Per la rubrica #QuelLibroNelCassetto inizia oggi una nuova sezione dedicata ai consigli per gli autori emergenti e non.
Iniziamo oggi a trattare il genere storico. Assieme a Speciali Ospiti d'Onore tratteremo tutte le sfumature dell'History.
Oggi è con noi Viviana Giorgi che vanta una quindicina di pubblicazioni tra romanzi e racconti con Emma Books e Mondolibri; ha esordito nel 2012 con "Bang Bang - Tutta colpa del gatto rosso", sostenitrice del "lieto fine" e socia fondatrice dell'associazione EWWA, è
un'autrice che predilige "eroine decise ma un po’ imbranate e non certo sofisticate" ed "eroi gloriosamente da sballo".
Perchè come dice sempre Viviana "Se si deve sognare , melio farlo alla grande!"
Oggi apriamo questa sezione dedicata allo storico con un periodo amato e acclamato: L'EPOCA VITTORIANA.
Periodo che fa riferimento alla reggenza in Inghilterra della Regina Vittoria. Un periodo florido, ricco di mutamenti ed espansioni territoriali, ma anche teatro di importanti mutamenti sociali.
I costumi, gli usi, le dimore, tutto ci attrae di quest'epoca idolatrata dalle lettrici di storico, un'epoca adatta a sognare e a fare innamorare, ma con regole importanti da conoscere e rispettare.
Lasciamo la parola a Viviana, ora!
Ciao Viviana, benvenuta nel mio blog. Partiamo subito dalla
definizione di “Epoca Vittoriana”. A quale periodo specifico ci si riferisce quanto si
utilizza questo termine?
Ciao Linda, sono molto felice che tu mi abbia invitata a
fare due chiacchiere su un argomento che amo ma di cui, ci tengo a sottolinearlo,
non mi ritergo tra le più esperte! Grazie, sono lusingata del tuo invito!
Quando si parla di “Epoca vittoriana” ci si riferisce ovviamente al periodo in cui
Vittoria fu Regina, che va dal giugno 1837 al gennaio 1901.
È naturale che in
un salto temporale tanto ampio anche lo stile letterario, come qualsiasi altro
aspetto della vita sociale e culturale, abbia subìto una drastica evoluzione
sia dei temi trattati che dello stile utilizzato.
Insomma, se gli inizi del vittoriano
sono ancora impregnati del romanticismo di inizio '800, gli ultimi decenni
scivolano sempre più verso il “modernismo”, basti pensare rispettivamente a Charles
Dickens e a Thomas Hardy.
Spesso, quando si parla di epoca vittoriana, ci si
riferisce a una pruderie di fondo che in realtà è per me l’aspetto meno
interessante. Preferisco pensare al Vittorianesimo come al periodo dei
cambiamenti, delle rivoluzioni sociali, delle denunce sollevate anche grazie all’aiuto degli
scrittori. Se all’inizio dell’800 la letteratura era riservata a pochi e si
esprimeva soprattutto con la poesia, nei decenni successivi fu il romanzo a
diventare popolare, rivolgendosi non più solo alla fascia più colta della
popolazione, ma a tutti coloro che sapevano leggere, come borghesi, commercianti,
impiegati e anche sempre più donne!
Dickens pubblica i suoi romanzi (che sono
di denuncia oltre a mille altre cose) a puntate sui quotidiani e verso la fine
del secolo Wilde e Shaw portano a teatro la loro critica e satira sociale.
Uno dei maggiori esponenti della letteratura vittoriana è proprio
Charles Dickens che introduce il narratore onnisciente. Da qui, questo tipo di
narrazione viene largamente diffusa prima di essere soppiantata dal POV dei
vari personaggi. Quale tipo di narrazione consideri più idonea per il romanzo
vittoriano?
