Ciao Francesca, benvenuta nel mio blog. Raccontaci
qualcosa di te.
Ciao Linda, grazie a te per l’ospitalità! Qualcosa di me? Sono soprattutto
una traduttrice di narrativa dall’inglese e una mamma (di due splendide ragazze
di 10 e 8 anni) a tempo pieno, e una scrittrice per passione. Classe ’77,
quindi ho passato la boa dei 40, e con un amore lungo una vita per i cavalli e
l’equitazione (torno giusto oggi da un trekking in sella di una settimana in
Toscana). Vivo a Roma, città dove sono nata, con mio marito Marco, le mie
figlie e due buffe cincillà.
Sei giornalista, editor, traduttrice, scrittrice e
docente di Game Design. Quando si è accesa in te la scintilla della scrittura, e
dove trovi il tempo per scrivere?
Scrivo da quando ho imparato a leggere, o giù di lì. Fin da piccola, amavo
raccontarmi delle storie prima di dormire, e ho iniziato a cercare di scrivere
proprio quelle per non dimenticarle. Ho sempre amato il genere fantasy, che
perciò è stato la mia prima ispirazione verso la scrittura, insieme alla
mitologia norrena, che infatti si ritrova nei miei romanzi. Il tempo per
scrivere... con la vita che ho non è semplice trovarne, ma di solito mi
ritaglio qualche ora all’alba, quando intorno a me tutto tace e riesco a
concentrarmi meglio sulla scrittura.
Sei appassionata di scherma medievale. Parlacene. Mai
pensato di introdurla in un tuo libro?
La adoro, e per un periodo (molto tempo fa, ormai) l’ho anche praticata a
livello amatoriale. È una disciplina divertente e spettacolare, in cui si
finisce per fare gruppo con le persone con cui la si pratica, e per me è stata
una splendida esperienza. Utile, sì, anche per quello che scrivo, perché i
combattimenti all’arma bianca hanno le loro regole e descriverli in modo
corretto permette di creare scene d’azione molto più avvincenti.
Sei spesso all’estero per lavoro, e gli Stati Uniti sono
la tua meta del cuore, come mai?
Amo in particolare la Florida, e la zona di Ocala: non è un caso che vi
abbia ambientato il mio romanzo d’esordio, “Il segno della tempesta”. L’ho
visitata diverse volte, per lavoro e in viaggi di piacere, e poi è un luogo
meraviglioso per chi ama i cavalli: ci sono allevamenti splendidi e tante
opportunità imperdibili per chi, come me, ama l’equitazione.
Ci sono autori che consideri tue Muse?
Certamente! Tra i classici del fantasy amo Robert Howard, il creatore, tra
gli altri, del personaggio di Conan di Cimmeria: un vero narratore, dalla prosa
potente e carica di intensità, capace di tratteggiare mondi fantastici come se
fossero veri. Poi ci sono William Gibson, l’inventore con Bruce Sterling del
genere cyberpunk, e più di recente Poppy Z. Brite, autrice horror di New
Orleans che mi ha catturato con la sua scrittura lirica, in particolare con il
romanzo “Disegni di sangue”, che ho avuto l’onore di poter tradurre per
Independent Legion Publishing, e che consiglio anche a chi non ama molto il
genere horror; c’è dentro una delle storie d’amore più struggenti che mi sia
mai capitato di leggere.
Quale libro riposa ora sul tuo comodino?
La trilogia di “The first law” (La prima legge), scritta da Joe Abercrombie
e “Day of the Caesars” di Simon Scarrow, che sto traducendo in questi giorni.
Il tuo pensiero sul Self Publishing?
Un’ottima opportunità dei nostri tempi, e credo ne valga la pena quando si
hanno il tempo, la volontà e i mezzi per provare a farsi conoscere con le
proprie forze.
Nel 2016, esordisci con “Il segno della tempesta”. Perché
la narrativa per ragazzi?
“Il segno della tempesta” è un romanzo che funziona bene per un target
adolescenziale e giovanile per il suo principale messaggio di fondo, ovvero che
è quando abbiamo il coraggio di credere ai nostri sogni e seguire la strada che
dentro di noi sappiamo essere quella giusta, è il momento in cui troviamo il
nostro posto nel mondo. Tuttavia, può essere letto a qualsiasi età e offrire un
messaggio positivo a chiunque lo legga, al di là della storia urban fantasy che
racconta. Ed è sempre stato questo, il suo motivo d’essere.
