I generi del regency.
Georgette Heyer, con le sue novels of
manners (commedie di maniera), dà vita al regency tradizionale, un genere raffinato sia per quel concerne la
scrittura, che si rifà volutamente a quella della Austen, sia per l’accurata
ricostruzione storica e sociale (e la totale mancanza di sesso, ma non di
dialoghi brillanti, tra i due protagonisti). Il regency a cui noi siamo più
abituati (e che comunque discende dalla Heyer) è quello che nasce negli Stati
Uniti intorno agli anni ’70 e che viene definito regency historical. Pur essendo ambientato nello stesso periodo e
negli stessi luoghi del regency tradizionale, punta più sul plot che sul
background storico (a volte miseramente descritto), si adegua a un linguaggio
decisamente moderno e a comportamenti che attingono più alla realtà di oggi che
a quella di allora. La storia d’amore, infine, raggiunge connotazioni sessuali
che possono essere molto esplicite (e spesso per nulla in sintonia col periodo:
per evitare di avere a che fare con eroine vergini e imbranate a letto, molte
autrici hanno preferito affidarsi alle mistress – amanti mantenute – e più
ancora alle vedove: meno problemi tra le lenzuola!).
1) Per scrivere un
Regency, bisogna conoscere molto bene il periodo storico di riferimento (così
come per qualsiasi altro romanzo storico).
Il Regency è così popolare che qualcuno potrebbe illudersi
di avere già in mano tutti gli strumenti per poterlo scrivere sulla base di
qualche romanzo letto. Sbagliatissimo! Anche se abbiamo letto la Quinn, la
Chase o la Balogh, per non parlare della Heyer, anche se sappiamo cos’è Rotten
Row o come si fa una riverenza, togliamoci dalla testa di possedere gli
strumenti adatti per metterci all’opera. Sì sì, anche se è solo un romance.
Incominciamo col ripassare un po’ di storia. Con Reggenza ci si riferisce in modo
specifico al periodo (1811-1820) durante il quale, a causa dei problemi mentali
di Giorgio III (malato di porfiria), il Regno di Gran Bretagna fu affidato al
Principe di Galles che regnò prima come Principe Reggente e poi, alla morte del
padre, avvenuta nel 1820, come Re Giorgio IV.
In realtà, con il passare degli anni e il crescere del
successo, i tempi del Regency inteso come genere
si sono alquanto allungati sino a coprire un arco temporale che va dai
primi anni del XIX secolo sino a circa il 1830, anno della morte di Giorgio IV,
per allungarsi ancora sino al 1837, anno della morte del suo successore, William
IV, suo fratello minore, e dell’ascesa al trono di sua nipote Vittoria.
Prima del regency ci troviamo nel periodo Georgiano.
Dopo il Regency (inteso nella sua accezione allungata) nel primo periodo
Vittoriano.
Il Reggente (Prinny). A proposito
del reggente, sappiate che aveva una pessima reputazione, e non solo tra il
popolo, ma anche presso lo stesso Liverpool, il primo ministro di allora, e il
suo governo. Era uomo dedito agli eccessi e spendeva più di quanto prevedesse
il suo appannaggio governativo. Come? In feste ridondanti o per costruire nuovi
edifici, da alcuni considerati troppo sfarzosi e inutili (come il bizzarro
Brighton Pavillon o Carlton House a Londra). Prinny fece costruire e dedicò a
se stesso Regent’s Park e Regent’s Street e, a dire il vero, favorì lo sviluppo
del nuovo elegante assetto architettonico di Londra, guidato dall’architetto
John Nash. Fu anche mecenate di arte e letteratura, che in quel periodo rifiorirono.
Ma la sua passione per l’eccesso, per il cibo che lo rese obeso e per gli abiti
stravaganti in cui si pavoneggiava lo posero spesso in cattiva luce davanti al
popolo e non solo. Jane Austen, a cui il Reggente impose di dedicargli Emma, lo detestava.
2) Per scrivere un
regency bisogna conoscere il ton e la
season. Non importa che la storia
si svolga a Londra (nelle town house
che si aprono per la stagione), in campagna (nelle residenze nobiliari che
ospitano i famosi Country House Parties
che la Balogh descrive mirabilmente) o in riva al mare (Bath, Brighton); al
centro della regency novel c’è sempre
il ton
(da bon ton), un mondo popolato per lo più da conti,
marchesi e duchi - spesso libertini e sprezzanti, magari senza un soldo e refrattari
al matrimonio - e da giovanissime gentildonne (ovviamente illibate) in cerca,
oltre che di un marito, di un happy ending da favola (anche se, è bene
sottolinearlo, in quei tempi i matrimoni di convenienza erano ben più comuni di
quelli d’amore). Una giovane aristocratica, dopo l’eventuale presentazione a
Corte, che avveniva di solito intorno ai diciassette anni, diventava una debuttante
ed era ufficialmente carne per il mercato del matrimonio. E se, povera lei, dopo un paio di stagioni
passate a cercare marito rimaneva senza pretendenti (molto spesso a causa una
dote non golosa), era facile che il suo
stato passasse senza alcuna misericordia da debuttante
a quello meno entusiasmante di zitella. All’età di
venticinque/ventisei anni una ragazza era ufficialmente guardata come tale.