Personalmente adoro questo tipo di narrazione, ma oggi, hai
ragione, è del tutto desueta. Il POV dei personaggi dà più ritmo al racconto e
si sa che sempre di più, almeno nel romanzo di genere, si tende a stringere più
che a lasciarsi andare a lunghe descrizioni. Certo, se si riproponesse il POV
del narratore onnisciente, forse sarebbe meglio accolto dal lettore in uno
storico che non in un contemporaneo, ma penso che siano gli scrittori, prima
degli stessi lettori, a evitarlo. In generale io credo che non ci sia un “tipo
di narrazione” più adatta di un’altra a una certa tipologia di romanzo, a meno che
l’intento non sia quello dichiarato di ricreare lo stile di un particolare autore.
Ti racconto un piccolo fatto che mi è capitato di recente, con il mio ultimo romanzo,
“Zitta e ferma Miss Portland”, che NON è un vittoriano, ma un regency. Ho
utilizzato come sempre la terza persona e il punto di vista alternato dei due
personaggi ma, come trait d’union, per velocizzare certi passaggi senza dover
omettere particolari del racconto, ho usato il narratore onnisciente. Un modo
anche per rendere omaggio a Georgette Heyer, creatrice del regency, che lo
utilizzava. Inoltre, per sottolineare anche
graficamente che si trattava non più del punto di vista dei protagonisti ma di
“qualcosa di diverso”, ho optato per il corsivo. Una scelta che non sono
affatto sicura che sia stata capita e apprezzata.
Da Dickens a Emily Bronte con l’indimenticabile “Cime
tempestose” che rivoluziona il genere, offrendo un romanzo pieno di passione e
di temi cupi. Il romanzo vittoriano rappresenta un’evoluzione in questo senso?
Si può iniziare a mostrare la “passione” senza sottostare ai dogmi imposti
dalla società?
Ma certo, ne sono sicura. Neppure le più ferree regole della
società inglese vittoriana hanno potuto imbrigliare la passione che, in
qualsiasi epoca, ha infiammato le pagine dei grandi romanzi.
Passione e tinte
drammatiche che Dickens, nella sua immensa grandezza, ha saputo rendere
ironiche e fortemente satiriche nei
confronti della società. È interessante notare come, fra le donne, le due più
famose sorelle Bronte, Charlotte ed Emily, abbiano scritto storie ancora in
fondo legate alla moda romantica del gotico, mentre George Sand, qualche
decennio più tardi, disegnava con il poco conosciuto “Middlemarch” (vorrei
trovare il tempo per rileggerlo) un affresco della società inglese del 1830
circa, descrivendo dalla parte delle donne con molta ironia i cambiamenti sociali e culturali in corso.
Scrivere oggi di una qualsiasi epoca storica vuol dire secondo me offrire con
mano leggera uno scorcio onesto e corretto di quella società, dei suoi usi e costumi come delle sue ingiustizie, insistendo
sugli aspetti che più interessano le nostre esigenze narrative. Non dobbiamo
scrivere saggi di storia, ma solo storie.
E concludiamo l’epoca con Oscar Wilde che denuncia la
società con “Il ritratto di Dorian Grey”. Allora era comune per gli autori utilizzare la
letteratura per lanciare moniti o messaggi importanti. Quanto è cambiato il
romanzo vittoriano a oggi? Ora si utilizza solo per raccontare una storia densa
di pathos e atmosfera o si denunciano ancora le tematiche sociali?
Non so risponderti, onestamente. Oggi mi sembra che il periodo vittoriano venga
utilizzato soprattutto come background per dei generi precisi: dallo steampunk
al mistery gotico e al romance. Atmosfera e pathos probabilmente vincono qui sulle
tematiche sociali, insomma la Londra di "Jack lo squartatore", dei sobborghi
malfamati o dell’alta società ha sempre il suo fascino; ma, almeno per quel che
mi riguarda, è proprio il cambiamento a
interessarmi, l’evolversi della scienza e della tecnologia, l’aprirsi al nuovo
secolo. Parlo dello sviluppo delle conoscenze scientifiche, dei trasporti (che hanno
sì cambiato il mondo), dell’accessibilità più democratica all’informazione, della
denuncia dello sfruttamento del lavoro femminile e infantile, dell’avanzata di
nuove classi sociali e delle prime lotte
per l’ emancipazione e per il suffragio (a cui la regina Vittoria, imperatrice
di un terzo del mondo, si dichiarò così contraria - per motivi politici - da
asserire che le femministe avrebbero dovuto essere frustate).
