Ciao Elena, benvenuta nel mio blog. Raccontaci qualcosa di
te.
Ciao Linda e grazie per avermi ospitato sul tuo blog. Sono
una mamma che lavora, che fa i salti mortali per conciliare tutto, lavoro,
famiglia, benessere dei figli e del marito e hobby. La mia vita è un puzzle,
deve incastrarsi tutto. Eppure non rinuncerei a niente.
L’impiego di ingegnere per l’industria automobilistica, il
marito e i figli. Dove trovi il tempo per scrivere?
È una bella domanda, di solito scrivo quando i figli
dormono. Il problema è che, crescendo, i figli dormono sempre meno e si
rifiutano persino di fare il sonnellino pomeridiano, così per me diventa sempre
più difficile! Pensare che il mio secondogenito, da zero a sei mesi, dormiva di
continuo, giorno e notte. Di giorno mi bastava metterlo vicino a me sulla
sdraietta, cullarlo con un piede con un sottofondo musicale e lui dormiva per
ore. In quel periodo, contrariamente a quanto si può pensare, ho scritto
moltissimo, con le mani sulla tastiera e un piede sul suo seggiolino. Lui era
un neonato da favola e io riuscivo a fare tutto. Poi, al settimo mese si è
svegliato e da quel momento le cose si sono decisamente complicate.
Tra le tue passioni spiccano i viaggi. Qual è il Paese che
porti nel cuore?
Un po’ tutto quello che ho visitato, ma devo dire che
l’Irlanda mi è rimasta nel cuore. È un posto unico al mondo e infatti ci ho
ambientato persino uno dei miei libri, L’occasione di una vita, edito da
Lettere Animate. I miei protagonisti percorrono un tragitto in cui visitano gli
stessi luoghi che ho visitato io. Ovviamente il loro sguardo è turistico e non
potrebbe essere altrimenti, visto che in Irlanda non ho mai vissuto.
Le tappe che Patrick e Futura (i miei protagonisti)
percorreranno e i posti che visiteranno nel tentativo di ricominciare a capirsi
sono gli stessi che ho visitato io insieme a mio marito, fortunatamente con
tutto un altro stato d’animo! Futura e Patrick scopriranno che per
riavvicinarsi devono prima ammettere, condividere e infine superare il lutto
che tengono dentro.
Hai praticato anche la ginnastica artistica in passato. Cosa
ti ha lasciato questa meravigliosa disciplina?
La ginnastica artistica è sempre stata la mia passione, adesso
però non ho più il fisico né l’età. Mi è sempre piaciuto fare acrobazie e anche
vederle in televisione fatte dagli altri. Purtroppo, o per fortuna, quando ho
iniziato a praticarla ero già grandicella, quindi ero esclusa da quelle che
potevano essere le competizioni e la vita stressante di una ginnasta molto
impegnata. Forse meglio così, non mi sono esaurita come invece accade a certe
ragazze che praticano la disciplina a livello agonistico. Per me è stata un
gioco, un gran divertimento, e adesso, a quarant’anni, so ancora fare la ruota!
Hai fatto parte di un coro e collezionato esperienze
teatrali a livello amatoriale. Cosa ricordi di queste esperienze?
Cantare mi è sempre piaciuto, lo facevo già da piccola, nel
coro della chiesa. Poi, anni dopo, ho cantato con Gli Alunni del Cielo, un
grande coro di Torino composto da più di cento persone, che faceva spettacoli
in giro per l’Italia per beneficenza. In cinque anni ho fatto più di cento
concerti. Purtroppo sono sempre stata troppo insicura per cantare come solista
e la mia carriera come cantante è terminata molto in fretta! Adesso forse avrei
più maturità, ma meno occasioni. L’esperienza teatrale è iniziata a trent’anni.
