LAURA: Ciao Linda. Sono romana, ma da tre anni, per motivi
di lavoro, vivo a Campobasso. Il trasferimento ha cambiato molte cose nella mia
vita. Ha aumentato il mio amore per Roma e si è avvalso del mio piacere nel
guidare. Percorro più di duemila chilometri al mese per tornare, ogni volta che
posso, a casa. Dalla mia mamma, dai miei amici, dalla mia socia, alla mia vera
vita.
LOREDANA: Un saluto a te Linda. Io sono la metà oscura del
duo, quella che sta dietro le quinte. Per mia scelta perché dopo tanti anni e
tante pubblicazioni non sono ancora riuscita a superare la timidezza di
definirmi scrittrice.
Di voi dichiarate: 'Scriviamo insieme,
davanti a una sola tastiera. Una telepatia collaudata che nessuno riesce a
comprendere. Ma le storie di Lauraetlory non sono di Laura, non sono di Lory.
Il nostro sodalizio è una terza entità, distinta. Una scrittrice bifronte'.
Approfondiamo questa dichiarazione, Laura.
LAURA: Abbiamo tante volte provato a spiegare la magia che
si crea, il corto circuito tra le nostre teste e i nostri cuori. Ma credo sia
impossibile. Io e Loredana scriviamo anche separatamente. Io, tra le due, sono
la più grafomane. E anche quella che guarda con maggior indulgenza ai propri
parti narrativi. Loredana scrive, ma cestina quasi sempre, a meno che non
intervenga io a salvare la sua produzione. Quando siamo insieme lei unisce la
sua costante insoddisfazione alla mia facilità di scrittura. E il risultato, a
detta dei lettori, è buono.
Firmate il vostro esordio nel 2008
con “Le colpe dei padri”. Di cosa si tratta, Loredana?
LOREDANA: E' una saga famigliare ambientata in Wyoming. La
storia di due sorelle che fuggono da un padre-padrone per vivere la propria
vita e cercare la propria realizzazione. Ma quando il capostipite della
famiglia Shelton passa a miglior vita sono costrette a tornare a casa e a fare
i conti con un passato che hanno lasciato in sospeso e che non ha mai smesso di
perseguitarle.
Tra le varie antologie a cui avete
partecipato, ricordiamo “Nessuna più” contro il femminicidio, con il patrocinio
del Telefono Rosa. Proprio qui siete state nominate ambasciatrici del Telefono
Rosa nel novembre 2013. Parlacene Laura.
LAURA: Il racconto “Fuoco amico” narra in forma romanzata un
fatto di cronaca, un femminicidio, una madre data alle fiamme dal marito
davanti ai figli piccoli. È stato, di sicuro, lo scritto più sofferto e più
difficile della nostra piccola carriera. Ed essere nominate, per questo,
ambasciatrici del Telefono Rosa ci ha commosse e responsabilizzate nella
scrittura. Le nostre protagoniste sono sempre donne. E non si riconoscono mai
negli stereotipi che vanno per la maggiore, anzi, cercano costantemente di
smentirli, ribaltarli, distruggerli. Abbiamo provato sulla nostra pelle che
questo non favorisce la vendibilità dei nostri romanzi. I lettori, le lettrici,
vogliono categorie fisse e rassicuranti. Vogliono il plot consolidato, vogliono
il lieto fine purché sia. Ecco, noi no. Grazie.
Da allora non vi siete più fermate.
Nel 2014 il thriller “Il Puzzle di Dio” partecipa al Premio Letterario
Amarganta 2015 e si aggiudica il secondo posto. Cosa ricordate di questa
esperienza, Loredana?
LOREDANA: Intanto l'emozione della prima volta. Ci sono
stati altri riconoscimenti nel nostro percorso letterario ma si trattava di
racconti, "Il Puzzle di Dio" è stato primo
romanzo a salire con noi sul podio. La soddisfazione di vedere premiati anni di
ricerche storiche e la fatica di una stesura difficile ma, proprio per questo
vera, appagante. Per non parlare del dolce sapore della rivincita verso tutti
coloro che lo avevano definito un romanzo troppo difficile per entrare nel
cuore dei lettori e soprattutto con la grossa pecca di dipanarsi al di fuori
dei confini nazionali.
Tra le tante pubblicazioni,
ricordiamo “Ricardo y Carolina” che si aggiudica il riconoscimento al Premio
Letterario Amarganta 2016 per l’originalità. Datecene un assaggio.
