Sono una ‘ragazza’ di 52 anni, vivo in una città di mare,
Bari, ma un po’ in periferia, dove c’è ancora il sapore del borgo, con le
barche e i pescatori ma anche le passeggiate sul molo per far passare la
calura. Non saprei vedermi a lungo lontano dal mare. Lavoro con l’estero,
importo mobili: l’azienda è a conduzione familiare sicché non stacco mai.
Salgo e scendo la scala tra ufficio e casa e quindi un po’ come Brachetti, mi
trasformo continuamente da imprenditrice a mamma/moglie/capo branco umana
dei miei due cani, rigorosamente puri meticci, un similvolpino e un
similpastore. I figli sono grandi,
dovrei avere più tempo ma in realtà continuo a riempirmi di impegni e di nuove
amicizie. Le mie passioni sono
indubbiamente la lettura e la scrittura ma anche le amicizie, come dicevo sono
importantissime: attraverso i social ho ritrovato tante persone del mio passato che avevo perso di vista e adesso
la mia vita è molto più piena. In realtà ho anche incontrato nuova gente interessante negli ultimi anni: è un po’ come se la
maturità rendesse l’amicizia più selettiva e perciò stesso più solida.
La laurea in Giurisprudenza, insegnante e imprenditrice.
Quando si è accesa in te la scintilla per scrivere, e dove trovi il tempo per
dedicartici?
La scintilla è sorta tardi, verso i quarant’anni. Più che
altro scrivevo da ragazza ma non avevo molta consapevolezza delle reali potenzialità
della cosa: dovete immaginare un mondo non social, dove il letterato,
l’intellettuale era un mostro sacro inarrivabile, dove non si parlava di
prodotto editoriale. La Puglia poi era periferia, e lo è tuttora. I nostri
scrittori - molti e talentuosi, soprattutto negli ultimi vent’anni - sono per lo
più andati a vivere fuori regione, a Roma, Milano o Torino che sono gli unici
luoghi dove, forse, è possibile arrivare alle grandi case editrici.
Scrivo nei ritagli di tempo ma cerco comunque di farlo con regolarità, se sono nel pieno di un lavoro tiro tardi la notte.
Scrivo nei ritagli di tempo ma cerco comunque di farlo con regolarità, se sono nel pieno di un lavoro tiro tardi la notte.
Sei stata ballerina per il Balletto del Sole di Bari. Cosa
ricordi di questa esperienza?
La danza è stata la mia vita e la mia passione molto a
lungo, dai dieci fino ai 24 anni. La famiglia premeva per una laurea
convenzionale, il fidanzato storico per il matrimonio. L’ho lasciata più o meno
di punto in bianco, come si fa con un fidanzato. E come per un amore da
dimenticare, purtroppo, ho rimosso. Ora ho ritrovato amici e compagni di strada
di quel periodo, la maggior parte ha continuato a vivere e a lavorare in
quell’ambiente. Un grosso rimpianto e rammarico l’aver abbandonato così, in
malo modo.
Collabori con il lit-blog Logokrisia. Di cosa si occupa
nello specifico?
Il blog è nato due anni fa da un’idea di Rosanna Santoro,
scrittrice, poetessa anzi dovrei dire donna abitata dalla poesia. Siamo donne
molto diverse le une dalle altre e il blog ci consente di esprimerci al meglio
con i nostri pezzi che vanno dai racconti di donne alle recensioni, dalle
riflessioni fuori dal coro alle denunce delle ingiustizie e delle
prevaricazioni, anche e soprattutto di genere, quasi sempre con la modalità del
racconto. Dalla poesia e dal ritratto dei poeti e dei luoghi- i paesaggi-
della poesia, alla messa a nudo
dei nostri difetti come donne e nel rapporto con gli uomini, e degli uomini,
molto spesso con una buona dose di ironia. Ma soprattutto è un luogo in cui
riusciamo a fare squadra e a sostenerci le une con le altre. Ognuna con la sua
competenza e sensibilità nel mondo della scrittura, lascia nel blog una parte
di sé, del suo tempo, dei suoi pensieri. Siamo ripagate da un pubblico
altrettanto sensibile e affezionato.
Esordisci nel 2010 con “Angulus ridet”. Di cosa si tratta?
Una storia con una buona dose di autobiografia, soprattutto nella psicologia dei personaggi,
com’è regola o quasi negli esordi, calata in una trama complessa in cui non
mancano aspetti di giallo. Alla base sempre l’amore ma quello mal riposto, che
affida il nostro cuore alle persone sbagliate e spesso ci fa precipitare dalla
padella nella brace. Particolarmente cara l’ambientazione, una masseria della
mia Puglia, nell’alto Salento. Un titolo difficile, che oggi, se dovessi
riscrivere il romanzo, trasformerei in L’Amore mal riposto, appunto. E cambierei anche alcune cose della trama,
sono una perfezionista e nulla mi soddisfa mai abbastanza.