È stata breve ma per me molto intensa. Mi ha fatto scoprire dei lati di me che
ignoravo, tipo di avere una gran faccia tosta sul palco (quella che non avevo
quando cantavo) e più memoria di quanto immaginavo. Ho smesso perché mi
prendeva veramente troppo. Dopo una serata di prove, anche se avevo una parte
minore, anche se lo spettacolo era lontano, ero capace di non dormire per tutta
la notte, tanta era l’adrenalina che avevo in circolo. Poi però il giorno dopo
dovevo lavorare. Ho portato a termine tutti gli impegni presi e poi ho salutato
tutti. Comunque dal recitare allo scrivere il passo è stato breve. Richiede
sempre una grande immedesimazione in teste altrui, ed è la parte più
divertente. Diventare altro, molto diverso da ciò che si è, è sfidante. E tra
l’altro qualcuno mi ha detto che i dialoghi nei miei romanzi sembrano
sceneggiature. Scrivere sceneggiature mi piacerebbe molto.
Di te dichiari: ‘Il mio motto è quella frase dell’ape, che
in teoria non potrebbe volare per motivi aerodinamici, ma ignara delle nozioni
scientifiche non solo vola, ma fa anche il miele.’ Approfondiamolo.
Credo che tante volte se stiamo a pensare a tutto ciò che
dobbiamo fare ci blocchiamo per la paura o per l’ansia e non facciamo più
nulla. Invece secondo me non bisogna perdersi a riflettere su ciò che stiamo
portando avanti, ma farlo e basta. Quando c’è una passione, di qualunque
natura, si porta avanti e non ci sono scuse né di tempo né di limite fisico.
Ammiro moltissimo quegli atleti che magari sono ciechi, o hanno delle protesi,
o altri problemi, eppure corrono e magari vincono persino delle gare. Se
stessero a piangersi addosso perché non hanno gli occhi o gli arti non correrebbero.
Invece loro lo fanno e basta, anche se è scientificamente
dimostrabile che non potrebbero. Il che però non vuol dire spossarsi fino alla
nausea per perseguire un risultato. Le ginnaste adolescenti che vengono
stressate fino all’inverosimile per raggiungere obiettivi eccelsi, secondo me
alla fine possono arrivare a odiare il loro sport preferito. Paradossalmente,
se uno ha una motivazione profonda dentro di sé più dare il meglio senza
neanche sentire la fatica, se le pressioni invece arrivano dall’esterno, da
qualcuno che vuole che facciamo determinate cose, il risultato sarà mediocre.
La tua idea di fare scrittura è legata al sociale e spesso
utilizzi i tuoi libri per denunciare ingiustizie. Perché?
Guarda, nel mio modo di scrivere ho sempre prediletto la
presentazione della realtà. Tutte le mie storie partono da una base reale,
anche se poi uso la scrittura per dare al racconto il finale che voglio, spesso
migliore e più aperto alla speranza di quanto la vita non sia. E parlando
appunto della quotidianità, della vita di tutti i giorni, emergono anche
determinati tipi di problemi, come la disoccupazione, l’immigrazione, i
problemi etici. È giusto secondo me dare voce a chi non ce l’ha, fare ascoltare
punti di vista insoliti e talvolta impopolari, anche se poi lascio grande
spazio ai sentimenti, alla psicologia dei miei protagonisti.
Nello specifico, non mi occupo di nulla e il mio non è un
blog letterario, anche se ogni tanto qualche recensione l’ho pubblicata e anche
se reclamizzo ovviamente i miei libri. È semplicemente un mezzo per scrivere
ciò che penso quando ho qualcosa da dire, per cui ho scritto riflessioni varie,
avventure di viaggio (anche in inglese), le mie idee sui pannolini lavabili.
Insomma, spazio parecchio tra gli argomenti, ma sono incostante, non mi do
delle scadenze, per cui posso non pubblicare nulla per mesi e poi tre articoli
in due giorni.
Sei diventata “madre gestante” nonché editrice no profit
della raccolta di racconti “Insieme si può – Comitato Mahmud” di cui sei
coautrice. Un progetto molto interessante per sostenere la Siria. Parlacene.
