Ciao William, benvenuto nel mio blog. Raccontaci qualcosa di
te.
Ciao e grazie per l’invito in
questo salotto virtuale. Che dire… a giorni la mia carta d’identità farà
suonare la trentaseiesima campana e di cose posso dire di averne realizzate nel
mio piccolo. Laurea, lavoro, famiglia e, da sette mesi, un figlio, posso dirmi
felice. Penso spesso al fatto di esser partito da un paese di quattromila abitanti
della provincia di Lecce a diciotto anni, per poi pian piano risalire l’Italia fino a
stabilirmi (oggi) a Parma. Un percorso ricco di sfide spesso cercate, ma che
non si fraintenda: a volte si perde anche, ma l’importante è rialzarsi e
riprendere da dove si è smarrito l’equilibrio. Occorre esser tenaci,
determinati anche nell’inseguire i propri sogni più lontani. Amo lo sport, la
lettura ovviamente, ma tutto finisce in ogni caso con una continua ricerca di
un nuovo punto limite delle proprie capacità. Diciamo che non mi accontento mai
di me stesso e punto a migliorarmi continuamente. Cos’altro aggiungere? Mi
piacciono i tatuaggi, però credo nell’importanza del simbolismo degli stessi e credo
debbano essere espressione stessa della persona che li indossa e non una
riproduzione casuale di immagini e icone.
Laureato in Economia e Commercio, ti occupi di organizzare
fiere ed eventi. Quando si accende in te la scintilla della scrittura, e dove
trovi il tempo per scrivere?
Non parlerei di scintilla, ma di
impulso a comunicare. Da qui, poi, dobbiamo distinguere la saggistica dal romanzo,
perché nel primo caso la comunicazione non può prescindere dal rigore dello
studio e dell’imparzialità per non trascendere nel qualunquismo
dell’opinionismo che, il più delle volte, cavalca mode e preconcetti inutili all’approfondimento.
Nel caso del romanzo, invece, l’impulso a comunicare incontra la forma artistica
della narrazione. Si dipinge un paesaggio ricco di colori e immagini ma che
nella loro armonica convivenza (se ben fatti) hanno il fine ultimo di
comunicare ben oltre l’estetica. Ovviamente credo anche non sia sempre così e
credo che c’è chi scrive per dirsi “scrittore”, chi scrive per “vendere” e chi
“scrive” credendo di farlo. In questi e altri casi non parliamo di arte, ma di
progettazione fredda e priva di un’anima. Infine, c’è e serve il tempo che non è
facile da trovare: a volte in pausa pranzo, a volte a tarda sera e a volte nel
weekend. Occorre sacrificio ovviamente, perché scrivere non può essere un lavoro
se non in condizioni particolari, ma ne vale ugualmente la pena, perché
comunicare vuol dire condividere, per non parlare del benessere che provo io
stesso a farlo. Il mio motto è: “scrivere: voce del verbo pensare”.
Hai una vocazione per l’America Latina. Parlacene.
Se ti riferisci soprattutto alla
saggistica, nella quale mi occupo soprattutto di analizzare economia, politica
del continente sudamericano... be', c’è poco da dire in realtà, perché è un’attrazione
inspiegabile, quasi innata che mi appartiene. Amo il Sudamerica in modo
profondo, tanto da sentirmi parte di quel continente stesso. Come vedi, è
difficile da spiegare, ma è una certezza della mia vita. Il paradosso è che,
mio malgrado, ancora non vi ho messo fisicamente piede, ma ho il tempo per
poterlo fare. Per ora mi accontento del fatto che, chi è latinoamericano,
riconosce in me un esperto e non un simpatizzante che vive nel limite europeo
di una visione colonizzatore-colonia (e quindi di superiorità).
Tra le tante collaborazioni, ricordiamo Caffè Geopolitico e
L’Indro. Recensisci sulla rivista LeggereTutti e collabori anche con la rivista
Scenari Internazionali. Quali collaborazioni ti hanno motivato maggiormente?
Di tutte, la collaborazione con LeggereTutti
risponde alla passione per la lettura, quindi con loro ho la possibilità di
leggere e recensire. Per il resto, invece, entriamo nell’approfondimento
economico e politico delle relazioni internazionali. Quello che posso dire è
che ho collaborato veramente con tante piattaforme web di approfondimento e
riviste cartacee in Italia e Argentina, ma ciò che ho realmente apprezzato sono
le esperienze in cui non c’era una linea editoriale da seguire. Credo che, se di
analisi si tratta, nessuno possa sindacare quanto riportato, perché frutto di
un’analisi vera e propria e non una traduzione, o un articolo giornalistico. Non
può esistere una linea editoriale e, quindi, nessuno può imporre contenuti o
taglio di un’analisi. Pertanto, posso rispondere che, delle tante collaborazioni,
quelle che mi motivano maggiormente sono quelle in essere: Scenari
Internazionali, Oltrefrontiera News, Geopolitica.info. Aggiungo anche la
rivista annuale “Africana”, rivista fra i sedici periodici italiani consultati
dall’«Index Islamicus» dell’Università di Cambridge. Per “Africana” ho scritto
nel 2012 e nel 2017 (forse lo farò anche in questo 2018) e devo dire che è una
collaborazione che dà lustro al mio lavoro d’analisi.
