Ciao Paola, bentornata nel mio blog. Raccontaci qualcosa di
te.
Ciao, grazie per l’invito. Che dire? Sono una giovane
quarantottenne di Torino, nata e cresciuta qui, che ama le storie. Mi piace
leggerle, ascoltarle, guardarle e raccontarle in ogni modo possibile. Sono
sempre stata considerata una creativa: per vivere confeziono biancheria per la
casa su misura in un laboratorio artigianale; per hobby ho iniziato con il
disegno e la pittura, per continuare con canto, danza e recitazione, per poi
trovare in un certo senso la mia strada con la scrittura. Amo cucinare, cammino
molto e passo tutto il tempo possibile con le mie gatte e il cane. Da quasi
quattro anni sono innamorata della pole dance, mentre da piccola sognavo il
pattinaggio artistico su ghiaccio.
Il diploma all’Istituto Magistrale e il corso di laurea in
Storia e Critica del Cinema, ma è la danza la tua vocazione. Parlacene.
La danza mi ha “folgorata” in prima media. La leggerezza che
evoca, soprattutto, era quello che mi mancava all’epoca. Odiavo il mio corpo,
l’essere fatta di materia mi sembrava un limite enorme, sognavo di “volare”
senza peso, di essere altro da me. Ci ho messo un anno a decidere che il mio
futuro sarebbe stato questo, e per un decennio lo è stato. Poi la vita ha
deciso altro per me. Come ogni passione totalizzante, smettere mi ha scottata a
tal punto che per anni non ho voluto più nemmeno vedere un passo di danza
accennato in tv. Poi mi sono trovata in terza fila ad assistere a “Notre Dame
de Paris” e al primo balletto ho pianto tanto da dimenticare tutti gli anni in
cui il movimento armonioso della danza è stato distante. Non ho mai ripreso,
non al livello in cui ho lasciato, perché per me è sempre stato “o tutto o
niente”.
Hai coltivato varie esperienze lavorative, dalla babysitter
alla cameriera, dall’insegnante di danza alla commerciante. Dove trovi il tempo
per scrivere e come si è accesa questa tua passione?
Da diversi anni ho un lavoro stabile, in laboratorio, quindi
orari fissi e weekend liberi. Da sempre preferisco scrivere la sera, o la notte
quando non sono troppo stanca. Avendo però sempre meno tempo, può succedere che
scriva anche in pausa pranzo.
Uso prevalentemente pc e tablet, ma quando ho
iniziato a scrivere usavo matite, penne e pennarelli e scrivevo su qualsiasi
supporto. Amando le storie è stato abbastanza naturale passare dalla lettura
alla scrittura. Poesie, recensioni, brevi articoli alle medie per approdare al
romanzo intorno ai sedici anni – con un progetto finora incompiuto, perché mano
a mano che scrivevo mi rendevo conto della difficoltà e della mia
incompletezza. Ho pensato di pubblicare solo nel 2009, e di anni ne avevo già
quaranta. Avevo già dei romanzi iniziati ma la prima pubblicazione è toccata
alla poesia.
Sei appassionata di Pole Dance. Raccontaci qualcosa. Hai mai
pensato di usarla come ispirazione per un tuo libro?
In tutto il mio percorso verso la leggerezza, l’incontro con
la Pole Dance è stato come trovare la giusta misura. Mette d’accordo il mio
desiderio di volare e la materia del mio corpo. Contrariamente a ciò che si
pensa, la Pole è una disciplina sportiva che porta benefici immensi sia
fisicamente che mentalmente. Occorre forza, resistenza, coraggio, flessibilità e
un minimo di follia. Chi la prova, difficilmente abbandona. Nonostante i
lividi, i calli e la fatica. Si impara ad amare le capacità immense del corpo e
della mente; ci si accetta per quello che si è; si arrivano ad amare perfino le
imperfezioni.
Scriverne per ora resta un sogno. Sì, un’idea ce l’avrei, ma
è troppo difficile descrivere un mondo in cui convivono strippers e ingegneri
aerospaziali, medici e ricercatori, commesse e pensionate – sì, ho una compagna
di pole che ha ben 74 anni ed è uno spettacolo – tutte completamente pazze per
questo sport. Tutti si aspetterebbero solo storie di night club e ragazze
perdute.