Il periodo
vittoriano che mi interessa è proprio questo, un mondo ricco di stimoli e
fermenti, con tutte le contraddizioni sociali e culturali che il passaggio verso
il ‘900 comportava. È ovvio che, ambientando i miei romance in un mondo tanto
vivace, ho molte più chance di presentare eroine moderne, non imbalsamate nei ruoli classici (che oggi come oggi sarebbero
insopportabili).
Ambientazione vittoriana: la migliore resta quella inglese
da cui deriva la stessa definizione o si può uscire dai confini e trasferirsi in
America o in Italia con lo stesso successo tra i lettori?
Vittoriano dovrebbe riferirsi solo alla società inglese, ma
io credo che anche una storia ambientata nello stesso periodo nelle grandi
città dell’est degli Stati Uniti - dove
la spinta verso il cambiamento era ancora più forte di quella inglese e in
genere europea - possa essere definita vittoriana,
anche per l’evidente familiarità che l’America ha con la cultura anglosassone (e
non a caso il romanzo che considero più vittoriano tra quelli letti è proprio “Washington
Square” di Henry James).
Nel mio piccolo, ho ambientato “Un amore di fine secolo” nella New York del
1898, non a Londra, proprio perché ritenevo che a New York la vicenda potesse
essere più verosimile. Una giovane donna inglese intraprende uno scomodo
viaggio in nave fino a New York con lo scopo di sposarsi e cambiar così in modo
radicale la propria vita, ma quando arriverà non troverà lo sposo ad attenderla
e dovrà inventarsi una professione per vivere: diventerà una giornalista. Ora,
a New York nel 1898 c’erano diciotto quotidiani cui collaboravano ben accette anche
delle giornaliste. Sulla base di questa realtà ecco che New York è diventata
per me una scelta obbligata e credibile, non un modo per rendere più glamorous la mia storia.
Autrici contemporanee che scrivono dell’Ottocento. Cosa deve
restare invariato in termini di lessico e dialoghi e quanto può variare? Il
sesso può essere spinto e la narrazione più accessibile?
Io credo che il termine vittoriano si debba definire solo al
periodo storico in cui è ambientata la vicenda, alla veridicità del background
e alla coerenza dei comportamenti (anche in caso di protagonisti
anticonformisti). Non penso che si debba cercare di scimmiottare gli scrittori del
periodo nel lessico utilizzato, semmai bisogna essere molto attenti a non farsi
scappare parole o modi di dire che ai tempi della storia non erano in uso e a
non cadere in errori cronologici ridicoli. Controllare tutto, controllare
sempre!!! Per quanto riguarda lo stile credo che il mio (sempre che ne abbia
uno) non differisca molto quando scrivo contemporaneo o storico, e poi onestamente
non sto a pensarci su più di tanto. E per quanto riguarda il sesso… il sesso è
sesso, oggi come allora. Certo bisogna tenere presente le differenti abitudini
sociali anche in campo sessuale (e avere a che fare con la verginità della
protagonista è una bella seccatura), ma sta solo a chi scrive, una volta
appurato che la scena di sesso in quel punto sia coerente con l’epoca e con la
storia, descriverla in maniera soft, hot o chiudere la porta della camera da
letto in faccia al lettore. In un vittoriano come in un contemporaneo.
L’eroina vittoriana per eccellenza: pregi e difetti?
Sono stati scritti fior di saggi, sull’argomento! (Non che
li abbia letti, mi do un tono!)
La tipica eroina vittoriana, quella a cui tutti pensiamo subito, è l’ angelo
della casa, che tiene gli occhi bassi e obbedisce al suo signore/padrone, che
racchiude nella sua passività i valori domestici del periodo, in cambio di una
sicurezza sociale che solo il marito e la famiglia possono darle.
