lunedì 7 febbraio 2022

INTERVISTA A GIUSEPPE RAUDINO

Ciao Giuseppe, benvenuto nel mio blog. Raccontaci qualcosa di te. 

Ciao Linda, intanto grazie per l’ospitalità. Vedo che cominciamo con la domanda più difficile: chi è Giuseppe Raudino? Sono una persona che tra i venti e i trent’anni ha preso una decisione importante, quella di lasciare l’Italia e provare da un’altra parte per ricominciare daccapo. Fino all’ultimo anno del liceo ho vissuto a Siracusa, a mio avviso la più bella delle città siciliane (Cicerone diceva che fosse la più bella delle città greche). Per diciotto spensierati anni ho goduto del tepore del sole mediterraneo, il mare che passa dal verde cristallino degli scogli al blu profondo dell’orizzonte, sempre attorniato da amici carissimi, sempre in sella alla motocicletta, i pomeriggi trascorsi a suonare la tromba nell’orchestra di fiati o a giocare al biliardo, e le sere in giro per Ortigia, il centro storico. Poi c’è stata la pausa senese, per studiare all’università, e alla fine il cambiamento radicale, il trasferimento all’estero. La scelta è caduta sull’Olanda, dove ho trovato opportunità professionali che mi realizzano e spazi personali per costruire una famiglia.

Laureato in Semiotica, sei docente all’Università di Scienze Applicate di Groningen. Quando si è accesa in te la scintilla della scrittura?

Si è accesa per scherzo, da adolescente, scrivendo parodie con cui intrattenevo i miei amici e, subito dopo sul serio, collaborando con alcuni quotidiani locali. Il giornalismo è stato il primo passo verso la scrittura, anche se più intimamente mi ero già avvicinato alla poesia. Siracusa è stata per me una città dei grandi incontri, un’arena che mi ha formato profondamente: sebbene non figurerà mai tra le avanguardie letterarie e culturali, perché è una città troppo miope e provinciale, lì ho fatto incontri importanti che mi hanno ispirato. Le gemme preziose sono dappertutto. Noto che si è trattato sempre di docenti di cui io non ero sempre un alunno diretto. Il Nino Cirinnà per la musica, Turi Rovella per la poesia, Paolo Giansiracusa per l’arte, Lucia Arsì per le lettere classiche. La scrittura è stata la conseguenza di tanta ricchezza acquisita grazie alla relazione con certe persone, conversando con le quali ricevevo spunti e idee, materiale per meditare sul senso dell’arte e della vita. Queste riflessioni, a volte, sono così dirompenti che hanno bisogno di sfociare nella scrittura.

Hai autori che consideri tue Muse?

Milan Kundera ha lasciato un segno per la sensibilità e la profondità con cui racconta la vita dei suoi personaggi. Umberto Eco mi ha insegnato l’importanza della struttura profonda di un testo, i piani e gli artifici narrativi, non solo come autore di fiction ma soprattutto come studioso di semiotica testuale. Frederick Forsyth mi ha affascinato per la capacità di congegnare i colpi di scena, misurare la tensione, descrivere la peculiarità di culture e luoghi lontani, far germogliare una ricerca meticolosa in accuratezza e credibilità nei propri romanzi.

Hai mai pensato di inserire la tua esperienza didattica nei tuoi testi?

Sì, ma è un’idea che ho maturato solo di recente. Quando ho cominciato a fare il professore, non ero nemmeno trentenne. Allora, avevo molte cose in comune con i miei studenti. Ora che vado per i quarantacinque, le differenze sono sempre più marcate. Questo mi rende più curioso, perché voglio capire di quali pensieri si nutrono i ragazzi, quali letture preferiscono, cosa guardano su Netflix, cosa li rende felici e cosa li preoccupa, cosa desiderano e cosa trovano assolutamente importante e irrinunciabile. Li osservo, vedo come interagiscono e come si comportano. Ne ho bisogno per catturare la loro attenzione e mostrare empatia. In questo senso, ho appreso e continuo ad apprendere molto da loro, anche se in realtà il professore sono io. Era inevitabile che questa esperienza didattica arrivasse fino ai miei libri, specialmente quello in uscita per Ianieri che sarà in libreria proprio quest’anno.

Hai scritto una tesi su Umberto Eco. Parlacene?


