Ciao Monica, benvenuta nel mio blog. Raccontaci qualcosa di
te.
Sono una donna di 43 anni che vive da sempre in una
cittadina alle porte di Roma. Ciò mi ha
permesso di respirarne la sacralità, la bellezza e la maestosità dei monumenti
storici. Ho un vero e proprio amore viscerale per la Capitale. Nella vita sono
un’educatrice di asilo nido e una mamma.
Da quando mi sono sposata vivo in campagna, circondata dalla natura e
dai miei sei gatti. Sono orgogliosa di aver insegnato ai miei due figli il
rispetto e l’amore per gli animali. Amo la musica italiana e sono canterina.
Tra i miei artisti preferiti ci sono: Gabriella Ferri, Mia Martini, Gianluca
Grignani, Mango e Mina.
Sei educatrice all’asilo nido e mamma di due bambini; dove
trovi il tempo per scrivere, e come si accesa questa tua passione?
Sono una donna fortunata, perché mio marito ha molto rispetto
per questa mia passione e mi aiuta a gestire la casa e i figli. Di conseguenza,
riesco a ritagliare il tempo prezioso per scrivere e leggere. Di solito lavoro
sui miei testi la sera e nel fine settimana. Inoltre, ho sempre bisogno di un
romanzo, o un saggio storico da leggere e lo faccio prima di addormentarmi nel
letto. A volte sono talmente stanca che
la testa finisce per pendere sul libro.
Sei appassionata di romanzi storici. Parlacene.
Ah, la storia! Historia magistra vitae est. Che grande
patrimonio dell’umanità. Senza di lei non avremmo mai potuto sapere chi
eravamo. Non avrei potuto evitare di amarla, dato che sono
cresciuta con un padre che ha questa passione e mi ha abituata a lunghi
racconti sugli antichi romani. Tuttavia, adoro in particolar modo il Medioevo e
il Rinascimento. Mi piacciono i romanzi
storici editi dalla Neri Pozza. L’ultimo
che ho letto è stato “La nemica” di Brunella Schisa. Ambientato nella Francia
del XVIII secolo, parla dello scandalo causato dall’affare della collana di
diamanti architettato da Jeanne de la Motte ai danni della regina.
C’è qualche autore che consideri tua Musa, e quanto di loro
c’è nei tuoi scritti?
Alberto Moravia ed Elsa Morante hanno influenzato molto la
stesura del mio primo romanzo “Come fiori tra le macerie.” Amo il neorealismo
italiano e Moravia può esserne considerato un antecedente con l’opera “Gli
indifferenti” del 1929. I libri che leggevo mentre romanzavo la vita di mia
nonna sono: “La ciociara” e “La storia” di Elsa Morante, due grandi
capolavori. Un altro autore che mi appassiona è Giovanni Verga. Le sue opere
sono una nuda e cruda fotografia della realtà umana dell’epoca. Verga narrava
spesso la vita della classe sociale più umile, caratteristica della corrente
letteraria a cui apparteneva: il Verismo. Ecco, io amo questo tipo di
letteratura perché mi emoziona e sconvolge allo stesso tempo.
Collabori con Les Fleurs du Mal, di cosa ti occupi nello
specifico?
Collaboro con il blog “Les fleurs du mal” di Alessandra
Micheli da un anno a questa parte. Il mio ruolo è di recensire i libri.
Un’esperienza fantastica in grado di arricchirmi come autrice perché mi
consente di sviluppare la capacità di analisi e di critica di un testo. Ringrazio Alessandra per la fiducia e
l’incoraggiamento che mi ha dato perché non avevo mai recensito un testo in
vita mia e non sapevo da che parte cominciare. Oh, mica è facile esprimere un
parere sull’opera di un autore, ricordando di essere sempre obiettivi e abbandonare
il gusto personale!
Nel 2017, esordisci con “Come fiori tra le macerie”. Di cosa si tratta?
“Come fiori tra le macerie” è tutto per me! Le mie origini,
le radici, la storia travagliata dell’infanzia
e poi della vita adulta della mia amata nonna paterna, vissuta in un piccolo
paese della Ciociaria nel ventennio fascista. Sant’Apollinare fu rasa al suolo
dalle bombe degli alleati sganciate lungo la linea Gustav tracciata dai
tedeschi. Il paese di mia nonna crollò insieme all’abbazia di Montecassino. Nel romanzo racconto la povertà di quei
tempi, l’analfabetismo, la guerra, l’atrocità di ritrovarsi ragazza madre in un
periodo così difficile e la forza di andare comunque avanti a testa alta!