Nel 2014 venti autori (di cui io sono una) hanno donato un
racconto per creare una raccolta no profit. Tutto è iniziato perché una mia
amica, Elisabetta Vittone, stava sostenendo a distanza il piccolo Mahmud, un
bimbo siriano di quattro anni affetto da una rara malattia genetica che lo
rende allergico al sole. Questo povero piccolino, che all’epoca abitava in un
campo profughi in condizioni climatiche estreme, dipendeva da morfina e
cortisone e rischiava di non superare un’altra estate. Io avevo già sentito la
sua storia, ma quando ho visto un suo filmato in cui lui dormiva e soffriva su un tappeto del
campo profughi, ho detto basta. Poteva essere mio figlio (hanno quasi la stessa
età). Allora mi sono chiesta: che posso fare? So scrivere. E ho scritto una fiaba.
Volevo farne un ebook. Ma poi con Elisabetta si è deciso di coinvolgere altri
autori, fare degli appelli e alla fine è nato
un piccolo volume, pubblicato come self su Amazon (sia ebook che
cartaceo), il cui ricavato va interamente in beneficenza per i profughi
siriani. Nel frattempo Elisabetta aveva fondato il Comitato Mahmud
(regolarmente registrato all’agenzia delle entrate) e Mahmud è stato aiutato in
modi ben più consistenti che non fossero i proventi del libro. Adesso il
bambino sta meglio e vive in un alloggio in Turchia.
Esordisci nel 2013 con il romanzo “Perché ne sono
innamorata” che tratta proprio il tema della violenza sulle donne. Daccene un
assaggio.
In "Perché ne sono innamorata" non c’è molta violenza fisica, ma
più che altro psicologica (che poi tante volte costituisce l’inizio del
percorso violento). Infatti questo romanzo è un romanzo d’esordio non solo per
me ma anche per i protagonisti. Vi lascio un piccolo estratto.
[...] Quella stessa sera, con la scusa di “festeggiare” l’ennesimo trenta e lode di Martina, Giulio aveva invitato la sua ragazza a cena in un locale esclusivo particolarmente costoso. Lei aveva accettato con entusiasmo, convinta di trascorrere finalmente una piacevole serata da innamorati, convinta che davvero Giulio volesse regalarle un momento di tenerezza, sicura che avrebbe dimostrato a Sofia – e a se stessa – che lui sapeva manifestarle l’amore che provava.
In realtà, da quando si erano seduti al tavolo, e forse anche da prima, il ragazzo non aveva fatto altro che provocarla e punzecchiarla: - Certo che potevi metterti addosso qualcosa di più elegante di quel vestito da Cenerentola! E poi, le scarpe! Non avevi tacchi più alti?
Martina incassò, decisa a non farsi rovinare tutta la serata: - Forse hai ragione, ma sai, qui in collegio non ho tutti i miei vestiti… - rispose supponendo che lui avrebbe capito.
- E quindi? Potevi andarti a comperare qualcosa oggi pomeriggio! Guarda le altre donne qui! Sono tutte molto più in tiro di te. Io che figura ci faccio?
- Giulio, scusami, ma non avevo idea che il target di questo locale…
- Siamo fortunati che ci abbiano fatto entrare…
- Esagerato, non è mica il casinò… E poi potevi dirmelo per tempo, magari avrei provveduto, – Martina rispondeva con la sua usuale pacatezza, per smorzare i toni.
- Sì, figurati, tirchia come sei! Comunque, se non te l’ho detto, è perché supponevo che tu lo sapessi! Come sempre però ti ho sopravvalutata. Che vuoi saperne di locali eleganti tu che vivi perennemente rinchiusa in quella stanza di collegio, a studiare, come un topo di biblioteca? A prendere trenta e lode così sono capaci tutti! È riuscire ad avere una vita oltre allo studio che è più difficile!