Hai partecipato a diversi concorsi con i tuoi racconti,
ottenendo premi e la pubblicazioni in antologie. Servono i concorsi letterari?
In questa fase della mia produzione ti dico di no.
All’inizio credi che ti servano per farti conoscere ma alla fine servono solo
alle giurie per la quota d’iscrizione. I premi sono tantissimi e pochi
realmente qualificanti. Quelli al top, sono pilotati. C’est la vie.
Uno dei tuoi racconti “Desirè66” è stato oggetto di
rappresentazione teatrale. Parlacene.
Un concorso in cui si vinceva solo questo, che un proprio
racconto diventasse un monologo teatrale. Un personaggio al limite, una grande
obesa immobile nel suo letto-trono e un finale molto noir.
Nel 2012 il progetto Black Room di Creatheater di Milano selezionò quattro racconti per serata, ispirati ognuno a un vizio capitale, nel mio caso la Gola. Peccato non aver assisto alla rappresentazione.
Nel 2012 il progetto Black Room di Creatheater di Milano selezionò quattro racconti per serata, ispirati ognuno a un vizio capitale, nel mio caso la Gola. Peccato non aver assisto alla rappresentazione.
Nel 2016, pubblichi “L’attrazione dei talenti”. Cosa
troveranno i lettori al suo interno?
Troveranno la storia di due donne molto diverse, Albana una
giovane prostituta albanese che proviene da un paesino molto povero
dell’Albania faticosamente avviata verso la democrazia e l’Occidente, e Gioia, una fotografa salentina. Entrambe hanno un debito verso il loro
talento - l’albanese è una disegnatrice bravissima pressoché autodidatta – che
per motivi molto diversi hanno dovuto accantonare. Entrambe hanno subito una
violenza. Entrambe hanno bisogno di credere in se stesse senza l’intervento di
un principe azzurro.
Quale messaggio vuoi trasmettere e quali tematiche affronti?
Le tematiche sono la ricerca del proprio talento come senso
della vita, la sofferenza delle donne rispetto alla violenza maschile che è
trasversale a tutte le culture, il riscatto dalla propria condizione con
l’aiuto delle altre donne, nel desiderio che ci possa essere tra noi davvero un
senso di sorellanza. Parlo anche della crisi della famiglia, dei problemi degli
adolescenti che spesso hanno materialmente tutto ma non un adulto che sia in
grado di ascoltarli veramente e che li aiuti a trovare il loro, di
talento. Per me, però, il talento non è da intendersi necessariamente
come la predisposizione geniale per un’arte, ma come quella disposizione verso
questa o quella attività umana, che sia un’arte o una professione, un mestiere
che ci da singolarmente l’intima sensazione di esserci dedicati a quello per
cui siamo nati nella vita. Che sia la musica o la cucina, il disegno o, come
dice Gioia di suo marito Giacomo che è un ginecologo, far nascere i bambini.
L’altro messaggio, parlando di Albania e di migrazioni, è anche il nuovo senso che dobbiamo dare alle nostre radici. Dobbiamo essere disposti a far pace con le nostre radici, col nostro passato e a trovare, se necessario la radice in noi stessi, in quello che siamo diventati nel corso della nostra vita, per dare nuovi frutti, come l’innesto di una nuova varietà in un vecchio albero.
L’altro messaggio, parlando di Albania e di migrazioni, è anche il nuovo senso che dobbiamo dare alle nostre radici. Dobbiamo essere disposti a far pace con le nostre radici, col nostro passato e a trovare, se necessario la radice in noi stessi, in quello che siamo diventati nel corso della nostra vita, per dare nuovi frutti, come l’innesto di una nuova varietà in un vecchio albero.
Qual è stato l’input per questo romanzo?
L’aver conosciuto in Albania nel 2005 una bambina albanese
che viveva davvero in condizioni di estrema arretratezza eppure in una qualche
sintonia con la sua vita di campagna. Però pensare che non avesse il bagno, o
l’acqua corrente, che la sua famiglia facesse il bucato con la cenere in grandi
tinozze nell’aia o che per andare a scuola dovesse affidarsi a un pulmino
scalcagnato o alla mula del nonno, mi ha
fatto porre questa domanda: se quella bambina avesse avuto in sé il germe di un
qualche talento, uno qualsiasi, avrebbe mai potuto coltivarlo? Quanti talenti o
addirittura geni in potenza non hanno mai visto la luce? Quale la ribellione
possibile a una vita patriarcale? Naturalmente, come si vede dalle pagine del
romanzo, io amo l’Albania, ne ho studiato la storia, i costumi del passato e ho
raccolto storie e testimonianze del passato più recente. Ho studiato le
tematiche delle migrazioni, l’Albanese è la prima grande migrazione in Italia,
nel periodo in cui sono cadute le dittature comuniste , penso alla Polonia,
alla Romania come alla caduta del muro di Berlino. Non dimentichiamo che a Bari
il 7 agosto 1991 arrivarono, stremati,
affamati e disperati circa 20.000 albanesi. Eravamo tutti stupefatti. Venivano
dalla spiaggia di fronte, a poche ore di navigazione. Noi non avevamo idea di
quelle che fossero le loro condizioni in Albania. Loro ci avevano guardato di
nascosto attraverso la TV, ed eravamo la loro Terra Promessa. Il romanzo si chiude così, con questo
ricordo.