Tra le tue pubblicazioni, ricordiamo la prima silloge “Parole
d’amore insano” uscita nel 2009. Perché la poesia?
La poesia è la prima cosa che ho scritto, con tutti i miei
limiti. Sui diari di scuola, sulle pagine bianche dei libri, sui fazzoletti di
carta. È immediata, pulita. Dentro ci possono essere milioni di cose vere,
anche profonde; come anche può diventare mero esercizio di stile. A volte in
una frase sola c’è la verità di una vita intera. A volte basta quella frase a
raccontare un mondo.
Nel 2014, esce “Gli attimi in cui Dio è musica”. Di cosa si
tratta?
Fino a “Gli attimi…” ho sempre scritto – e ho anche
continuato a farlo in alcuni casi – storie più cupe, dark in senso ampio,
scenari legati ad altri mondi e tempi. Per un momento, dopo aver pubblicato le
poesie, ho preferito accantonare quelle storie e scrivere un omaggio alla
danza, al mio essere stata aspirante ballerina negli anni ’80, quando tutti ci
ripetevano che bastava volere qualcosa per ottenerlo. Non era vero, ma allora
era bello crederci. Era bello sognare. Da “Gli attimi…” è nato lo spin off
“Vittorio”, uno dei titoli più scaricati della mia produzione in ebook.
“Gli attimi in cui Dio è musica” è un memoir, una versione
romanzata della mia adolescenza, parte di me.
Esce poi “Addio a Bodhgaya” e, nel 2016, esce “Sette
stanze”. Cosa troveranno i lettori al suo interno?
Mentre “Addio a Bodhgaya” era nato come un racconto di
viaggio – sia interiore che reale – per trasformarsi in una riflessione sul
lutto, “Sette stanze” è la storia di una rinascita. Ci si trovano errori, cose
non dette e la forza che arriva dalla disperazione e dal ritrovare sé stessi.
Qual è stato l’input per questo libro?
Ho iniziato a scriverlo pensando a un amico, conosciuto su
Facebook. Cercavo di mettere insieme i suoi pezzi, prendendo spunto dai nostri
dialoghi surreali. In ogni cosa che mi diceva di sé, io vedevo un particolare
in più, vedevo un aspetto diverso. Quando ha letto il primo capitolo si è riconosciuto
subito. In realtà non avevo intenzione di farne un romanzo: a volte mi capita
di scrivere pagine e pagine solo per esercizio descrittivo, questa era una di
quelle volte. Poi, rileggendo, mi sono domandata se fosse il caso di dare una
chance a quell’uomo di carta, chance che mi è costata un sacco di notti
insonni.
Quali tematiche affronti e quale messaggio vuoi trasmettere?
Credo che il cambiamento sia il tema che accomuna i miei
lavori, o almeno buona parte di essi. Ci sono passaggi oscuri, ci sono
sofferenze, c’è amore e dove c’è amore c’è cambiamento. C’è rinascita, appunto.
“Sette stanze” è, diciamo, un apostrofo rosa nella mia produzione. Credo sia un
romanzo ottimista, nonostante tutto. Imperfetto, probabilmente.
Non credo nei messaggi trasmessi volontariamente,
programmati. Credo nelle storie e nei personaggi, credo che loro possano
parlare e dire mille cose più di quante vorrei dirne io. So che quando sono
loro a parlare le persone che leggono li ascoltano davvero.
Proprio con questo libro sei stata finalista al Premio
Cinquantesimo Marcelli. Cosa ricordi di questa esperienza?
Quando ho terminato la scrittura del romanzo l’ho mandato ad
alcuni concorsi ed editori. Non avevo grandi aspettative, ero concentrata sul
progetto successivo e mi sono preparata a dimenticarmi di lui.
Ricevere l’invito per la finale a Senigallia è stato il
segno che per il romanzo c’era una possibilità. Poi non ho vinto, ma sono
contenta così. Il romanzo ha anche partecipato, come altri due miei lavori – di
cui un romanzo che è entrato nei 300 che superano la prima fase e che sto
riscrivendo – al torneo IoScrittore, indetto dal Gruppo Mauri-Spagnol. “Sette
stanze” non ha incontrato il gusto dei partecipanti, fa parte del gioco. Ha
comunque trovato il suo posto e tanto mi basta.