Martina finalmente realizzò. Il problema era il suo ennesimo trenta e lode, di cui Giulio era invidioso. Infatti nell’ultimo periodo il ragazzo non era riuscito a stare al passo con gli esami, era fermo, arenato su un orale che non riusciva a superare. La ragazza capì che quella non sarebbe stata una serata romantica come aveva sperato. Nonostante ciò, anzi, proprio per questo, cercò di essere comprensiva. L’avrebbe lasciato sfogare ancora un po’. Martina guardava con tenerezza il disagio del proprio compagno, che avrebbe voluto aiutare in ogni modo. Intanto sfogliava il menù, cercando di concentrarsi su quello che avrebbe voluto mangiare. Optò per un piatto di pasta fresca al ragù.
- E tu invece Giulio che cosa prendi? – chiese cercando ingenuamente di distendere l’atmosfera tesa che si era creata.
Lui la guardò con aria di sfida: - Prenderò un antipasto di pesce, il polipo con le patate, linguine agli scampi, orata alle erbe, il tutto con un costosissimo vino bianco. E per finire torta meringata. Tu invece, secchiona grassona, prenderai solo un’insalata scondita: è tutto quello che puoi permetterti, visto il culo largo che ti ritrovi. A forza di stare sui libri sei ingrassata di brutto, sei la donna più scialba di tutto il locale, mi domando perché esco con un cesso come te. Non fai nulla, proprio nulla per migliorarti… non vai in palestra… non ti importa niente dell’estetica… io mi sento umiliato ad uscire con una sciattona come te. All’inizio della nostra relazione non ti ho detto niente: pensavo che prima o poi avresti capito che dovevi darti una mossa. Mi sembrava ovvio. Invece sei più tonta di quello che sembra, nonostante i tuoi stupidi trenta e lode: non capisci un beneamato cazzo di quello che fa piacere ad un uomo. Beh, certo, i tuoi votoni non valgono poi molto: a Biologia i trenta e lode li regalano, non come a Medicina…
Martina avvampò per l’umiliazione. Sentì le lacrime scorrerle lungo le guance. [...]
Comunque nel mio primo libro ci sono anche storie diverse,
parlo dell’amore a vent’anni, delle scelte che pongono le basi per la felicità
o l’infelicità futura. Ci sono anche dei protagonisti che si innamorano in modo
pulito, senza retroscena perversi.
Nel 2014 esce l’ebook “L’occasione di una vita”. Di cosa si
tratta?
È la prosecuzione di "Perché ne sono innamorata", dove i
protagonisti, Futura e Patrick, si trovano alle prese con una gravidanza
indesiderata che rischia di mandare a monte la loro relazione. Ma quando
finalmente lui sta per farsene una ragione, lei perde spontaneamente il
bambino. È l’inizio di una serie di equivoci che porterà Patrick a rincorrere
Futura su e giù per l’Irlanda, fino a quando i due non riusciranno a venire in
qualche modo a capo del dolore che li separa. Questa è la tematica seria del
libro; ve ne sono un paio più ironiche e agrodolci: Manuela che fa la
volontaria in una casa di accoglienza per donne che fuggono da situazioni di
disagio (il tema della violenza contro le donne in questo senso è solo
sfiorato) e Ljuda, casalinga frustrata, che partecipa a un innominato noto
reality. Per entrambe garantisco rocambolesche avventure, risate a denti
stretti e tutto il mio disprezzo per un certo tipo di programmi televisivi che
lucrano sul dolore umano pur di fare audience.
Segue il libro “Un errore di gioventù” dove tratti un’altra
tematica scottante come la pena di morte. Parlacene.
