Questo romanzo è stato finalista al Concorso Nazionale 'Il mio esordio' indetto da Feltrinelli, sto parlando di "Tregua - Il segreto" ma andiamo a scoprire qualcosa di più su questo libro.
SINOSSI: Puglia, gennaio 1943.
Elisa ha diciotto anni, è una ragazza semplice e vive con il padre Vito e il fratello maggiore Antonio. La sua vita è scandita da una monotonia triste e a volte spaventosa: razioni insufficienti, sottomissione agli uomini di casa, rappresaglie delle Camicie Nere e bombardamenti alleati. Non sa cosa siano il mare, la libertà, l’amore, eppure la sua vita sta per cambiare. L’incontro con un uomo misterioso getterà ombre e dubbi sulle convinzioni della comunità del paese e su quelle di Elisa, sui suoi legami familiari. Anche la ragazza però cela un segreto: esso potrebbe rappresentare la fine dell’unica speranza che si affaccia all’orizzonte.
In un romanzo che ha il sapore di sole e calce, terra e pane nero, la vita rincorre e sfida gli orrori della dittatura e dei campi di concentramento, spera nelle attività antifasciste e incassa le perdite. La storia di una ragazza che, costretta dalla guerra, dall’odio e dall’amore, diventa donna. Il ritratto di un’Italia che non c’è più. La coscienza degli eroi dimenticati che, con il loro contributo, hanno fatto grande la Storia.
Eccovene un assaggio
La domenica tutti indossavano gli abiti migliori. Per quanto riguarda mio fratello, l’unico accessorio che dava lustro al logoro completo di lana erano le scarpe buone. Antonio le possedeva da anni eppure le indossava solo la domenica: nei campi e nei vignali andava scalzo, mentre per i tratturi e le strade si arrangiava con dei sandali sdruciti. Ogni sabato lucidavo le scarpe buone con una spazzola intinta nella fuliggine della caldaia, il che mi rendeva fiera di lui quando lo vedevo entrare in chiesa con quelle calzature.
Io invece di domenica indossavo l’unico abito femminile che era rimasto nel mio guardaroba: di un tessuto simile al velluto, rosa chiaro con le maniche lunghe e larghe; in vita si stringeva con un nastro di raso per poi scendere largo fino al ginocchio dove uno strato di pizzo rosa circondava la gonna a ruota. Era il più bel vestito che avessi mai avuto e mi andava ancora, anzi ultimamente diventava sempre più largo.
Mi spazzolai con cura i boccoli, indossai il vestito e la mantellina di Antonio e uscii alle prime luci dell’alba. Alle sei e mezza mi trovavo già al Palazzo Ducale. Come avevo previsto trovai pochissime persone in coda davanti a me. Acquistai il solito pane nero, pasta, zucchero, una manciata di semi di girasole per fare il caffè e un po’ di fave.
Con queste farò un bel purè, pensai mettendo le preziose fave nel paniere. A papà e ad Antonio piacevano molto.
Il cielo stava diventando sempre più scuro e le cime degli alberi di Piazza Municipio oscillavano minacciosamente; il vento schiaffeggiava gli zampilli d’acqua nella fontana dei delfini. Affrettai il passo per non essere sorpresa dal piovasco imminente.
Scorsi una figura familiare nella direzione verso la quale stavo andando. Era Alec. Fermo in piedi all’entrata di una viuzza che io percorrevo abitualmente, aveva le braccia incrociate sul petto e un piede poggiato contro il muro bianco del palazzo.
Cambiai ignominiosamente traiettoria dirigendomi verso un’altra stradina che mi avrebbe comunque condotta a destinazione.
Mi ero appena immessa nel vicolo quando mi sentii afferrare per un polso.
Sapevo che era lui. Mi voltai a guardarlo: quella mattina i suoi occhi erano di un color ambra particolare, quasi trasparente, riflesso inconsueto del cielo torbido.
«Ciao», risposi abbassando gli occhi.
«Ciao un cavolo», fu la sua risposta.
Mi lasciò a bocca aperta.
«Non guardarmi in quel modo! Stai forse cercando di evitarmi?»
Scossi la testa.
«Ah, no? Allora spiegami perché hai cambiato strada.»
Non seppi cosa dire.
«Se è per quello che è accaduto…»
«No!», lo interruppi. Non volevo ritenesse uno sbaglio ciò che era successo il giorno prima.
«Quindi qual è il problema?», volle sapere.
Sospirai. «Non c’è alcun problema.»
«Certo, no. E per quale ragione mi hai mandato via così malamente?», domandò in tono greve.
Trasalii e lo guardai con occhi colpevoli.
Si avvicinò. «Puoi spiegarmelo?»