Da notare: se i
protagonisti maschili della regency novel appartengono per lo più a famiglie blasonate
(anche se non sono destinati a ereditare il titolo perché figli cadetti), l’origine
delle protagoniste femminili non è necessariamente altolocata. Troviamo figlie
di pastori (come Jane Austen!), di gentiluomini di campagna, a volte anche –
quando c’è di mezzo una dote consistente – di nuovi ricchi (così disprezzati dal
ton!). Oppure le nostre protagoniste possono avere sangue blu, ma appartenere a
una famiglia decaduta ed essere costrette
a impiegarsi per vivere, come governanti,
istitutrici o dame di compagnia.
Be’,
cosa pensavate: l’effetto Cenerentola funziona alla grande anche nel regency!
La Season,
ovvero “la stagione”, corrisponde all’apertura del Parlamento, quando i
Pari del Regno si riversavano a Londra dalle residenze di campagna per fare –
chi più chi meno – il loro dovere alla House of Lords, per incontrarsi nei club
esclusivi (White’s, Brook’s), nei bordelli e nelle sale da gioco. La vita del
Parlamento entra nel vivo più o meno dopo Pasqua (a volte prima) e si chiude ufficialmente
a metà agosto quando incomincia la stagione di caccia (Glorious Twelth). In
realtà gli aristocratici lasciano Londra già con il primo caldo, alla fine di
giugno/inizio luglio, per ritornare alle loro residenze di campagna - che
possono essere dei veri e propri castelli degni della famiglia reale - o
visitare le città alla moda sul mare (Bath, Weymouth o Brighton), o ancora
intraprendere un viaggio in continente. Durante la
season vengono riaperte le
town
house (dal solito battaglione di servitori) e i lord vi si trasferiscono
con le proprie famiglie, soprattutto se ci sono delle ragazze in età da marito
da sistemare.
È proprio per rendere più vivace e mondana la vita dei lord, per richiamarli
nella capitale del Regno, che a Londra nasce la
season.
La vita del ton durante la
season è
scandita da riti quotidiani imprescindibili e da regole di comportamento severe,
come le visite pomeridiane (morning calls) ai salotti alla moda, in orari e
giorni precisi stabiliti dalla padrona di casa; le passeggiate a Hyde Park, a
cavallo, in calesse o a piedi, dove le miss necessitano sempre di uno chaperon;
le serate all’Opera o ai giardini di Vauxhalles; gli eventi sportivi (Royal
Ascot per citare forse la corsa di cavalli più conosciuta) e quelli culturali
(la Royal Academy Summer Exhibition a Burlington House), i balli nelle grandi magioni
private o, il mercoledì sera, da
Almack’s.
Un accenno a Almack’s, se scrivete della
season, è fondamentale.
Almack’s (Almack’s Assembly Rooms) fu
uno dei primi club privati di Londra ad aprire a uomini e donne. L’ammissione,
ambitissima, dipendeva dal severo giudizio di un comitato formato da sei o
sette patronesse, tutte dame dall’alta
aristocrazia, che potevano con un sì o con un no fare la fortuna o la disgrazia
di una debuttante. Se la poveretta veniva rifiutata, faceva meglio a tornarsene
in gran fretta in campagna perché la sua reputazione era rovinata per sempre.
Viceversa, per un uomo, soprattutto se blasonato e potente, essere bandito da
Almack’s non aveva grandi conseguenze, se non quella, non poi così grave, di
essere considerato un
rake, un
libertino. E di libertini, i romanzi regency, sono davvero affollati. Durante
la stagione, le patronesse si riunivano settimanalmente per vagliare il comportamento
in società dei vari soci del club, decidere nuove ammissioni o repentini allontanamenti.
Durante i balli non venivano serviti liquori, ma solo limonata e tè. Le danze
preferite erano le contraddanze (country dances, quelle in cui dame e cavalieri
si fronteggiano lungo due file), il valzer fece il suo ingresso solo nel 1813,
ma qualcuno sostiene nel 1815. Se durante un ballo una debuttante danzava per
più di due set (ogni set comprendeva due danze, per una durata totale di circa
15 minuti) con lo stesso cavaliere, era praticamente compromessa. Forse già in
stato interessante.
