concentrazione, di coordinazione. Oppure è indicata a chi lavora con la voce, come attori, cantanti, manager, insegnanti, che accusano stanchezza vocale o che hanno bisogno di trovare una migliore impostazione vocale per evitare problemi d’intonazione o stanchezza vocale. Tramite un test, si vedono quali sono le frequenze che «mancano» e poi si lavora su quelle. La terapia inizia con una fase passiva, in cui il soggetto è stimolato tramite l'ascolto di quelle frequenze e l'orecchio fa come una micro-ginnastica; segue una fase attiva in cui il soggetto legge ad alta voce, canta, esegue esercizi di respiro e coordinazione motoria. Entrambe le fasi avvengono tramite l'uso di una cuffia e di uno speciale apparecchio, detto orecchio elettronico che, grazie a un sistema di filtri, permette il passaggio delle frequenze stabilite.

Se qualcuno dei nostri lettori fosse interessato come può contattarti?
Se intendi per la terapia per email: daniela.lojarro@bluewin.ch

La passione per la letteratura si sviluppa parallelamente a quella della musica. Infatti, è proprio attraverso la musica che nasce la curiosità di conoscere gli autori che hanno ispirato i brani che più ti appassionano. Da qui partono le tue letture sui più grandi romanzieri dell’ottocento e non solo. Quali letture ti sono rimaste più impresse nella mente?
Amo molto Victor Hugo, Marguerite Yourcenar, Iain Pears, Stendhal, Robert Graves (nelle due vesti di scrittore e di saggista), Maria Bellonci, Daniel Pennac, Alessandro Baricco, Stefan Zweig, Dino Buzzati, Herman Hesse …e la lista sarebbe ancora lunga ma questi sono i primi che mi sono venuti in mente.
Nel genere avventuroso la lettura che mi ha lasciato maggiori impressioni Emilio Salgari e Jules Verne. In ambito fantasy, a parte Tolkien, adoro Marion Zimmer Bradley, Harry Turtledove, Raymond Feist, Jack Whyte, Ann Masterson. Ho una vera passione per la storia, l’archeologia, il sufismo, l’esoterismo e in questi campi i miei preferiti sono René Guénon, Maria Gimbutas, Marius Schneider, Karol Kerény, Giordano Bruno Guerri.

Nel 2009 pubblichi il tuo primo romanzo “Il Suono Sacro di Arijam”. Qual è stato l’input per questo libro?
Una visita alla Galleria del Furlo (nelle Marche) in compagnia di mio marito. Nel pomeriggio eravamo stati in un campo archeologico nei pressi di Fossombrone che degli amici stavano scavando e avevamo assistito alla scoperta di alcune sepolture con un piccolo corredo. Per festeggiare l’evento avevamo deciso di trovarci tutti poco dopo al ristorante. Alla fine, ci consigliarono quella strada per rientrare in hotel: però avremmo dovuto lasciare l’auto al posteggio e percorrere la galleria prima a piedi e poi in auto. Facemmo così e infatti fu emozionante camminare nella Galleria romana scavata nella roccia e osservare ancora le tracce degli strumenti sulla roccia! Una volta arrivati dall’altra parte, altra sorpresa! Luna piena che pareva appesa sopra la vallata e che illuminava il profilo della collina che pareva un profilo umano. Non chiusi occhio tutta la notte talmente ero eccitata: la Galleria e il profilo della collina illuminato dalla luna mi avevano letteralmente aperto la porta magica della storia. Quando rientrai dalle vacanze, avevo già in testa i punti principali della vicenda e, ovviamente, nel libro ci sono sia la Galleria che il profilo scolpito nella pietra!