Nel 2017 esce “La Saponificatrice” con Delos Digitale e,
sempre con questa CE, pubblichi sotto pseudonimo racconti erotici. Perché lo
pseudonimo?
"La Saponificatrice" mi ha tenuto sveglia per circa due anni.
Il racconto non è molto lungo ma ho davvero letto e visto di tutto sulla
Cianciulli per arrivare a scriverne da un punto di vista che credo sia
originale. La mia anima noir si è voluta cimentare con una storia vera, una
serial killer, il primo processo mediatico della storia, nel periodo della
Seconda Guerra Mondiale. Ho cercato di pensare, parlare, ragionare come lei. E
di descrivere quel rapporto costante che lei aveva con la Morte che le aveva
tolto ben 13 figli, che lei aveva cercato anche per se stessa e che aveva così
freddamente e con lucido (folle?) calcolo procurato a tre donne sole,
totalmente in preda alla sua rozza ma efficace capacità manipolatoria.
Per i racconti erotici lo pseudonimo mi rende più libera di
lasciarmi andare alla fantasia: l’eros per me è intrigante e affascinante come
un noir. Entrambi parlano alla parte più viscerale di noi e suscitano emozioni
forti, di entrambi mi interessano le sfumature psicologiche non il mero atto
sessuale o omicidiario. A ben vedere riguardano entrambi il corpo e si
consumano sul corpo. Gli omicidi hanno molto spesso una motivazione sessuale,
oppure di dominio e di controllo. Anche quelli commessi per denaro hanno come
fine ultimo il senso di piacere che il possederlo procura. Quindi, a ben
vedere, i due mondi hanno abbastanza in comune. Lo pseudonimo mi è sembrato
necessario anche per altri due motivi: le lettrici di erotico spesso
prediligono i nomi esteri e poi le case
editrici tendono ad etichettarti con quella produzione, sicché quando vuoi tentare altri generi, si unisce anche questa difficoltà alle
innumerevoli altre che si incontrano quando si vuol pubblicare.
Ti sei addentrata anche nella poesia con la silloge “E non
m’ami più è invece. Perché la poesia?
Perché è più immediata e musicale ma al tempo stesso più
essenziale. Perché mi piace pensare che siamo immersi nella poesia e dobbiamo
solo fare un po’ di sforzo per ritracciarla nelle giornate difficili, in quelle
solitarie, quando scrivere un verso significa parlare a quella parte di te che
vuol essere compresa e consolata ma anche creare un ponte con tutti coloro che
chissà come e quando, leggendo i tuoi versi si riconosceranno.
Sempre nel 2017, esce anche “Aloe Vera” in self-publishing.
Qual è il tuo pensiero sul self?
Davvero è stato un piccolo esperimento. Per la mia
esperienza di lettrice è indubbiamente vero che orientarsi nella giungla del
self è difficile. Molte cose sono scritte male ma vanno avanti perché c’è una
claque di lettrici e followers dell’autrice. Però è anche altrettanto vero che
non tutto ciò che esce con una casa editrice è esente da errori , a volte
davvero troppo evidenti e poco professionali. Sebbene dia molta libertà, non
credo però che il self sarà mai la mia scelta preferita. Per il cartaceo poi
trovo fondamentale collaborare con l’editore che ti aiuta a farti conoscere, ti
organizza parecchie presentazioni, ti presenta librai e altri autori con cui
fare squadra e magari crescere insieme.
Questa è la ‘famiglia’ Les Flaneurs, il mio editore.
Progetti in cantiere?
Un lavoro a quattro mani, con un’altra autrice Les Flaneurs, appunto, su storie di DCA. Dovrebbe intitolarsi "Piume in gabbia". E il mio racconto "Il primo pensiero del mattino". Sto per consegnarlo all’editore. Il tema dei disturbi alimentari mi riguarda personalmente e riguarda tutte le diverse donne che sono stata nella mia vita in relazione al peso e al rapporto col cibo e con me stessa. Anita (l’anoressica) e Tania( l’obesa con episodi binge) sono due sorelle, “due opposti paradigmi Anita e Tania, un anagramma della stessa materia, il dolore.”. Spero di riuscire a portarlo nelle scuole, a parlarne con gli adolescenti. Abbiamo questo dovere, loro sono figli che ci hanno visto oscillare tra gli opposti, noi, forse, non siamo mai guarite.
È stato un piacere ospitarti nel mio blog. In bocca al lupo!
Per seguire Dirce Scarpello DIRCE SCARPELLO
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