Le occupazioni del ton. Sia chiaro, chi appartiene al ton non lavora. I lord parecipano alle sedute in Parlamento (House
of Lords) e si occupano delle proprie tenute (o meglio le affidano alla cura di
un amministratore), ma disdegnano il lavoro che reputano adatto solo ai ceti
inferiori. Si dilettano nelle palestre di boxe e scherma, si sfidano al galoppo
o sui loro snelli phaeton lungo Rotten Row a Hyde Park e frequentano le aste di
cavalli di Tattersall’s. Poi giocano, bevono e vanno a donne, oltre a
frequentare assiduamente i sarti (ma di questo parleremo dopo). Le ladies ricamano,
scrivono lettere a qualche cugina lontana, si esercitano nell’acquarello e
nella musica (canto o strumento, non manca mai il concertino serale della
debuttante di turno) e giocano a whist
(dopo
cena). Devono anche saper cavalcare (da amazzoni, naturalmente) ed essere in
grado di partecipare a una battuta di caccia. Come i signori, sono piuttosto
interessate allo shopping. Leggono anche, e frequentano assiduamente le Ciculating
Libraries (i libri erano molto costosi, quindi era possibile prenderli in
prestito previo pagamento di una sottoscrizione annuale).
Che mondo, quello del
Regency! Ma era proprio così? Da
quanto ho detto fino a qui, il mondo del regency sembra diviso in due: da una
parte il ton, in netta minoranza numerica, ovvero gli aristocratici: belli,
colti, eleganti e sempre pronti a godere della propria condizione privilegiata
che non solo non viene mai messa in discussione, ma viene esaltata quasi come
un diritto divino; dall’altra tutto il resto del mondo che di solito, nei
regency, non fa che una comparsata, spesso in abiti da servitore (il valletto
del lord, la cameriera personale di my lady, il negoziante zelante, lo
stalliere, il dottore).
Quando in un regency si parla di guerre napoleoniche, che
rimasero comunque lontane dal suolo d’Inghilterra, lo si fa di solito
nell’ambito di una spy story o come background personale dell’eroe (ad esempio
se il protagonista è un ufficiale in servizio o in congedo dalla Royal Navy) .
La realtà sociale del periodo è in realtà molto diversa da
quella che ci viene raccontata ed è caratterizzata dall’insicurezza economica. Dopo
le guerre napoleoniche ci si chiude nei confini del Regno (ecco l’isola felice
che in realtà non lo è) e, mentre i nobili partecipano a feste e ricevimenti,
ciechi ai cambiamenti sociali che stanno per colpire l’aristocrazia e alla
rivoluzione industriale che avanza, i lavoratori del nord si rivoltano spesso e
volentieri (a Manchester, nel 1819, ci fu il famoso massacro di Peterloo)
mentre i luddisti si scatenano contro i nuovi macchinari che sottraggono lavoro
agli operai. Di questi fatti, di mutamenti sociali e delle misere condizioni
del popolo nei nostri amati regency non ci si cura più che tanto.
3) Per scrivere un
regency bisogna conoscere le regole del corteggiamento e del matrimonio.
Come si diceva prima, la ricerca di un marito per le proprie
figliole era un fatto serio per una famiglia e poteva richiedere, oltre alle
disponibilità per una dote appetibile, un vero investimento in termini di
guardaroba, gioielli e naturalmente di partecipazione alla season.
Prima della proposta i due piccioncini dovevano seguire un
vero e proprio codice di comportamento che, da una parte, serviva a proteggere
la reputazione della ragazza, dall’altra evitava all’uomo di venire incastrato
contro il suo volere (abbiamo già detto prima che ballare due set di danze con
lo stesso giovanotto equivaleva a ritrovarsi fidanzati).
Una coppia necessitava sempre di avere tra i piedi uno chaperon. I due innamorati non potevano
rimanere da soli nella stessa stanza, conversare o passeggiare, chiamarsi per
nome, viaggiare soli sulla stessa carrozza, prendersi per mano o toccarsi
neppure per salutarsi (un semplice inchino era sufficiente). Poi magari
trovavano il modo, ma questo è un altro discorso.
La proposta di matrimonio veniva rivolta dal pretendente prima
all’amata (che in questa occasione poteva rimanere finalmente sola con lui) e
solo dopo al padre di lei. Rompere un fidanzamento era un atto gravissimo ed
era accettato solo se era la promessa sposa a volerlo. Se a domandare la
rottura era il fidanzato, lo scandalo era assicurato e un duello in nome della
giovane abbandonata sempre possibile.
Prima del matrimonio veniva redatto un contratto
matrimoniale in cui si stabilivano i rapporti economici fra i due futuri sposi.