[...] Dagli appunti di Carolina Crivelli, giornalista italiana
approdata alla corte di Massimiliano d’Asburgo a Città del Messico:
Ho chiesto al
cerimoniere di poter rimanere nei pressi dell’entrata del salone delle feste,
qui dove il battitore annuncia l’ingresso degli augusti ospiti. È il 10 aprile,
Lunedì dell’Angelo dell’anno del Signore 1865, e io, Carolina Crivelli, ho
avuto un’inaspettata fortuna. Nonostante le difficoltà del lungo viaggio
affrontato, sono giunta a Città del Messico in tempo per partecipare
all’anniversario delle Loro Altezze Imperiali, Massimiliano e Carlotta
d’Asburgo. Soltanto un anno fa Don José María Gutiérrez de Estrada si recò nel
castello di Miramare, nella mia adorata Italia, per consegnare a Massimiliano
la corona imperiale del Messico.
Una processione di dame e cavalieri sale lo scalone e sosta nella cornice dell’altissima porta e delle tende di velluto porpora, mentre nomi e titoli vengono declamati ai presenti. Non è la prima volta che partecipo a un ricevimento di questo genere. Il mio lavoro, e le fortune della mia famiglia, mi hanno condotta fino alla corte francese di Napoleone III. Mia madre fu felice di quel viaggio a Parigi. Aveva sperato che lo charme della nobiltà francese riuscisse dove l’aristocrazia lombarda aveva fallito: indurmi a dimenticare la scrittura, a riporre il taccuino, a rassegnarmi al matrimonio. La sua speranza non fu esaudita, povera madre mia, perché il piacere tutto muliebre di indossare abiti meravigliosi, gioielli, sfoggiare complicate acconciature non è mai riuscito ad allontanare da me il sogno che da sempre anima il mio spirito: scrivere per un grande giornale. Il più grande di tutti, come dissi a mio padre, costringendo il banchiere Mario Crivelli a mettere in campo tutta l’influenza di cui gode a Milano per presentare la sua unica figlia a Edoardo Sonzogno, editore del “Secolo”.
Una processione di dame e cavalieri sale lo scalone e sosta nella cornice dell’altissima porta e delle tende di velluto porpora, mentre nomi e titoli vengono declamati ai presenti. Non è la prima volta che partecipo a un ricevimento di questo genere. Il mio lavoro, e le fortune della mia famiglia, mi hanno condotta fino alla corte francese di Napoleone III. Mia madre fu felice di quel viaggio a Parigi. Aveva sperato che lo charme della nobiltà francese riuscisse dove l’aristocrazia lombarda aveva fallito: indurmi a dimenticare la scrittura, a riporre il taccuino, a rassegnarmi al matrimonio. La sua speranza non fu esaudita, povera madre mia, perché il piacere tutto muliebre di indossare abiti meravigliosi, gioielli, sfoggiare complicate acconciature non è mai riuscito ad allontanare da me il sogno che da sempre anima il mio spirito: scrivere per un grande giornale. Il più grande di tutti, come dissi a mio padre, costringendo il banchiere Mario Crivelli a mettere in campo tutta l’influenza di cui gode a Milano per presentare la sua unica figlia a Edoardo Sonzogno, editore del “Secolo”.
“Don León
Calleja de Hormigas”, annuncia il battitore. “Doña Victoria Ziania Calleja de Hormigas, Don
Ricardo Alejandro Calleja de Hormigas”.
La prima cosa
che mi colpisce è l’abito di Doña Victoria: frusciante taffettà moiree rosso
sangue, che contrasta pittoricamente con la pelle candida e i capelli
nerissimi, raccolti in un pesante chignon sulla nuca. Il “Corriere delle Dame”
sarebbe fiero di me. Ma la mia attenzione abbandona subito la toilette di Doña
Victoria per appuntarsi sugli occhi, azzurri e irriverenti, di Don Ricardo.
Segue suo padre e sua sorella, si guarda intorno e si pavoneggia nell’elegante
frac che ne mette in risalto la snella figura. I nostri sguardi si incontrano
per un lungo istante. So che lui si aspetta che abbassi gli occhi, come si
conviene a una fanciulla della buona società davanti a uno sconosciuto. Ma amo
le sfide e da quello sguardo capisco tutto di Don Ricardo: aristocratico,
affascinante e pericoloso. Infine è lui a distogliere lo sguardo, intercettato
da altri importanti ospiti e mi appare chiaro che gli Hormigas appartengono
all’alta aristocrazia creola, quella che ha fortemente voluto un Imperatore a
Città del Messico. Fosse pure un Imperatore straniero, imposto da un invasore
che punta a mettere in ginocchio questo paese per soddisfare i propri sogni di
grandeur. [...]