Raccontare una storia reale, legata alla tua nonna paterna,
che emozioni ti ha suscitato?
Sono una persona
emotiva e, nello scrivere la storia di mia nonna, ho pianto molto. Lei non
c’è più, non ha potuto sapere di questo libro, dato che è morta nel 2008, ma io
gliene ho parlato spesso e lei, da lassù, mi ha ascoltata.
Segue il romance storico “Cuore indiano”. Lasciacene un
assaggio.
[...] Jamestown (Virginia
1676)
Eravamo seduti davanti al camino acceso, i giovani della mia
colonia e io, con lo sguardo rapito e sconcertato ad ascoltare i racconti degli
anziani.
A turno, ognuno di loro narrava delle usanze barbare e
demoniache nelle quali i selvaggi di quella terra, presi dal delirio di
compiacere i loro dèi, si mutilavano.
“Non c’era modo di fermare quelle atrocità” cominciò il più
vecchio. “Io assistetti a uno dei macabri rituali e lo ricordo come se fosse
successo pochi attimi fa.”
Posai il mio sguardo su di lui per capire di più da quelle
parole, ma ciò che vidi nei suoi occhi mi sconvolse: era terrorizzato.
“Con fare meticoloso arroventavano dei grandi uncini che poi
si conficcavano nel petto” continuò. “Riuscivo a sentire lo sfrigolare della
carne, mentre la punta vi entrava, per uscirne qualche centimetro dopo. Come se
non fosse sufficiente, i ganci erano fissati con una corda a un palo attorno
cui, poi, volteggiavano fino a lacerare e danneggiare la muscolatura.”
Immaginando con la mia fantasia di ragazza quelle scene
raccapriccianti, un senso profondo di terrore mi sconvolse.
Non è possibile che al
mondo esistano simili mostri e che Dio li abbia creati come un gesto nobile.
L’intera comunità provava ribrezzo per quel popolo
selvaggio. Noi donne eravamo atterrite al solo pensiero di finire nelle loro
mani, consapevoli di andare incontro a chissà quali torture e sevizie. Ai
nostri occhi erano come barbari senza legge o degli idolatri dalle anime perse.
Mio padre seguiva le ideologie di mister Bacon, un ricco
allevatore auto- eletto, a capo di un consistente numero di coloni che
protestavano scontenti contro le razzie degli indiani e la politica di favoritismo
nei loro confronti da parte del governatore reale della Virginia: William
Berkeley.
Mister Bacon e i suoi uomini erano accaniti sostenitori
della superiorità dell’anima, dei mezzi e della condizione sociale dell’uomo
bianco nei confronti di coloro che definivano selvaggi da civilizzare o far
scomparire, qualora avessero resistito alla nobile impresa.
Queste convinzioni mi erano state inculcate fin da bambina,
diventando parte di me tanto da portarmi a odiare quella gente e da non provare
pena per la loro sorte, se i piani di mio padre si fossero avverati.
L’ambizione dei coloni era espropriare i pellirosse dalle
loro terre. Noi eravamo il popolo eletto, così come era scritto nell’Antico
Testamento mentre gli indiani con le
loro passioni indomabili non potevano di certo definirsi una civiltà e mai
avrebbero potuto progredire per divenirlo.
A quel tempo ero ancora Eleanor Patel, una giovane e
attraente ragazza di sedici anni, nata in Virginia nel 1660. Obbligata a vivere
e crescere in una bellissima, seppur ostile, terra ancora in parte inesplorata,
nell’insediamento denominato Jamestwon, in onore di Re Giacomo.
Giacomo I Stuart aveva deciso, tempo addietro, di supportare
l’esplorazione e la colonizzazione dell’America, trovando utile quell’impresa
per la sovrappopolazione che attanagliava il suo regno, ma anche per portare
alla definitiva conversione dei pagani indigeni alla fede anglicana.
Dall’Inghilterra i miei nonni si erano imbarcati sulle navi
della Virginia Company e avevano affrontato un’infernale traversata durata
oltre quattro mesi per giungere in questa terra.
