Oggi, ospito con molto piacere la QUARTA TAPPA del Blog Tour dedicato al nuovo romanzo di Andrea Oliverio, dal titolo La Figlia di Cesare. Per l'occasione, scopriremo qualcosa di più dell'autore con una INTERVISTA a lui dedicata.
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INTERVISTA ALL'AUTORE
Ciao Andrea, benvenuto nel mio blog. Raccontaci qualcosa di te.
Ciao, grazie per il benvenuto! Sono ormai prossimo ai cinquanta (se ci penso mi viene da piangere) e mi considero un nerd a tutto tondo. Nel senso che mi piacciono i giochi in scatola (meno quelli per PC), i wargame con tante belle miniature dipinte a mano e, ancora oggi, faccio i giochi di ruolo (pensa che con il mio gruppo storico abbiamo festeggiato di recente i trent’anni di avventure e tiri di dado). Mi considero per certi versi un eterno Peter Pan e ne sono fiero. Questa è la versione di me privata, poi c’è la versione pubblica, ovvero quella più “normale”, dell’impiegato che lavora nel marketing di una grossa società. Vivo a Milano, dove sono nato e cresciuto. Sei anni fa la mia vita è cambiata (in meglio), perché ho incontrato la donna della mia vita, quella che mi sopporta e supporta ogni giorno. Ho lasciato per ultima la cosa più bella: sono anche papà di una simpatica monella di cinque anni.
La laurea in Scienze Politiche e l’impiego nell’ambito delle Telecomunicazioni. Quando si è accesa in te la scintilla della scrittura?
Si è accesa tardi, troppo tardi direi. Avevo ripreso a leggere da alcuni anni, e correva la fine dell’anno del signore 2017 quando due miei amici pubblicarono un libro. Uno era un fantasy, l’altro un romanzo
contemporaneo. Lì è scattata la scintilla della competizione. Da bravo maschio Alfa mi sono detto: “Be', se lo hanno scritto loro, lo posso fare anche io” e mi sono buttato a capofitto, io che in vita mia avevo scritto solo brevi racconti da adolescente per fare colpo su una ragazza che mi piaceva. Ho iniziato con un’idea e nient’altro. Non avevo alcuna nozione di come si scrivevano storie.
Sei appassionato di storia antica. Parlaci di questa tua passione.
Sin da giovanissimo, la mia materia preferita a scuola è stata storia. Quella con la “S” maiuscola. Avevo una certa attrazione per la storia antica, ero letteralmente affascinato dalle grandi civiltà del passato. Ho sempre trovato illuminanti le soluzioni trovate da questi popoli, per risolvere i loro problemi quotidiani. Il mio era un interesse che andava oltre alle date o alla sequenza cronologica degli eventi: ero curioso di scoprire come vivevano, cosa mangiavano, ecc…Mi sono anche iscritto a una associazione di rievocazione storica, dove facciamo archeologia sperimentale. Siamo spesso nelle piazze a mostrare e raccontare come si viveva 2000 anni fa. Devo dire che ho avuto la fortuna di incontrare persone speciali con cui condividere la mia stessa passione.
Hai esordito nel 2019 con il romanzo storico L’Inviato di Cesare, cui è seguito Nel Nome di Cesare. Perché l’Antica Roma?
Non c’è un motivo specifico: mi piacevano molto i romanzi ambientati in quel periodo; i nostri antenati
hanno costruito qualcosa di unico. Qualcosa che è durato con il passare dei secoli, e non mi riferisco al Colosseo, agli acquedotti o altro, mi riferisco al diritto, alle tradizioni e ai modi di fare. La società moderna è piena zeppa di usi tramandati dai romani, più di quanto immaginiamo.
Troveranno un libro più maturo di quelli precedenti. Io sono cambiato come scrittore. Ho seguito corsi sulla scrittura, ho acquisito un pochino (non molta) esperienza. È un libro sull’essere padre, ci sono almeno tre linee secondarie che esplorano la paternità. Ognuna ha diverse caratteristiche e finalità. I personaggi che vediamo in azione, nel corso del libro, sono diversi tra loro ma hanno in comune l’essere padre. Un libro che non perde la sua spinta avventurosa, ma che si sofferma sui tratti psicologici dei personaggi più dei precedenti.
Quali tematiche affronti in questo libro?