E nel 2016, pubblicate “Contrabbandieri
d’amore” edito da HC. Com’è stata la vostra esperienza con una Big? È
preferibile al Self?
LAURA: Non abbiamo mai pubblicato in self. Al momento è
un’esperienza che non ci attrae. Quello che posso dire è che una big come HC
può essere una sorta di fiore all’occhiello. Ma se non sei un nome, e un nome
possibilmente straniero, il loro supporto è praticamente nullo.
“Contrabbandieri d’amore” è piaciuto a loro per primi, e a tutti coloro che lo
hanno letto. Ma non è stato sostenuto in alcun modo e non ha potuto usufruire
neanche dell’opzione POD che, con altre case editrici, consente ai lettori che
amano il cartaceo di ricevere il loro volume e agli autori di organizzare
presentazioni in libreria.
LOREDANA: La socia ha espresso chiaramente quello che è anche
il mio pensiero. Alla fine l'esperienza con HC è servita soltanto per fare
curriculum privandoci del piacere di poter interagire con i nostri lettori.
Come è sempre accaduto con le precedenti pubblicazioni, tutte rigorosamente
presentate in libreria.
Nel dicembre 2016 esce il vostro
ultimo romanzo “Una voce nella nebbia”. Cosa troveranno i lettori all’interno,
Laura?
LAURA: Un incontro/scontro tra progresso e tradizione, tra
pragmatismo e fede nei poteri ancestrali che ci vengono dalla natura, tra avere
(successo, soldi) ed essere (se stessi), tra una cecità fisica, che comunque
non rende la protagonista Eibhlin disabile, e una cecità psichica che rende gli
altri protagonisti incapaci di uscire dalla nebbia di un’esistenza senza senso.
E poi c’è l’Irlanda, in tutta la sua suggestione.
Qual è stato l’input per questo
libro, Loredana?
LOREDANA: L’Irlanda, appunto. E un sogno che tanti anni fa
venne a visitarci entrambe, sebbene fossimo ognuna a casa propria. Un cigno
bianco, un lago, un volo in un cielo senza confini. Il sogno di Rhiannon, che
apre il romanzo, è stato il nostro.
Quali tematiche affrontate e quale
messaggi volete trasmettere, Laura?
LAURA: Sul nostro ultimo lavoro ho già detto. Non amo gli
autori che spiegano il messaggio. Credo
che in tutti i libri ce ne sia uno, ma che non sia mai lo stesso per ciascun
lettore. Posso parlare delle tematiche. Ci piace affrontare, spesso con scenari
non direttamente correlati, i grandi temi d’attualità. Le migrazioni
("Contrabbandieri d’amore"), gli orrori di guerre e rivoluzioni ("Ricardo y
Carolina"), le conseguenze del razzismo e della discriminazione ("Il Puzzle di
Dio"). E in tutti i nostri libri, porre le donne al centro. Donne che non
cercano mai di delegare all’uomo, che si assumono responsabilità in prima
persona, che lottano e che sono consapevoli del proprio valore di persone.
Perché avete scelto il romanzo
storico, Loredana?
LOREDANA: Perché la storia fa parte di noi. È stata
protagonista della nostra carriera universitaria , ci accompagna ogni giorno e
ci piace ritrovarne il senso in ciò che scriviamo. E per storia non intendiamo
solo quella che risale indietro nei secoli, ma anche il nostro più recente
passato. E, con un volo pindarico non indifferente, anche quella che appartiene
al futuro. Non per niente nella nostra produzione figurano anche dei romanzi di
fantascienza o fantastoria se preferite.
Progetti futuri, Laura?
LAURA: Il nostro progetto è sempre lo stesso: scrivere le
nostre storie. Stiamo terminando un romanzo sentimentale ambientato nel Montana
del 1960, abbiamo pronto un inedito che definirei eco-fanta-thriller, stiamo
rivedendo un romanzo d’amore di ampio respiro ambientato negli anni ’80 tra
Parigi, Londra, New York e Roma e abbiamo pronta la scaletta per una nuova avventura
per i protagonisti maschili de “Il puzzle di Dio”.
É stato un piacere ospitarvi nel mio
blog. In bocca al lupo per tutto!
Per seguire Laura e Loredana LAURA COSTANTINI
Booktrailer
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