Matrimonio. Per sposarsi (per
convenienza o per amore non faceva differenza) bisognava avere almeno
ventun anni (o un permesso dei genitori) e attendere che le pubblicazioni (wedding banns) venissero
prima lette, poi esposte in entrambe le parrocchie degli sposi per tre
domeniche consecutive (ma era anche possibile acquistare da un vescovo una
licenza grazie alla quale non era più necessaria la lettura pubblica dei banns).
I matrimoni si potevano celebrare solo alla mattina, dalle otto a mezzogiorno,
e mai di domenica. Era il parroco della chiesa ad officiare. Chi aveva molta
fretta di sposarsi poteva galoppare fino a Canterbury e chiedere
all’Arcivescovo una licenza speciale
(speciale e molto, molto costosa) grazie alla quale si potevano evitare i tempi
di esposizione dei banns, oppure fuggire a Gretna
Green (o in un qualsiasi altro villaggio scozzese di confine) dove anche i
maniscalchi avevano il potere di celebrare un matrimonio senza perdita di
tempo, senza fare domande e a prezzi davvero stracciati.
Le donne, una volta sposate, non avevano più diritti,
neppure di vedere i figli se il marito decideva così. Anche i loro denari e le proprietà
di famiglia passavano col matrimonio al consorte (a meno che non venisse
preventivamente steso un contratto matrimoniale).
Ci sono voluti molti anni e molti Matrimony Acts, Custody Acts e Married Women’s Property Acts (leggi per il
matrimonio, per la custodia dei figli e
per la proprietà delle donne sposate) per far cambiare questo vergognoso stato
di cose (ma non accadde prima della fine del XIX secolo).
Il divorzio e l’annulamento erano già possibili, ma per
nulla facili da ottenere e molto costosi. La rottura di un matrimonio
significava scandalo e la donna finiva comunque per essere bandita dalla
società.
4) Per scrivere un
regency bisogna conoscere la moda del tempo.
Una delle ragioni del successo del Regency sono, a parer mio, gli abiti. A
chi, di voi signore che state leggendomi, non piacerebbe almeno una volta
indossare un abito come quelli delle sorelle Bennet?
Dopo gli eccessi del ‘700 - quando l’ampiezza delle gonne o l’altezza delle
parrucche poteva impedire alle signore di passare persino attraverso le porte e
quando gli abiti maschili camuffavano la virilità dei gentiluomini - si tornava infine a una moda più portabile.
La nuova moda evolve da quella nata spontaneamente durante la rivoluzione
francese e si ispira agli abiti delle donne dei ceti più bassi, molto più
semplici “da vivere” nella quotidianità rispetto a quelli dell’ aristocrazia. Impone
la vita alta – stile impero - e gonne lisce e affusolate, per lo più senza strascico,
che sottolineano la figura senza nasconderla. Realizzati in tessuti poveri e di
foggia castigata di giorno, gli abiti la sera diventano scollati (a volte
mostrano persino i capezzoli), sbracciati (con piccole maniche a sbuffo) e si
impreziosiscono di stoffe leggerissime ed evanescenti. Il neoclassicismo si
impone, oltre che in architettura e nelle lettere, anche nella moda. Non è un
caso che il periodo Regency corrisponda a quello dell’Impero Napoleonico e a quello
del diffondersi degli scavi archeologici, cui molti aristocratici si dedicano
con passione. Vi siete mai chiesti perché il Louvre e il British Museum abbondino
di ricordini assiri, babilonesi, egiziani e greci?
Ma c’è anche un altro motivo per cui gli abiti si fanno
smilzi e abbandonano almeno per il giorno tessuti preziosi e difficilmente
lavabili, e si chiama rivoluzione
industriale. L’Inghilterra importa cotone dalle colonie e, nelle fabbriche
del Nord, lo trasforma in stoffe che, grazie a macchinari sempre più
sofisticati, vengono stampate a costi accessibili e con risultati via via
migliori. Si diffondono le prime macchine da cucire (anche se per una
diffusione capillare bisognerà attendere ancora qualche decina di anni) e negli
empori dove un tempo si vendevano solo stoffe e accessori si cuciono gli abiti
per le clienti o addirittura si vendono abiti confezionati (come da Clark &
Debenham nel cuore di Mayfair). La nuova moda diventa virale, come diremmo oggi,
e si diffonde in tutti gli strati sociali e a tutti i prezzi. Per soddisfare la
richiesta delle clienti, aumenta anche il numero delle sartine che punto dopo
punto confezionano per pochi pence i nuovi modelli. C’è infine un altro aspetto
da tenere presente che va di pari passo ai più elevati standard di igiene
personale della popolazione: i nuovi capi diventano molto apprezzati anche
perché facili da lavare e da mantenere. Nascono i primi giornali di moda, tra
cui il più famoso è il mensile La belle assemblée (se lo citate,
tenete presente che nacque nel 1806). Oltre agli articoli di moda e ai suoi famosi
figurini con gli ultimi modelli, forniva alle signore articoli di varia natura,
compresi uno spartito musicale, poesie, novelle e romanzi a puntate.
