Oggi, vi presento il libro di Federico Fantini, dal titolo Sei Mesi di Prova.
Andiamo a conoscerlo meglio!
SINOSSI: Federico Fantini, classe 1990, è un personaggio che, non riuscendo a
scovare un autore che parlasse di lui, ha deciso di diventare autore di
se stesso e di scrivere un’autobiografia sul suo rocambolesco esordio
nel mondo del lavoro. Non pago di essere nato e cresciuto nella città di
R., ha pure trovato impiego a pochi chilometri da casa, per la gioia di
sua madre, dalla quale ha un’intensa dipendenza psicologica. Ha una
sorella maggiore, Emilia, e due nipoti scatenati. Gli piace
chiacchierare con gli amici davanti a una birra e ha un rapporto
controverso col caffè. Ha una passione sfrenata per i fumetti della
Marvel e il sogno di un contratto a tempo indeterminato nella sua
azienda, la “prima in Italia nel suo settore”.
Riuscirà a ottenere il tanto agognato posto fisso? Riuscirà a entrare nelle grazie della sua responsabile, Paola Zara?
Questo
è il suo primo libro, e, se non succede più nulla di folle, se la
girandola di colleghi e parenti che lo circonda si darà una calmata,
sarà anche l’ultimo.
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Il guardiano, chiuso nella sua divisa verde come una specie di militare, controlla il mio nome su una lista e poi alza verso di me uno sguardo sospettoso: «Non c’è. È sicuro che fosse proprio oggi?»
Sbatto le palpebre. «Sì, certo. Il Personale mi ha convocato per questa mattina. Devo prendere servizio» ripeto, e comincio a entrare in ansia. Avrò capito male? Non era oggi? Avrò sognato tutto, compresa l’assunzione?
«Ricontrollo» fa quello, flemmatico fino a farmi saltare i nervi. «Fantini, ha detto?»
«Sì» ripeto speranzoso.
«No, non c’è.»
«Come?» inizio ad angosciarmi. «E allora che si può fare?»
«Non so.»
Il guardiano ha un’espressione impassibile. «Torni un altro giorno.»
Ho le mani che sudano. «Scusi ma quando arriva un ospite di solito come fate?»
«Quando arriva un ospite, di solito telefoniamo a quello che lo attende.»
Attingo a tutto il mio self-control: «E allora, cortesemente, può telefonare al dottor Sgherla?»
Il guardiano sbuffa come se gli avessi chiesto di fare qualcosa di improbabile, tipo di prendere una fetta di luna e di servirmela su un piatto con uno spicchio di limone. «Provo.»
Mentre compone il numero, altri impiegati, intorno a me, stanno entrando nel cortile e attraversano dei tornelli dopo avere strisciato il loro badge. Un altro guardiano, in piedi, li osserva con occhio di triglia e controlla che tutto si svolga in modo regolare. Quand’ecco che una donna visibilmente incinta tenta di entrare, evitando i tornelli, e viene subito fermata dal piantone: «Dove sta andando, lei? Perché non passa dai tornelli come gli altri?»
La donna incinta sbuffa, alza gli occhi al cielo e prende fiato, come se si apprestasse a fare una cosa che le dà parecchio fastidio:
«Perché l’RSPP, il responsabile del servizio prevenzione e protezione, mi ha VI-E-TA-TO di passare in mezzo ai tornelli, visto che sono incinta e potrei farmi male» spiega con una voce cantilenante e con l’intonazione esausta di chi ripete la stessa storia tutte le sacrosante mattine o quasi.
Il guardiano la scruta con occhio bovino e sembra non vederla nemmeno: «Ha un certificato di gravidanza?»
La signora rovista nella borsa, tira fuori un foglio spiegazzato e glielo sbatte sotto gli occhi.
«Ah, okay, vada pure» commenta il guardiano, impassibile.
Sento la futura mamma imprecare sommessamente mentre si allontana: «Non è possibile, tra un mese nasce, come fa a chiedermi se sono incinta… tutti i giorni? Idiota… Crede forse che io mi diverta a girare con un cuscino sotto il vestito?»
Mi sfrego gli occhi e ancora non ci credo. Nel frattempo, il mio guardiano mette la testa fuori dalla guardiola: «Il dottor Sgherla alla scrivania non c’è. Non risponde.»
«E quindi?» dico a mezza voce.
«Torni più tardi» mi anticipa lui.
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