Una goccia di pioggia mi cadde sulla guancia. L’acqua fredda mi fece rabbrividire. Un’altra goccia, questa volta sul naso. E poi un’altra sulla mantellina. In un attimo cominciò a piovere dal cielo una miriade di goccioline che ci investì da capo a piedi. Io iniziai a piangere. me ne vergognai.
Alec, impassibile davanti a me, mi osservava in attesa di una spiegazione. Ma io non potevo spiegargli nulla: per me era stato il secondo contatto con un uomo. Dopo il primo. Il primo, terribile, bruciante ricordo che mi faceva desiderare di svanire ogni giorno. [...]
Io invece di domenica indossavo l’unico abito femminile che era rimasto nel mio guardaroba: di un tessuto simile al velluto, rosa chiaro con le maniche lunghe e larghe; in vita si stringeva con un nastro di raso per poi scendere largo fino al ginocchio dove uno strato di pizzo rosa circondava la gonna a ruota. Era il più bel vestito che avessi mai avuto e mi andava ancora, anzi ultimamente diventava sempre più largo.
Mi spazzolai con cura i boccoli, indossai il vestito e la mantellina di Antonio e uscii alle prime luci dell’alba. Alle sei e mezza mi trovavo già al Palazzo Ducale. Come avevo previsto trovai pochissime persone in coda davanti a me. Acquistai il solito pane nero, pasta, zucchero, una manciata di semi di girasole per fare il caffè e un po’ di fave.
Con queste farò un bel purè, pensai mettendo le preziose fave nel paniere. A papà e ad Antonio piacevano molto.
Il cielo stava diventando sempre più scuro e le cime degli alberi di Piazza Municipio oscillavano minacciosamente; il vento schiaffeggiava gli zampilli d’acqua nella fontana dei delfini. Affrettai il passo per non essere sorpresa dal piovasco imminente.
Scorsi una figura familiare nella direzione verso la quale stavo andando. Era Alec. Fermo in piedi all’entrata di una viuzza che io percorrevo abitualmente, aveva le braccia incrociate sul petto e un piede poggiato contro il muro bianco del palazzo.
Cambiai ignominiosamente traiettoria dirigendomi verso un’altra stradina che mi avrebbe comunque condotta a destinazione.
Mi ero appena immessa nel vicolo quando mi sentii afferrare per un polso.
Sapevo che era lui. Mi voltai a guardarlo: quella mattina i suoi occhi erano di un color ambra particolare, quasi trasparente, riflesso inconsueto del cielo torbido.
«Ciao», risposi abbassando gli occhi.
«Ciao un cavolo», fu la sua risposta.
Mi lasciò a bocca aperta.
«Non guardarmi in quel modo! Stai forse cercando di evitarmi?»
Scossi la testa.
«Ah, no? Allora spiegami perché hai cambiato strada.»
Non seppi cosa dire.
«Se è per quello che è accaduto…»
«No!», lo interruppi. Non volevo ritenesse uno sbaglio ciò che era successo il giorno prima.
«Quindi qual è il problema?», volle sapere.
Sospirai. «Non c’è alcun problema.»
«Certo, no. E per quale ragione mi hai mandato via così malamente?», domandò in tono greve.
Trasalii e lo guardai con occhi colpevoli.
Si avvicinò. «Puoi spiegarmelo?»
Una goccia di pioggia mi cadde sulla guancia. L’acqua fredda mi fece rabbrividire. Un’altra goccia, questa volta sul naso. E poi un’altra sulla mantellina. In un attimo cominciò a piovere dal cielo una miriade di goccioline che ci investì da capo a piedi. Io iniziai a piangere. me ne vergognai.
Alec, impassibile davanti a me, mi osservava in attesa di una spiegazione. Ma io non potevo spiegargli nulla: per me era stato il secondo contatto con un uomo. Dopo il primo. Il primo, terribile, bruciante ricordo che mi faceva desiderare di svanire ogni giorno. [...]
L'AUTRICE: Nata nel 1987, Ilaria Goffredo vive in Puglia ed è laureata in scienze della formazione. Ha viaggiato in tutta Europa e lavorato in agenzie di viaggi e grandi villaggi turistici. Nel 2005 ha lavorato come volontaria in una scuola professionale di Malindi, in Kenya. Lì si è innamorata di quella terra meravigliosa e della sua gente straordinaria. È stata giurato ufficiale del concorso “Casa Sanremo Writers Edizione 2013”. Ha vinto diversi premi letterari per racconti e diari di viaggio. Gestisce un blog che tratta di arte, storia e letteratura. È ricercatrice indipendente. Con il romanzo TREGUA si è classificata finalista nel concorso nazionale ilmioesordio 2012.
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