Gli abiti delle signore consistevano
essenzialmente di tre strati: la
biancheria intima (una camiciola, un corsetto – meno devastante di quelli
settecenteschi e di quelli vittoriani – mutandoni, calze sostenute da
giarrettiere e una sottoveste, di cui sbucava spesso dalla gonna dell’abito il
bordo ricamato); seguiva l’abito vero e
proprio (che per la sera poteva essere quasi trasparente, da lì la necessità
della camiciola) e a coprire il tutto uno scialle di cashemere o seta, un mantello con cappuccio o una giacca
(pelisse, spencer o redingote) monopetto, attillata e dal taglio maschile. Spesso
mantelli e giacche, realizzati in lana o velluto, sono bordati di pelliccia.
I colori più
tenui sono preferiti da debuttanti e miss (anche se fidanzate), quelli più
intensi dalle signore sposate o comunque di una certa età. Le scarpe, nel ‘700
dotate di tacchi altissimi sia per gli uomini che per le donne, diventano quasi
piatte (le famose slippers), un po’come le ballerine di oggi. Per il brutto
tempo e per camminare le signore non disdegnano stivaletti da passeggio bassi e
comodi.
I cappelli. Chi di voi non ha amato
le famose cuffie a campana di Lizzie? O quei deliziosi cappellini di foggia
maschile usati per cavalcare? A quei tempi, una signora non usciva mai senza
cappello, almeno di giorno, mentre alla sera poteva indossare tra i capelli anche
solo dei piccoli ornamenti, gioielli veri e propri ma anche semplici nastri incrociati
alla sommità del capo, fiocchi, o pennacchi arditamente infilati nell’acconciatura.
Molto in voga, sia in versione da giorno che da sera, i turbanti.
A proposito di capelli:
così come si semplificano gli abiti, anche le acconciature diventano meno
arzigogolate e mastodontiche e, soprattutto, le parrucche, sia quelle degli
uomini che delle donne, finiscono in soffitta. I capelli delle signore vengono
tagliati e arricciati in modo che ricadano sulla fronte e ai lati del viso in
morbidi riccioli. Quelli più lunghi vengono stretti in una crocchia sulla
sommità del capo. Vietato uscire senza: guanti, inevitabili e inamovibili di
giorno come di sera sia per lui che per lei (si potevano togliere solo durante
la cena); ventagli, utili, oltre che
a farsi vento dopo un ballo o a nascondersi mentre si mormora qualche
pettegolezzo, a comunicare ai gentiluomini con gesti precisi il proprio
interesse o disinteresse (ma attenzione a non confondersi!); reticella, una sorta di borsa di stoffa
necessaria durante il giorno perché gli abiti non prevedevano tasche di alcun
tipo, e parasole che evitava alle
lady nasi arrossati e poco aristocratiche lentiggini.
Gli abiti dei
gentiluomini. Sulla spinta della rivoluzione francese prima e poi grazie a
Lord Brummell cambiano radicalmente. A mettersi in testa cipria (peraltro
tassata da Pitt con una legge del 1795) e parrucche sono ormai solo avvocati, preti,
medici, giudici, militari e servitori, ma anche chi frequenta la corte. Nell’aristocrazia
il dandismo di Brummel poco per volta si impone e gli uomini seguono il loro
vate e come lui si tagliano i capelli alla
Brutus
(senza disdegnare riccioli e tirabaci vari), si radono il volto ma si fanno
crescere i favoriti, indossano abiti che ricordano quelli dei gentiluomini di
campagna, sobri nei colori e nei tagli. Abbandonano i pantaloni al ginocchio
per quelli lunghi (prima solo di giorno, poi anche alla sera: da Almack’s,
però, non si entrava senza braghe al ginocchio!), scelgono giacche attillatissime
dal taglio impeccabile (sul davanti tagliate alla vita, dietro con la coda), panciotti
raffinati, camicie di lino immacolate dai colli alti, strette da cravatte dai
nodi complicati (in realtà erano strisce di tessuto perfettamente inamidate che
si giravano parecchie volte intorno al collo prima di essere annodate). Di
giorno indossano stivali da cavallerizzo al ginocchio (i famosi
hessian boots) o stivaletti, la sera
scarpe con i lacci (le scarpe con la fibbia spariscono). Il bastone da
passeggio (a volte animato visto che un gentiluomo non esce armato di spada)
diventa un must. Dimenticati il tricorno e il bicorno, va di moda un cappello
alto e leggermente conico che darà origine al classico cappello a cilindro. La
moda maschile si indirizza verso scelte sobrie e di rigore, ma per questo non
così comode da indossare: non è un caso che tutti gli aristocratici necessitino
di un valletto per vestirsi e per svestirsi (il valletto, un altro comprimario
classico nel regency!).