Umberto Eco è conosciuto ai più come l’autore de Il Nome della Rosa. In realtà era un professore di Semiotica all’università di Bologna, un filosofo, uno studioso di comunicazione e di mass media. La mia tesi era incentrata sulle sue riflessioni accademiche inerenti all’umorismo e al comico. Ho interrogato tutti i suoi testi che trattavano l’argomento. Eco non ha mai scritto un trattato intero sul comico, perché lo riteneva molto rischioso anche per uno studioso del suo stesso calibro. Il comico è molto complesso, dal punto di vista teoretico, e lui si limitava a prendere appunti, ad annotare, ad analizzare di tanto in tanto qualche ambito molto specifico della faccenda. Io, raccogliendo i dati per la mia tesi, decisi di non intervistarlo, perché sapevo che tutto quello che aveva da dire sull'argomento lo aveva già scritto. Poi, alla fine, gli feci leggere la tesi, e lui mi ringraziò, impartendomi l’ennesima lezione: non si avvicina uno studioso con un’intervista quando può essere avvicinato attraverso i suoi saggi. Ben vengano, invece, interviste come questa per promuovere il lavoro e il pensiero di chi naviga nel complicato mondo dell’editoria.

Tra le tante pubblicazioni, esce nel 2012 il romanzo Until Morning. Di cosa si tratta?

È una storia di equivoci. Ci sono personaggi che si incontrano nel momento sbagliato, oppure che non si riconoscono per quello che sono quando il momento e il luogo sono giusti. E poi è un miscuglio di culture e nazionalità, tema ricorrente nella mia produzione letteraria. Da oltre una dozzina d’anni insegno teoria dei media e giornalismo in un corso universitario internazionale e ho studenti che provengono da ogni parte del mondo. Anch’io, ai tempi del progetto Erasmus, ebbi modo di fare la mia prima esperienza internazionale da studente, e poi ho continuato da docente. Until Morning parla di giovani, e in quel contesto. Lo scrissi prima in italiano e poi lo tradussi in inglese io stesso, ma mi avvalsi di un editor freelance americano per aggiustarlo prima di renderlo disponibile sulle piattaforme di self-publishing.

Segue nel 2019 Mistero nel Mediterraneo, lasciacene un assaggio.


[...] «Andiamo lo stesso» disse Flavio. «Non vedo transenne che mi impediscono di entrare. E poi, non posso fare questo stupido giro» aggiunse facendo un cerchio sulla cartina con l’indice, «mentre il pezzetto di strada che ci interessa non è nemmeno due chilometri».
Alla fine, senza capire in che modo, si ritrovarono nei dintorni di Attard, proseguendo per Zebbieh attraverso polverosi sentieri di campagna, dove era difficile incontrare anima viva nonostante si trovassero nel paese più densamente popolato d’Europa. Il sole,prossimo al tramonto, aveva perso tutta l’arroganza del giorno. I campi, oltre i muretti a secco, erano già bruciati da quell’intenso calore di fine primavera, ma adesso la luce rendeva le sterpaglie di un colore più biondo e più leggero. Di tanto in tanto, una ventata gradevole portava il profumo dell’erba secca lasciata a morire sul terreno arso e l’odore dei capperi che spuntavano con prepotenza da qualche pezzo di roccia.
Il vespone procedeva lentamente, cominciando ad arrancare sull’ultima salita del gruppo montuoso di Wardija. Arrivati in cima, si aprì un panorama spettacolare sul promontorio di Mellieha a Nord e sulla baia di San Paolo a Nord-Est. Le acque del piccolo golfo rilucevano sotto il crepuscolo incipiente, formando mille guizzi dorati che sparivano e riapparivano, in continuazione.


In seguito, pubblichi Stelle di un Cielo Diviso. Cosa troveranno i lettori al suo interno?


Troveranno il Nord e il Sud che si confrontano e si scontrano nel campo della politica internazionale, della cultura, delle tradizioni ma anche - a livello personale - nel campo dei sentimenti e dell’amore. Attraverso i ricordi di Catherine, una diplomatica inglese che ha trascorso l’adolescenza a Cipro e voce narrante del romanzo, riaffiora la storia d’amore con Yasim ai tempi dell’università. Il ritorno di Cathrine a Cipro innescherà strane situazioni ed emozioni contraddittorie, proprio come Cipro, isola che collega gli ultimi scorci d’Europa con il Medio Oriente, squarciata a metà da un confine che separa la zona di influenza greca da quella turca. È un romanzo che parla di ferite e separazioni, di conflitti umani e sociali, ma anche di spiritualità che oscilla religione e superstizione. 

 

 


 

Qual è stato l’input per questo libro?