Mio padre era divenuto un ricchissimo proprietario terriero
ricevendo, di conseguenza, molte richieste di matrimonio per me da parte di
giovani ambiziosi. Io li ritenevo dei bigotti e rispondevo con un secco
rifiuto. Mi opponevo così a una società dove una donna, giacché figlia, era
obbligata ad assoggettare il suo volere agli ordini paterni. Non volevo un
matrimonio combinato e triste, come quello di mia madre; a dire il vero, non
desideravo un uomo sull’esempio di un genitore insensibile e autoritario, non
accettando quindi l’idea di poter essere un giorno comandata da un maschio
arrogante e prepotente. [...]
Nel luglio 2017, esce “Non odiare il sole” scritto a quattro
mani con Aurora Stella. Cosa troveranno i lettori al suo interno?
Un po’ come in “Cuore indiano”, i lettori troveranno un grido
di denuncia contro lo scempio che un popolo così affascinante e saggio ha
dovuto subire a causa della supremazia dell’uomo bianco. “Non odiare il sole”,
però, è ambientato nel 1800 e i protagonisti sono gli indiani delle grandi
praterie più conosciuti grazie alla vasta produzione cinematografica. In “Cuore
indiano”, invece, siamo ai tempi delle prime colonie inglesi in Virginia.
Scrivere un romanzo sugli indiani d’America è un’impresa rischiosa che richiede
un duro lavoro di documentazione, dato che gli usi e i costumi, lo stile di
vita variavano a seconda della tribù.
Qual è stato l’input per questo libro?
Di sicuro l’amore che Aurora Stella e io condividiamo per
questi popoli. La loro saggezza, il
rispetto per la natura e per la vita erano, già a quei tempi, superiori ai
nostri valori perlopiù materiali.
Che tematiche affrontate?
In “Non odiare il sole” affrontiamo due tematiche
importanti. La prima è quella del razzismo che da sempre perseguita i popoli
erroneamente creduti più deboli perché spesso il desiderio di sterminarli
nasconde la paura del diverso o di venire dominati da chi è più abile e capace. La seconda è la
forza dell’amore in grado di abbattere tutte le barriere e le diversità della
razza a cui si appartiene. L’amore conosce un’unica lingua e ha un solo colore
della pelle.
Qual è il segreto per scrivere a quattro mani?
Trovare un’anima affine alla tua con la stessa passione e
gli stessi valori. Se poi è in grado di arricchire la tua cultura, come Aurora
fa con me ogni giorno, direi che è un’esperienza fantastica.
Il tuo pensiero sul self publishing?
Lo adoro, anche se sono un’autrice ibrida: ho pubblicato sia
con case editrici che in self publishing. Sono convinta, ma non è una certezza,
è solo una mia opinione personale, che alcuni generi trovino maggiori vantaggi
se pubblicati con una casa editrice, come ad esempio il romanzo storico. Nella
mia ancora giovane esperienza da scrittrice ho avuto soddisfazioni da entrambi
i modi di pubblicare.
Progetti in cantiere?
Molti, sono un vulcano in eruzione con l’entusiasmo di una
bambina al luna- park!
Non so ancora la data precisa, ma entro il prossimo inverno,
salvi imprevisti, usciranno due romanzi storici per la casa editrice “La strada per Babilonia”,
scritti a quattro mani con Dario Pozzi, un autore che stimo dal profondo del
cuore. Sono onorata di questa collaborazione e dell’ entusiasmo che lui e
Alessandra Monaco mostrano nei miei confronti.
Tra qualche mese uscirà anche una raccolta di racconti ispirati alle
canzoni di Gianluca Grignani che ho scritto in collaborazione con ben dieci
autori! Approfitto per ringraziare caldamente Antonella Monterisi che sta
curando il progetto di cui è editor. Infine, sto scrivendo un rosa di ambientazione
storica insieme a un’autrice che amo e di cui ho letto tutti i romanzi:
Annalisa Caravante. Insomma, ne vedrete delle belle.
È stato un piacere ospitarti nel mio blog, in bocca al lupo
per tutto!
Il piacere è stato mio. Grazie infinite per la bellissima
intervista.
Per seguire Monica MONICA MARATTA SCRITTRICE
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