E a proposito di servitù…Be’,
ci sono delle figure irrinunciabili che, prima o poi, fanno la loro comparsa
nel corso della storia: il maggiordomo (the
butler), signore della casa, spesso più snob dei padroni. La governante, la
cuoca con il suo esercito di aiutanti, i camerieri e le cameriere (di vario
ordine e grado), le sguattere, il valletto di my lord, la cameriera personale di my lady,
guardaportoni, stallieri, bambinaie (nunnies) e istitutori. E di certo mi sono dimenticata
di qualche figura fondamentale dei piani bassi.
5) Si fa presto a dire my lord: per scrivere un regency bisogna conoscere
qualche regola base sui titoli nobiliari.
Ve lo dico subito: fate attenzione ai titoli nobiliari che
sono un bel casino. Ci sono regole precise (ancora oggi valide) dalle quali non
si può prescindere. E poi…ci sono le “precedenze”,
una sorta di classifica che tiene conto dell’importanza del singolo titolo, dal
monarca all’ultimo baronetto!
Ecco i titoli nobiliari, a incominciare dal più alto.
Duca, è un titolo
territoriale, il più ambito nei regency storici essendo il più prossimo a
quello reale, ma in realtà non così diffuso quanto la narrativa regency
vorrebbe farci credere. Si conta che nel 1818 ci fossero in tutto 25 duchi (tra
Inghilterra, Scozia e Irlanda).
Al duca e alla duchessa non ci si rivolge MAI chiamadoli
lord e lady o con il nome di battesimo o con il cognome, ma solo Vostra Grazia.
Supponete che il nuovo duca di York si chiami alla nascita Giovanni Rossi: sarà
per tutti Sua Grazia il duca di York, o York in caso di estrema confidenza, mai
Duca Rossi (sì, fa ridere, lo so).
Marchese. Il secondo
titolo un ordine di importanza è pure territoriale: esempio, Marchese di
Vattelapesca. Quando ci si rivolge a un marchese lo si chiamerà Lord
Vattelapesca o solo (se si è in confidenza), Vattelapesca. Nome e cognome di
famiglia non vengono mai usati.
Conte. È pure un
titolo territoriale, quindi non corrisponde al cognome, ma alla contea: il
Conte di Meraviglia, anche se raramente in inglese si usa Earl of Meraviglia,
ma solo Earl Meraviglia. Ci si rivolge a lui come Lord Meraviglia, o Meraviglia
se si è in confidenza. Nome e cognome non vengono mai usati.
Visconte e barone.
Quelli di visconte e di barone non sono titoli territoriali, per cui spesso il
titolo corrisponde al cognome. Ci si rivolge a loro come Lord Taldeitali, o
Taldeitali se si è in confidenza.
I baronetti, infine, non sono peer, non siedono nella House of Lords.
Non ci si rivolge a loro come Lord, ma come Sir più il nome di battesimo. La moglie
di un baronetto è una dame, ma ci si
rivolge a lei come Lady più il suo nome di battesimo più il cognome del marito.
Re, principi e regine. Ci si rivolge
a loro come Vostra Altezza Reale. Per fortuna la loro presenza nei regency è
piuttosto casuale (a volte si nomina il reggente o la regina Carlotta) ma non
li ho mai tincontrati tra i protagonisti. Per fortuna, dicevo, perché le regole
che governano il protocollo reale non finiscono più!
Per ricapitolare:
a) A un pari d’Inghilterra ci si rivolge
col titolo, mai con il cognome di famiglia (solo nel caso di visconti e baroni
titolo e cognome a volte corrispondono).
Supponiamo che Fitzwilliam Darcy sia
un nobile, signore di Vattelapesca, sposato con Elizabeth Bennet.
Se si tratta di un duca ci si rivolgerà a lui chiamandolo: Vostra Grazia,
oppure Vostra Grazia Vattelapesca, o ancora Vattelapesca se si è in confidenza.
In tutti gli altri casi (marchesi, conti, visconti, baroni) ci si rivolgerà a
lui come Vostra signoria (Your Lordship), Lord Vattelapesca e se si è in
confidenza, Vattelapesca.
In ogni caso si firmerà semplicemente Vattelapesca.
b) La moglie di un pari con il
matrimonio perde il cognome da nubile. Ci si rivolgerà a lei come: Vostra
Grazia (Vattelapesca) se è una duchessa. In tutti gli altri casi la si chiamerà
Lady Vattelapesca (mai Lady
Elizabeth Vattelapesca), oppure my lady, o ancora Vostra Signoria (Your
Ladyship). Si firmerà sempre con il nome
di battesimo + il titolo: Elizabeth Vattelapesca.