Nel 2013, fui invitato a Cipro per parlare una conferenza accademica e presentare un mio lavoro. Trascorsi alcuni giorni di luglio al campus della Middle East Technical University, che si trova nei territori occupati dall’esercito turco. Feci prima scalo a Istannbul e, per la prima volta, ammirai quel paesaggio meraviglioso: i minareti delle moschee da una parte, il Bosforo e il Mar di Marmara dall’altra. Poi, in volo notturno, arrivai a Cipro. Fu come viaggiare indietro nel tempo: dalla modernissima Olanda, fatta di infrastrutture e architetture avveniristiche, a quegli spazi rurali e antiquati, dove il ritmo della vita è più semplice e meno caotico. Qualche anno più tardi immaginai una storia che avesse gli stessi contrasti che avevo vissuto sulla mia pelle durante quel viaggio: una persona venuta dal Nord ma profonda conoscitrice della cultura mediterranea, nella quale era stata immersa per tutta l’adolescenza.

Quali tematiche affronti?


Da un lato c’è la storia personale di Catherine e Yasim, per cui il tema dell’amore tra persone che appartengono a culture e tendenze religiose diverse viene affrontato. Da qui scaturisce il tema religioso e di come la superstizione, che è la sua variazione più aberrante, condizioni la vita della gente.
L’altro grande tema, passando a un piano più macroscopico, è il conflitto tra greco-ciprioti e turco-cicprioti, oggi separati dal filo spinato e tenuti a bada dai caschi blu dell’Onu, che fa da sfondo alle vicissitudini dei personaggi e che spiega anche molte delle loro azioni.
Infine, la condizione femminile e il ruolo della donna nella società è certamente uno dei temi principali che ho affrontato, tanto che ho scelto di raccontare la storia in prima persona utilizzando una voce femminile. Esperimento, questo, che ha finora riscosso interesse e approvazione nei lettori e nelle lettrici.


Quale messaggio vuoi trasmettere con questo romanzo?


Senza dubbio è un invito alla riflessione su qualsiasi separazione e divisione, sia che si parli di popoli che di amanti. Cosa genera la divisione? Cipro è attraversata dal filo spinato e sono pochi i punti in cui si può timidamente attraversare il confine. Il Nord e il Sud del mondo sono sempre presentati in forte contrasto, così come lo sono le diverse religioni e i diversi punti di vista su qualsiasi argomento, soprattutto oggi con le polarizzazioni estreme fomentate dai social media. Il romanzo si interroga su un possibile denominatore comune a tutte le cause che generano ferite, tagli, separazioni, opposizioni. Sta al lettore individuare questa causa.

Nel 2022, esce poi Quintetto d’Estate. Raccontaci qualcosa di questo nuovo libro.


Prima, mi chiedevi se la mia esperienza didattica fosse mai entrata nei miei libri. Ebbene, un paio d’anni fa ho ritenuto che i tempi fossero maturi per un romanzo che affrontasse la relazione tra docente e discenti, tra maestro e allievi. Un professore di conservatorio si imbarca in un’avventura con cinque suoi allievi freschi di diploma, un viaggio in camper che li allontanerà dalla loro natia Sicilia. Man mano che proseguiranno il viaggio impareranno qualcosa di nuovo, cresceranno nella complicità musicale, nell’armonia, nell’interpretazione artistica del pezzo a cui lavorano. E cresceranno anche dal punto di vista umano, sempre grazie alla guida preziosa del loro maestro, che orchestrerà ogni minimo dettaglio di quel viaggio e di quella crescita. Ovviamente c’è un colpo di scena finale che non posso rivelare e che sorprenderà non poco gli stessi allievi.

Progetti in cantiere?


Sì, sto già scrivendo un nuovo romanzo ambientato nel periodo fascista, un romanzo che avevo in mente da molti anni, che mi ossessiona dopo aver ascoltato innumerevoli volte le vecchie storie di guerra di mio nonno, imbarcato su un incrociatore della Regia Marina e tornato a casa, sano e salvo, dopo incredibili e rocambolesche avventure. C’è già un opzione da parte del mio attuale editore ma, non essendo ancora un’opera del tutto completa, c`è anche la possibilità che venga pubblicato prima a puntate da un giornale che si è mostrato particolarmente interessato.

È stato un piacere ospitarti nel mio blog. In Bocca al lupo!


Il piacere e la gratitudine per questo spazio sono miei. Grazie per avermi dato l’opportunità di incontrare i tuoi lettori e dialogare con te e con loro.

PER SEGUIRE GIUSEPPE   GIUSEPPE RAUDINO

 



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