Perché il fantasy?
Come ho detto, è uno dei generi che ho sempre amato di più, ma soprattutto
trovo che sia in qualche modo un mezzo per me più naturale e semplice di altri
per raccontare una storia e offrire un messaggio a chi ha voglia di leggerla,
al di là delle vicende che racconta e dei personaggi che descrive. In questo,
il fantasy riesce, secondo me, a tratteggiare più facilmente metafore profonde
offrendo al tempo stesso una piacevole fuga dalla realtà di tutti i giorni.
Questo libro partecipa al Premio Letterario
Internazionale e si aggiudica lo Special Best. I concorsi aiutano l’autore a
farsi conoscere?
Alcuni sì, sicuramente. Ma, tutto considerato, è facile rendersi conto che
in Italia ce ne sono fin troppi, e non tutti portano davvero a qualcosa, anche
nel momento in cui si dovessero vincere. È un’esperienza interessante, senza
dubbio, ma è anche bene farsi consigliare su quelli a cui vale davvero la pena
partecipare, se si ha la fortuna di avere un esperto a cui chiedere consiglio.
Nel 2017, esce il sequel “I figli della tempesta”. Cosa
troveranno i lettori al suo interno?
“I figli della tempesta” si può leggere, innanzitutto, anche separatamente
da “Il segno della tempesta”, poiché, pur essendo ambientato nello stesso
mondo, e con la stessa mitologia (ispirata a quella norrena), offre personaggi
diversi e una storia differente. I lettori si troveranno davanti a due giovani
protagonisti, Nathaniel e Winter, e alla loro avventura nel tentativo di
tornare indietro da un mondo che non è il loro. Chiaramente, il viaggio da
compiere è anche quello che ti conduce, attraverso scelte difficili e
responsabilità, al passaggio verso l’età adulta. Non mancheranno i sentimenti,
tra l’altro, perché quelli, nelle mie storie, non mancano mai.
Qual è stato l’input per questa serie?
Il mio primo viaggio in Florida, nel lontano 1999. Da lì, la storia de “Il
segno della tempesta” ha iniziato a cantarmi dentro, e ci ha messo decisamente
molti anni per trovare il suo compimento. Per il secondo romanzo, invece, è
stato tutto molto più facile. Nel giro di un anno e mezzo, la storia di Nate e
Winter era pronta a farsi conoscere.
Perché una serie?
In realtà, il primo romanzo è a suo modo autoconclusivo. Ma era andato
bene, e lasciava margini per una continuazione successiva della storia. La mia
editrice mi ha chiesto un nuovo romanzo, e ho deciso di restare nella stessa
ambientazione, esplorando alcuni tratti ancora da approfondire del mondo che
avevo creato, con personaggi nuovi e un punto di vista decisamente diverso. Trovo
che “I figli della tempesta” sia più maturo del suo predecessore, in ogni suo
aspetto, nonostante i protagonisti siano più giovani.
Quali tematiche affronti e quale messaggio vuoi
trasmettere?
“Il segno della tempesta” si muove, come accennavo, intorno alla ricerca
del proprio posto nel mondo, e della comprensione del fatto che quei tratti che
ci rendono unici e diversi da chiunque altro, e che spesso, soprattutto in
certe fasi della vita, ci fanno paura, sono quelli che, quando li accettiamo e
iniziamo a vederli come un dono, invece che come una sorta di “maledizione”, ci
permettono di realizzarci pienamente. Questo concetto è presente in parte anche
ne “I figli della tempesta”, dove ho scelto di affrontare più da vicino le difficoltà
dell’adolescenza, scegliendo di raccontare, tra le altre tematiche, anche
quella dell’amore omosessuale.
Hai altri progetti in cantiere?
Sto scrivendo, al momento, il seguito diretto de “I figli della tempesta”.
Con un po’ di fortuna e buona volontà, dovrebbe vedere la pubblicazione nel
corso del 2019, spero entro i primi mesi dell’anno! Ci sono molti lettori che
lo stanno aspettando e sto facendo di tutto per non deluderli.
È stato un piacere ospitarti nel mio blog. In bocca al lupo!
Grazie a te per l’ospitalità e... viva il lupo!
Per seguire Francesca FRANCESCA NOTO
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