Solo la moglie o la madre di un pari hanno diritto al titolo di Lady
Vattelapesca.
c) I figli dei pari. Come si diceva
prima, solo il primogenito ha diritto al titolo.
Nel caso di duchi e
marchesi all’erede viene attribuito fin dalla nascita il secondo titolo del
casato, come mero titolo di cortesia. Supponiamo che il duca Vattelapesca sia
anche marchese di VattelapescaDiSotto. In attesa di ereditare il ducato, il suo
primogenito diventerà Marchese di
VattelapescaDiSotto. E se questi dovesse diventare padre prima di essere duca,
a sua volta il suo primogenito otterrebbe il terzo titolo dei Vattelapesca (se
esiste, ad esempio Conte di VattelapescaDiSopra). Tutti gli altri figli di
Fitzwilliam Darcy duca di Vattelapesca saranno per cortesia chiamati Lord + nome di battesimo + Darcy, ma rimarranno
sempre dei commoner (a meno che non uccidano tutti i legittimi eredi al titolo
che li precedono nella linea ereditaria). Supponiamo che il secondo genito del
Duca di Vattelapesca si chiami Robert: verrà chiamato Lord Robert Darcy e sua
moglie Lady Robert Darcy, ma i loro figli saranno dei semplici mister.
Nel caso il nostro duca (o marchese) Vattelapesca abbia delle figlie, queste
verranno chiamate per cortesia Lady + nome di battesimo + Darcy, oppure solo
Lady + nome di battesimo. Ad esempio Lady Orthensia Darcy. Se Lady Orthensia
sposerà un pari, esempio il conte di Chisoio, diventerà Lady Chisoio, se
sposerà un commoner diventerà Mrs Commoner.
L’erede di un conte ha
pure diritto al secondo titolo del casato (l’erede dell’erede no). Se non
esiste un secondo titolo sarà chiamato Lord + il cognome del padre. Gli altri
figli avranno il titolo di honorable e
si firmeranno: honorable + nome di battesimo + cognome ma, per legge, saranno
semplicemente dei mister. Le figlie di un conte saranno Lady + nome di
battesimo + cognome.
Gli eredi di un visconte
o di un barone non hanno titoli
di cortesia, ma vengono definiti honorable,
così come i loro fratelli minori. Le loro sorelle vengono semplicemente
chiamate Miss.
I figli dei baronetti sono dei commoner e a loro ci si rivolge come Mister o
Miss.
6) Per scrivere un
regency bisogna conoscere come si eredita un titolo.
Un altro tema molto presente nelle
trame dei regency è quello dell’eredità.
Ai tempi della reggenza le donne di regola NON ereditavano il titolo che passava,
in caso di morte di un pari, al parente maschio più prossimo (ma ci sono
eccezioni comprovate – soprattutto tra i baroni - che confermano la regola,
quindi nei vostri romanzi potete anche scatenare la fantasia e lasciare in
eredità il titolo a una donna).
Un erede legittimo non può essere diseredato in nessuno caso
(be’, potete sempre ucciderlo, o farlo uccidere se è un impiastro).
L’erede maschio, che sia figlio o parente più prossimo del
pari, riceve insieme al titolo la entailed
property, ovvero tutto ciò (terre,
coltivazioni, investimenti, possedimenti, edifici in città, residenze di
campagna) che fa capo al casato e che lo alimenta economicamente. Se, alla
morte di un pari, non esiste un erede legittimo, il casato e la sua entailed property tornano alla Corona. Un
pari poteva fare testamento e decidere di lasciare in eredità i beni non
vincolati alla entailed property (ad
esempio quelli ricevuti in dote dalla moglie, o vinti al gioco) a chiunque
volesse. Non era obbligato a lasciarli alla moglie o agli altri figli (insomma,
non esisteva la legittima).
I figli bastardi di un pari, anche se primogeniti,
non avevano diritto al titolo, anche se allevati insieme al resto della
prole nella casa del padre. Se, oltre al figlio illegittimo, non vi erano altri
eredi al titolo, titolo e proprietà tornavano alla Corona. Per non essere considerato
illegittimo, un figlio doveva nascere all’interno del matrimonio, non obbligatoriamente
essere concepito all’interno del matrimonio. Un figlio maschio illegittimo riconosciuto
dal padre veniva accettato in società. Una figlia illegittima non veniva mai accettata
in società. Di bastardi, più o meno affascinanti, la narrativa regency pullula.
7) Su rendite e
denaro (e perdonate le approssimazioni).