Parlaci un po’ di IoScrittore. Consiglieresti agli autori di
parteciparvi?
Ho partecipato più volte, divertendomi e imparando molto su
come avrei voluto o non voluto scrivere. I giudizi dei partecipanti, negli
anni, non sono sempre stati utili. Il bilancio è diciamo in pari. Ora non
partecipo da un po’, per motivi di tempo e perché ho voglia di scrivere senza
preoccuparmi dei giudizi altrui. A volte è vero che per vendere è necessario
andare incontro al gusto e alle necessità del mercato, ma non è sempre sinonimo
di libertà di creare o di originalità. Sempre più spesso, entrando in libreria,
vedo copertine simili, titoli simili, trame simili. Ecco, dal mio punto di
vista è meglio non vendere ma scrivere qualcosa che mi appartiene. Ciò non
toglie, comunque, che per scrivere sia necessario leggere molto. Il Torneo può
aiutare, se si incontrano i romanzi giusti e se il nostro lavoro viene letto
dai partecipanti giusti. Un parere costruttivo, favorevole o meno, è sempre uno
spunto di riflessione per scrivere meglio e il confronto con altri autori è
utilissimo.
Nel 2017 esce la silloge “L’universo è amore e sangue”.
Poesia Vs. Romanzo, chi la vince?
Romanzo, nel mio caso. Anche se ho scelto di pubblicare, pur
senza editore, la seconda raccolta di poesie. Ho scelto il self, ho raccolto le
ultime poesie e qualche brano in prosa e l’ho lanciato. Chi vivrà vedrà. Ho
deciso di non mettere limiti a ciò che faccio.
Il tuo pensiero sul Self Publishing?
Anni fa non avrei mai pubblicato in self. Ho scelto questa
formula per due raccolte – una di poesie e una di racconti già pubblicati in
antologie promozionali – perché non avrebbero avuto spazio con l’editoria
tradizionale. La poesia vende poco o niente, difficile che qualcuno investa e
se lo fa richiede un certo numero di pagine o di non mettere insieme poesia e
prosa ma la mia idea era di creare un libro proprio come l’ho pubblicato in
assoluta libertà, usando per la copertina la foto di un particolare di un mio
quadro. Credo che sia pieno di finti editori che speculano sul desiderio di
pubblicare, che ci siano molti editori piccoli che non svolgono appieno il
lavoro classico dell’editore. A un certo punto è meglio il self.
Non credo, però, che lo farei con un romanzo, che necessita
di un editing professionale, di una correzione di bozze, di impaginazione
corretta e adeguata, di una copertina studiata per vendere, di un minimo di
pubblicità e distribuzione. Ci sono molti lavori validi, pubblicati in self,
che hanno impaginazione orrenda tanto da risultare illeggibili; senza parlare
dell’editing inesistente. Io magari sono esagerata, ma non acquisterei mai un
romanzo nel cui titolo ci sono già due errori. Ormai valuto i miei acquisti
dall’anteprima sul web, o mi catturano o niente.
È vero che si guadagna di più, ma si è un numero tra
migliaia di titoli ogni anno. O si è perfetti o è meglio lasciar perdere.
Hai qualche altro progetto in cantiere?
Ho già terminato due romanzi, che per ora non ho spedito a
nessun editore. Sono usciti tre romanzi e un racconto noir (“L’altra donna”
Lettere Animate 2015), in tre anni. Non voglio disperdere troppo il mio lavoro.
Sto finendo un ennesimo romanzo, un po’ atipico per me, poi
mi dedicherò alla riscrittura del romanzo che aveva raggiunto il cuore dei
partecipanti al Torneo. Per farlo rientrare nei loro canoni lo avevo stravolto
oltre il dovuto, ora lo devo far tornare quello che era in origine, con un
tocco in più, perché nel frattempo io sono cambiata e con me la mia scrittura.
È stato un piacere ospitarti nel mio blog. In bocca al lupo
per tutto!
Ti ringrazio e continuerò a seguire le tue interviste e
segnalazioni. È sempre un piacere.
Per seguire Paola PAOLA FERRERO
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