L’eroina vittoriana (la cui immagine si diffonde attraverso una letteratura più
accessibile a tutte le classi sociali) non è altro che la difesa del sistema
sociale costituito.
Anche quando questo stereotipo mostra insofferenza verso un ruolo imposto, alla
fine finisce però per accettarlo, come la meravigliosa Margaret di "Nord e sud"
della Gaskell che sposerà Mr Thornton. Ma a quale prezzo? ci chiediamo.
Anche l’altra faccia della medaglia, la donna perduta, che si
rovina per un amore impossibile (Tess d’Uberville) è una figura che si
ripropone spesso nel periodo vittoriano, ed è una figura tragica. Perduta, ma
anche innocente, vittima di una società spesso ipocrita capace di accusare e di
girarsi prontamente dall’altra parte. Visto cosa succede a peccare? Sembra
essere la morale.
Le tue sono eroine moderne inserito nel contesto storico. È questa la chiave per rendere il romanzo vittoriano
plausibile e accettabile nella nostra epoca?
Non lo so. Mi riallaccio al discorso fatto prima sugli
stereotipi e lo dimentico subito. Perché ciò che voglio dalle mie eroine è molto
più semplice: in qualsiasi contesto
storico voglio che siano credibili e capaci di trasmettere delle emozioni.
Per far sì che le mie protagoniste siano portate a pensare ed agire in modo più
moderno rispetto al loro tempo creo semplicemente le condizioni perché lo possano
fare:
1) colloco la vicenda in un ambiente sociale e in un luogo fisico che siano
compatibili alla loro evoluzione esistenziale;
2) le metto di fronte a
circostanze particolari (se non eccezionali) che le inducano a intraprendere
delle strade diverse rispetto a quelle che avrebbero percorso se la loro vita
si fosse svolta nella normalità.
Ad esempio In “La Traversata – Un amore di
inizio secolo”, prequel del romanzo che sto terminando, ambientato nel 1900 su
un transatlantico in rotta dall’America all’Inghilterra, Priscilla è una
nobildonna inglese educata solo a incarnare alla perfezione il ruolo di lady,
di moglie e di madre. Ma cosa succede quando si rende conto di aver sposato un
uomo violento che non la ama? Scappa e per poter tornare in Inghilterra si
impiega su un transatlantico come bibliotecaria. Lei che non ha mai alzato un
dito in vita sua! Sono le circostanze a stravolgere completamente il suo punto
di vista e il lavoro diventa così per lei il mezzo per ottenere la libertà.
Punto di vista troppo moderno per una lady di inizio secolo? Forse, ma non così
strampalato se è la necessità a imporlo.
Il protagonista maschile nel romanzo vittoriano deve
incarnare l’eroe di “bello e dannato”, deve essere tenebroso e impossibile come
Heatcliff o un gentleman inglese?
Dipende dalla vicenda che si vuole raccontare, come per
qualsiasi altro periodo storico. Così come non amo un’eroina stereotipata, non
amo neppure un eroe tagliato con l’accetta. Va be’, nel romance l’eroe deve
essere sempre un po’ da sballo e tormentato, ma mai tutto d’un pezzo! Per
questo mi sforzo di lavorare molto sulle fragilità dei miei protagonisti, sia
che vivano ai giorni nostri o nel passato.
Documentazione fondamentale e necessaria, ma come ci si
documenta per il vittoriano. Se dovessi dare un consiglio ai nuovi autori come
suggeriresti l’iter per le ricerche storiche?
Leggere romanzi scritti in quei tempi, prendendo moltissimi
appunti, anche su cose o fatti che paiono di piccola importanza. Ripassare la
storia di quel periodo: guerre, rivolte ecc. Studiare usi e costumi (su
internet ormai si trova molto, anche materiale fotografico e video dagli ultimi
decenni dell ‘800 in poi). Informarsi bene, per poi eventualmente collocarli nella
vicenda che si vuole raccontare, su: personaggi reali, giornali, libri usciti
in quel periodo, pièces teatrali, avvenimenti scientifici, scoperte, opere
artistiche o architettoniche. Studiare mappe, mezzi di trasporto e vie di comunicazione
dell’epoca, la moneta in corso, ecc.