Un pound aveva il potere di acquisto quasi 50 sterline di
oggi.
La rendita annuale di un uomo molto ricco, come Mr Darcy, era di 10.000
sterline, pari a circa 340.000 sterline di oggi e al 4% del suo capitale totale
(fate voi i conti J).
A una famiglia benestante occorrevano per vivere senza particolare sfarzo circa
200 sterline a persona. La rendita di Mr Bennet (il padre di Lizzie) era di
2000 sterline all’anno, circa 68.000 di oggi. In caso di morte, tutto il suo
capitale sarebbe finito all’odioso cugino Collins e a Mrs Bennet sarebbero
rimaste solo 200 sterline all’anno. Vi stupite che volesse sistemare le figlie?
Durante la season
l’affitto di una town house nel West End poteva costare fino a 1000
sterline.
La rendita annuale di un operaio o di un contadino era tra i
15 e i 20 pounds.
Di una cameriera (con vitto e alloggio) 5 - 15 sterline.
Jane Austen ricavò dalla vendita dei suoi romanzi 684 sterline, circa 23.000
pounds di oggi.
Anche se ai tempi non esistevano le carte di credito, le
classi più agiate, borghesi e patrizie, avevano sempre un conto aperto presso i
bottegai abituali, compresi i sarti. In altre parole, pagavano quando volevano
(i poveretti non potevano farlo, ovvio!). I regency sono affollati di nobili
affascinanti e squattrinati inseguiti dai debitori.
Il denaro si presentava di norma sotto forma di moneta (la guinea d’oro –una
sterlina + un penny- era il pezzo più prezioso). Esistevano già le banconote, emesse
dalle singole banche, non dal governo, quindi più simili a degli assegni che a
denaro corrente. I Funds (fondi) governativi pagavano annualmente un interesse
del 4%.
8) Qualche notizia
alla spicciolata.
Il ton era solito porgere i propri omaggi durante i morning call, brevi visite
di solito pomeridiane che non necessitavano di un invito. Se l’ospite era di
ceto inferiore a quello dei padroni di casa o era nuovo in città doveva
attendere un invito specifico per recarsi in visita. In campagna le regole di
vicinato erano molto più elastiche.
Un biglietto da visita (ecco perché si chiamano così) era
lasciato dal visitatore nel caso i padroni di casa non fossero stati in casa.
Una lady, sia sposata che nubile, non si recava mai in
visita a casa di un uomo. Un uomo poteva far visita alla figlia di una famiglia
conosciuta solo se questa non era più in età da marito o se era un’amica di lunga
data.
Una lady poteva guidare in città il proprio calesse solo se
accompagnata da un valletto o da uno chaperon. In campagna, all’interno delle
proprie terre, non aveva alcun obbligo.
Una lady, anche se fornita di chaperon, non transitava mai col suo calesse in
St James Street, dove avevano sede i gentleman club più frequentati dai lord.
Per cena era d’obbligo indossare un abito da sera.
A una cena formale, il padrone precedeva gli ospiti in sala
da pranzo al braccio della gentildonna di rango più alto. Gli altri ospiti seguivano
a due a due, sempre in ordine discendente di rango (in base alla precedence). La gentildonna più alta di
rango sedeva alla destra del padrone di casa il cui posto era sempre a
capotavola.
Nelle cene formali si poteva parlare solo con i propri vicini, in quelle informali
anche con gli altri commensali.
Al termine della cena le signore si ritiravano in salotto lasciando i signori
ai loro sigari, liquori e discorsi.
Dare sfogo in pubblico alle proprie emozioni era considerato
maleducato.
Era permesso ridere, ma non in modo esagerato (soprattutto
alle signore).
Gli uomini potevano invece dare sfogo al proprio
divertimento se erano in compagnia di altri uomini o di donne di dubbia
reputazione.
Una lady non partecipava mai a gare o competizioni.
Galoppare a Hyde Park era vietato.
Durante la stagione era necessario farsi vedere a Hyde Park durante l’ora della
passeggiata, tra le cinque e le sei del pomeriggio.
In strada i domestici (ad esempio la cameriera personale di una giovane lady)
rimanevano sempre a qualche passo di distanza dai loro padroni. Ai domestici ci
si rivolgeva sempre con educazione e in modo formale.
Una signora non doveva mai parlare di certe indecorose attività
maschili, anzi doveva fingere che non esistessero. Un uomo doveva tenere
separate dalla famiglia le medesime attività e gli amici non raccomandabili.
Dopo aver dato un erede al marito, una donna poteva, con discrezione, avere un
amante.
Un lord doveva pagare subito i suoi debiti, o ne andava del
suo onore.
Una lady non doveva occuparsi di denaro se aveva un uomo che
poteva farlo per lei.
I duelli erano vietati dalla legge.