 

 
 
Cosa troveranno i lettori al suo interno?
Innanzitutto … il Suono e non solo all’interno perché compare già nella foto di copertina! Infatti, i segni d’inchiostro che si vedono disciogliersi nell’acqua sono note scritte su un foglio trasparente immerso nell’acqua. Le bolle d’acqua e i gorghi che si vedono nella foto sono formate dall’acqua messa in movimento dalla musica stessa!
Nel mondo di Arjiam, però, il Suono non è musica frutto del genio umano, bensì è il Principio creatore che con la sua vibrazione da vita al mondo e lo anima. La magia consiste appunto nel saper ascoltare questa Vibrazione e servirsene per sanare le persone, prevedere il futuro, spostarsi nello spazio. L’uomo è completamente libero di scegliere come usare il suo talento e, quindi, può volgerlo anche al negativo. Ho chiamato la magia “positiva” Armonia mentre quella “negativa” Malia. Non sono nomi dati a caso: Armonia significa appunto sapersi mettere in sintonia con l’altro e vibrare insieme; Malia deriva da malum e con questa definizione ho voluto sottolineare la capacità di questo tipo di magia di affascinare le menti fino al punto da asservirle e privarle della loro volontà a beneficio di chi pratica la Malia. Le avventure dell’eroina Fahryon, del suo compagno Uszrany e del loro avversario Mazdraan prendono le mosse da questa contrapposizione fra chi pratica la Malia e chi pratica l’Armonia.
Nel regno di Arjiam, il luogo fantastico in cui ho ambientato la vicenda, i lettori troveranno un mondo molto mediterraneo: non ci sono troll, elfi, nani, tetri castelli di pietra e foreste o montagne innevate e tutto il resto che accompagna la letteratura fantasy d’ispirazione nordica; ma città e palazzi che ricordano Granada sotto la dominazione araba o Palermo dei normanni insieme a la moltissimi simboli e tradizioni della cultura mediterranea e medio-orientale che poi sono la base della mitologia greco-romana. Per esempio, ho usato l’Uroburo come simbolo del Suono Sacro: l’Uroburo è il serpente che si morde la coda e indica il perpetuo rigenerarsi della vita dalla morte e quindi l’eternità.

Quali temi affronti?
Nello scontro fra Armonia e Malia e nel modo in cui entrambe sono usate dai personaggi ho portato all'estremo il conflitto che esiste al giorno d'oggi nella scienza: in che misura può l'uomo manipolare la natura? Abbiamo dei limiti? Se ci sono, possiamo di volta in volta sorpassarli e crearne di nuovi?
Abbiamo appena intravisto, per esempio, le enormi possibilità che ci schiuderebbe la manipolazione genetica in termini di cura di determinate patologie: ma come non chiedersi cosa succederebbe con questa tecnologia se impiegata per «migliorare» la razza umana.
Ho concepito la storia di Fahryon e Uszrany come un viaggio alla scoperta di se stessi, delle proprie potenzialità e, allo stesso tempo, come una scoperta del mondo che ci circonda: ascoltarsi e saper ascoltare in maniera consapevole per poter entrare in comunicazione con l'altro con il diverso da sé senza averne paura. Credo che questo sia il messaggio più importante per le nuove generazioni in questo mondo dilaniato da guerre e da conflitti sociali profondi senza scordarsi che la vita è un cammino in continuo divenire, soggetto a grandi rivolgimenti, l’importante, come diceva Samuel Beckett è «Fallire – Provare di nuovo – Fallire ancora – Fallire meglio».

“Il Suono Sacro di Arijam” è stato presentato al Salone Internazionale del Libro di Torino nel 2009. Cosa ricordi di questa esperienza?
Ero emozionatissima e, per la prima volta, mi ero preparata per parlare in pubblico. Sono abituata a farlo in interviste o conferenze di presentazione di un’opera ma, poco prima della presentazione, mi accorsi quanto diverso e più difficile fosse parlare di una propria “creatura”, cercare di convincere il pubblico a comprare il libro che non disquisire a freddo su un compositore, sulla genesi di un’opera o di un personaggio.
Sicuramente la cosa più bella fu avere accanto le persone che più mi avevano sostenuto in questo progetto: mio marito Andrea, la mia famiglia e la mia editor/agente Natascia Pane. Adesso, però, non presenterei più il libro così!

Hai qualche progetto futuro di cui vuoi metterci a parte?
Sto scrivendo un nuovo romanzo, sempre fantasy, che sarà però indipendente da questo pur sfruttando alcuni personaggi che i lettori hanno conosciuto nel primo.

E’ stato un vero piacere ospitarti nel mio blog. In bocca al lupo per il tuo lavoro.
 
Per seguire Daniela     IL SUONO SACRO DI ARIJAM

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