In questo libro ritroviamo Futura e Patrick sette anni dopo,
sposati da un pezzo, con una figlia già nata, Marina, e un’altra, Emma, in
arrivo. Dopo tutte le loro vicissitudini pregresse sono finalmente felici e
realizzati, e lui, sempre con quella tendenza di voler controllare qualunque
cosa, si gongola, anche con un po’ di presunzione, all’idea che la sua vita sia
finalmente perfetta. Si ricrederà completamente quando una sua ex fiamma, una
con cui aveva avuto un flirt dopo il diploma, si presenta alla sua porta
dicendogli di avere una figlia adolescente che potrebbe essere sua. A Patrick
crolla il mondo addosso, perché proprio lui che è sempre stato un maritino
modello, fedele, e serio fino alla noia, rischia di vedere compromessa la sua
serenità famigliare per una sciocchezza, una “cazzata” commessa quindici anni
prima. Gli rode, sia perché non si sente pronto a fare il padre di una
ragazzina che non ha visto né nascere né crescere, sia perché lui non è più
l’adolescente dissoluto che aveva rapporti a rischio dopo aver alzato un po’ il
gomito alle feste. E allora la domanda è: per quanto una persona è responsabile
dei propri errori, se nel frattempo è maturata e si è comportata sempre in modo
irreprensibile? La stessa domanda se la fa Luis, condannato nel braccio della morte
in Alabama, che quindici anni prima ha ucciso un uomo in una rissa e ora gli è
stata comunicata la data prevista per l’esecuzione. Luis è un amico di penna di
Futura e Patrick i quali, attendendo la data del parto (che deve coincidere con
l’esecuzione) non possono permettersi di lasciare Londra per l’Alabama. Quindi
mobilitano Mac, un loro amico attore che gode di una certa notorietà, affinché
raggiunga Luis e gli stia vicino nel momento peggiore della sua vita. Mac
all’inizio è scettico, rappresenta chiunque di noi europei (Mac è irlandese)
non ammette la pena di morte per cultura, ma in fondo pensa che chi sta in
quella situazione, a parte tutto, se l’è meritato. Nel corso della storia i
pregiudizi di Mac cadranno uno per uno e lui si renderà conto che Luis è
innanzitutto una persona, e come tale merita rispetto. Luis non è un “mostro”,
ma un uomo pentito dei suoi errori e assolutamente amabile. Allora Mac si farà
carico della faccenda, tenterà di sfruttare la sua notorietà per mobilitare
l’opinione pubblica, ma si scontrerà con il sistema che gli farà da muro di
gomma. Luis, comunque, non è l’unico “mostro” del libro: c’è anche Teresa, una
ex transessuale ormai legalmente donna, che vuole farla pagare alla sua
famiglia borghese e bigotta per non averla mai accettata così com’era. Teresa
si trova in mezzo a Manuela e Giovanni, coppia di separati in cerca di una
rappacificazione, e alla fine avrà un suo riscatto. Infine, per stemperare un
po’, c’è Iago, il fratello minore di Futura, che, innamorato da sempre della
bella Elena, dovrà destreggiarsi con un ultimo, simpatico “mostro”: Fabiana, la
sua gelosissima e ossessionante fidanzatina.
Nel novembre 2014 pubblichi “Gli angeli del bar di fronte”.
Cosa troveranno i lettori al suo interno?
“Gli Angeli del Bar
di Fronte” è un romanzo a due voci. Le protagoniste sono due ragazze,
un’italiana, Chiara, e una rumena, Paula, che vivono entrambe a Torino.
Entrambe sono alle prese con problemi di sopravvivenza. La prima, la cui
famiglia era benestante solo fino all’anno prima, lavora in un bar malfamato
della Torino nord (Il Bar di Fronte) in attesa di terminare la tesi di laurea.
Quando si laureerà, potrà iniziare un lavoro a Grenoble, in Francia. La seconda,
pur avendo un titolo di studio specialistico, fa la badante in nero ad un
anziano non autosufficiente. Il libro parte da questa situazione molto attuale,
molto realistica, per prendere una strada ovviamente più improbabile e meno
scontata: sia Paula che Chiara si ritrovano ad avere a che fare con un gruppo
di cinque ragazzi rumeni che hanno tutta l’aria di essere dei poco di buono e
lo dimostrano appieno quando due di
loro, una sera, cercano di abusare di Chiara all’uscita dal bar. Il loro
tentativo va a monte perché quello che sembra essere il loro capo, Vic, li
ferma in tempo. Ma Vic, che è tanto affascinante quanto ambiguo, poi convince
Chiara a non sporgere alcuna denuncia in cambio della sua protezione. Lei si
lascia persuadere, seppur con delle remore, e da quel momento inizia una
frequentazione forzata con Vic che pur essendo un ragazzo cortese, non si
affranca mai dai suoi compari e copre tutte le loro malefatte, con gran
disappunto di Chiara. D’altra parte c’è Paula, che si ritrova a fare i conti
con i rischi del lavoro sommerso, che quando si ustiona con un semolino rovente
non può nemmeno chiamare il 118 e che sogna l’amore nell’uomo più sbagliato che
ci possa essere, senza neanche considerare i sentimenti che il buon Anghel
prova per lei.