Tratto di amicizia e dell’incertezza che accompagna una guerra. Non solo per chi la combatte in prima linea, ma anche per i cari che restano a casa ad aspettare che il loro amato torni vivo. L’angoscia di non sapere cosa succede all’altra persona doveva essere straziante, in un mondo dove non c’erano telefonini o notiziari TV. E poi, come detto, tratto anche l’argomento della paternità, infatti questo libro è dedicato a mio padre che non c’è più da una decina d’anni. Avrei tanto voluto che lo leggesse, si sarebbe ritrovato in alcuni dei miei personaggi.
Qual è stato l’input per La Figlia di Cesare?
Doveva essere il capitolo finale della trilogia ed era necessario chiudere tutte le sottotrame che, per un
verso o per l’altro, erano rimaste aperte nei libri precedenti. Quindi, in verità, sono partito da lì, sapevo cosa avevo lasciato aperto e volevo dare delle risposte ai lettori.
Come approcci il romanzo? Hai una tecnica di scrittura o un metodo?
Ho un approccio molto schematico e strutturato. Con il mio romanzo d’esordio, avevo iniziato a scrivere e seguito l’istinto, sono andato dove mi ha portato la storia. Studiando e seguendo corsi di narrativa, ho capito che la creazione di un romanzo inizia con la definizione di un canovaccio. Ed è un metodo che mi consente di sapere, prima ancora di iniziare a scrivere, cosa succederà in ogni pagina fino alla fine. Cosa seminare e quando raccogliere il frutto della semina. In sostanza, il romanzo è costruito a tavolino con una scaletta molto precisa che scandisce scene e tempi. È molto più facile ed efficace, mi evita di perdermi strada facendo o di tralasciare dettagli importanti.
Lasciaci un assaggio del romanzo.
[...] L'ex
centurione mise la testa dentro al cubicolo dove si trovavano Letizia e
Kalila, le osservò. Erano in silenzio e si sorreggevano l'un l'altra
per esorcizzare la paura.
«Non preoccupatevi, il primo che prova a toccarvi dovrà vedersela con
me» si sentì in dovere di rincuorarle, mostrandosi spavaldo. Gli tornò
alla mente Enid e la piccola Castria, la sua famiglia. Per la prima
volta, si sentì mancare il fiato al pensiero che avrebbe potuto non
rivederle più.
Essere
uno scrittore di romanzi storici è un vero privilegio, soprattutto
quando scrivere non è un lavoro ma un hobby. Documentarsi per un romanzo
richiede molto tempo, se vuoi farlo bene (come nel mio caso). Quando
leggo un romanzo storico, la prima cosa che pretendo, da lettore, è
l’accuratezza; per questo motivo, voglio che i miei libri siano i più
"fedeli" possibili alla storia. Fatta questa doverosa premessa direi che,
di fedele, il lettore troverà moltissime cose, altre le ho dovute
modificare rispetto a quanto indicato nel De Bello Civile, per esigenze
narrative. Mi vengono in mente due esempi: il primo è la cospirazione
dei due principi galli. Giulio Cesare ci dice che hanno tentato di
eliminare un suo prefetto di cavalleria; io, per esigenze narrative, ho
modificato il bersaglio del loro tentato assassinio, scegliendo Marco
Cassio Sceva. Nessuna traccia degli annali mi serviva per dare una forte
motivazione ai due nobili contro Sceva. Il secondo esempio, invece, è
quello dei nobili di Gonfi che i legionari trovano morti nella villa di
uno di loro. Ebbene, Appiano ci riferisce che a somministrare il veleno
fosse stato un medico che, poi, si è dato la morte a sua volta. Nel mio
caso ho rivisitato la scena cambiando il dispensatore di morte, non più
il medico ma Androstene, il capo della città. Mi serviva per dare
maggiore drammaticità al suo sentimento anti romano e permettermi di
ricamarci sopra l’arringa contro Roma e il suo modus operandi.
Vuoi raccontarci un aneddoto o una curiosità legati a questa stesura?
Vediamo, sì, il test di gravidanza! A un certo punto della narrazione, compare un test di gravidanza ante litteram, ecco è tutto vero, veniva già usato nell’antico Egitto, molti secoli prima. Certo non restituiva i risultati con la rapidità dei test moderni, ma era piuttosto attendibile (70% dei casi). Non aggiungo altro per non fare spoiler.
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