Non si useranno tutte queste informazioni, ma saranno comunque utili per meglio
ambientare la vicenda.
Romanzo vittoriano Vs. Romance vittoriano. Quali le
differenze?
Scrivo romance per
cui le mie storie (contemporanee o storiche che siano) sono sempre incentrate
sulla storia d’amore. La Storia - in
caso di una scelta vittoriana o regency o altro ancora - con la S maiuscola è solo il background delle
mie trame, non è la protagonista. Ciò non toglie che io cerchi di esserle
fedele in modo quasi maniacale, dagli usi e costumi dell’epoca all’utilizzo dei
modi di dire che spesso ci ingannano (esempio tipico: definire qualcuno un
pallone gonfiato in un romanzo che si svolge prima dell’invenzione della camera
d’aria).
Eppure, ho letto dei romance che potrebbero essere ambientati in ogni periodo
storico, da tanto sono neutri! Spesso, da lettrice, ho cercato un particolare,
un nome, un evento che mi desse informazioni sul periodo, senza trovarne. Forse
ciò è tollerato da una lettrice non attenta, ma personalmente trovo questa mancanza di collocazione storica
insopportabile. Per questo nei miei romanzi cerco sempre di offrire coordinate al
lettore per inserire la vicenda in un periodo preciso ( mi piace anche usare la
datazione a inizio di capitolo), ma senza insistere in modo pedante con le
informazioni.
Nel romance storico (ma anche nel romanzo) la Storia deve essere
presente, non onnipresente. Deve respirare insieme ai protagonisti, non stargli
col fiato sul collo.
1. SCRIVERE QUOTIDIANAMENTE: Scrivere tutti i giorni, anche poco, ma tutti i giorni.
2. CONOSCERE GLI AVVENIMENTI STORICI: Conoscere ciò di cui si scrive. Se scrivo di un incontro avvenuto all’interno
del British Museum nel 1811, devo sapere che si trovava in una località diversa
da quella di oggi e devo documentarmi su qualche opera che esponeva, se
l’accesso era libero a tutti, e via così.
3. CERCARE RITRATTI DELL'EPOCA: Preparare un file contenente immagini di uomini e donne di quel dato
periodo. Tratte da dipinti o fotografie.
4. CERCARE AMBIENTI DELL'EPOCA: Nello stesso file inserire altre immagini (case dell’epoca, oggetti, mezzi
di trasporto, ecc) la cui descrizione potrebbe a un certo punto esserci utile.
5. POSSEDERE UN CALENDARIO DELL'EPOCA: Tenere a portata di mano il calendario dell’anno di cui si scrive, dopo aver
annotato eventuali fatti storici o culturali importanti capitati in quei
giorni.
6. CONTROLLARE E RICONTROLLARE: Controllare in modo maniacale tutti i fatti di cui si scrive, i nomi dei
personaggi reali e dei luoghi (e se sono di fantasia, meglio ispirarsi a nomi
esistenti, magari cambiando un paio di lettere).
7. INFORMARSI SU USI, LEGGI E COSTUMI: Essere informati sugli usi e i costumi di quel periodo e sulle più
importanti leggi che vigevano in quella data società.
8. LINK UTILI PER LA RICERCA: Sapere dove andare a cacciare il naso in caso ci fosse necessaria un’ulteriore
documentazione (tenere da parte i link ai siti di consultazione più importanti
può essere già un punto di partenza).
9. CREDIBILITA' DEI PERSONAGGI: Cercare di definire la personalità dei propri protagonisti, in modo che poi si
comportino in modo coerente e non come degli schizzati totali.
10. LA STORIA NON E' LA PROTAGONISTA: Raccontare una bella vicenda, che tenga avvinto il lettore. La STORIA deve essere un protagonista del romanzo, certo, ma rimanere sullo sfondo, non deve affogare il plot in un mare di informazioni inutili. Altrimenti? Il lettore si annoia. Be’, è lapalissiano, no?