Sullo sfondo molti personaggi minori, Giovanni il
cassaintegrato ipocondriaco, Armando il barista silenzioso ed empatico, Noemi
l’amica che tradisce il fidanzato, Carla la disoccupata depressa e incinta,
Anghel, l’innamorato senza speranza che si spezza la schiena ai mercati
generali, Gianna la donna in carriera onesta, Eleonora la sorella spocchiosa,
Luigi il fidanzato assente e la zia Doina che come unica preoccupazione ha
quella di far quadrare i conti in casa. Ogni personaggio secondario ha la sua
microstoria, che giunge comunque a una conclusione.
Quale messaggio hai voluto trasmettere e quali tematiche
affronti?
Il libro è un mezzo per parlare di immigrazione, senza voler
essere esaustivo, e vuole mettere in luce le difficoltà che sussistono per
quanto riguarda l’integrazione. Nella storia ci sono buoni e cattivi da ambo le
parti: quella degli immigrati e quella
degli ospitanti. Non ci sono giudizi definitivi né considerazioni salvo una: la
speranza è tutta nella “seconda generazione” di immigrati, che indubbiamente
partono avvantaggiati. Inoltre nel romanzo si parla anche di sentimenti, di
attrazioni proibite. Chiara subisce pesantemente il fascino di Vic, e pur
ritenendo che il suo desiderio verso di lui sia sbagliato non riesce a farne a
meno. Vic è una sorta di criminale gentiluomo che si prende cura di lei con
molta cavalleria, che vanta un italiano perfetto e anche una notevole cultura,
ma che di fatto spende le sue giornate insieme a quattro pseudo criminali senza
un motivo palese. Perché lo fa? Qual è il suo interesse? A chi mente? Ci sono
una serie di domande che ruotano intorno a Vic e che ossessionano Chiara a
lungo, fino al finale col botto. Paula invece attende di essere notata
dall’uomo dei suoi sogni, che tutto è meno che un bravo ragazzo e quando ciò
accadrà le conseguenze saranno serie e ampie.
Qual è stato l’input per “Gli angeli del bar di fronte?
Come Chiara mi trovo nella doppia situazione di conoscere
delle famiglie rumene e di lavorare con colleghi non italiani. Quindi vivo in
un paese che ospita persone straniere, ma mi trovo io stessa nel ruolo della
straniera quando, in trasferta all’estero, mi scontro con mentalità diverse da
quella italiana e mi sento anche giudicata. Pertanto so cosa significa essere presa
tra due fuochi, essere contemporaneamente ospitante e ospitata. È un punto di
vista delicato ma per certi versi privilegiato che mi rende cosciente del fatto
che se noi italiani ci comportiamo in modo intollerante con qualcuno, non
dobbiamo dimenticarci che per qualcun altro siamo stati e in parte siamo ancora
noi gli stranieri da terzo mondo. Da qui è nata l’idea, il libro tende a
dimostrare che ogni medaglia ha il suo rovescio.
Hai qualche altro progetto in cantiere?
In questo momento non ho altri libri in uscita, ma sto
scrivendo, rivedendo testi, prima o poi qualcosa verrà fuori.
E’ stato un grande piacere ospitarti nel mio blog, rispetto
molto il tuo lavoro di autrice e l'impegno sociale. In bocca al lupo per tutto
e alla prossima!
Grazie mille a te Linda per l’ospitalità! Buon proseguimento
con il tuo meraviglioso blog.