Nel 2012, esordisci con “Le Rivolte Gattopardiane”. Perché un saggio?
Perché me lo han chiesto. Mi
spiego. Nel 2010-2011, avevo appena iniziato a collaborare con una rivista web
di analisi geopolitiche. Un piccolo editore mi chiese di scrivere un libro sul
Sudamerica. Ovviamente accettai, ma erano gli anni delle Rivolte Arabe, e non
potevo starmene in silenzio davanti all’assordante flusso di bugie proveniente
da tv e giornali nazionali. La verità non piace mai e occorre spettacolarizzare
ogni cosa, per direzionare il pensiero di chi ascolta senza permettergli di pensare.
Volevo dire la verità di quelle rivolte, e la cosa migliore per farlo era
scrivere. Ecco come nascono "Le Rivolte Gattopardiane". Ovviamente ogni promessa è un
debito e, quindi, dopo 2 anni lo stesso editore ebbe da me "Sulle tracce di Simon
Bolivar", il libro che più amo e che raccoglie tre anni di studio e sacrificio
dedicato al Sudamerica.
Con questo testo, ti aggiudichi il Premio Nabokov come miglior
saggio edito. I concorsi aiutano l’autore a farsi conoscere?
Per i romanzi ancora non so come
funziona ma, per la saggistica, il premio non fa altro che certificare
ulteriormente la qualità del lavoro eseguito. Purtroppo, la saggistica ha una
nicchia di lettori in Italia e, soprattutto, la saggistica geopolitica. Pertanto
il premio ha un valore per l’opera stessa, ma non in diffusione. È la qualità
a esser comprovata. Tutto qui. La cosa bella, e che rafforza ciò, è che il Nabokov lo ha vinto, nel 2014, un libro pubblicato nel 2012 e ciò non ha fatto
altro che sottolinearne l’attualità del lavoro, nonostante gli anni trascorsi.
Non è scontato per un saggio che parla di fatti in divenire. Oggi riguardandolo,
posso sorridere, perché lo vedo ancora maledettamente attuale, visto che contiene
le origini dell’ISIS.
Nel 2014, esce “Sulle tracce di Simòn Bolìvar”, cui segue
“Appunti di geopolitica”. Dove nasce la tua ispirazione?
Come detto, "Sulle tracce si Simon
Bolivar" era un lavoro dovuto, ma anche necessario a me stesso. La
consacrazione di un percorso di studi personale non poteva che avvenire
mediante un testo difficile, lungo, ma realmente completo. Ne sono soddisfatto
per i suoi contenuti, e il sigillo di qualità a questo testo lo ha posto un
docente argentino che, dopo averlo letto, lo ha definito un testo che non
sembrava scritto da un europeo, ma da un sudamericano. Il miglior complimento,
per chi intende portare avanti il proprio metodo e il proprio studio, senza
influenze e libero da ogni preconcetto. "Appunti di geopolitica", invece, andava a
portare in un unico testo quanto prodotto nel web dal 2011 al 2013. Un testo
semplice nella sua composizione, ma indispensabile, perché mette nero su bianco
congetture internazionali utili per studi futuri.
Nel 2017, pubblichi “Play” e “Sul declino della
globalizzazione”. Quest’ultimo ottiene una Menzione speciale al Premio Cerruglio. Cosa
ricordi di questa esperienza?
Come detto, un premio per un
saggio non è altro che un’attestazione di qualità e, in questo caso, "Sul declino
della globalizzazione" è stato certificato da una giuria di alto livello tra
giornalisti affermati e membri delle forze armate. Un testo, in vero, preceduto
da un importante saggio “Eurosisma” (Castelvecchi Editore – 2016) e che precede
una nuova esperienza per me: "Play", ovvero il primo romanzo. Un modo diverso di
comunicare (la saggistica è diretta e priva di interpretazione per il lettore)
ma affascinante, perché pretende capacità espressive e fantasiose superiori.
Occorre narrare, creare una trama e, con questa, riuscire a comunicare ben oltre
ciò che la storia è. Difficilissimo e bellissimo allo stesso tempo. E, in più, a
me personalmente, richiede un equilibrismo continuo per tenere ben distinte le
due tipologie di scrittura (saggistica e romanzo), per evitare che l’una
distrugga l’altra e viceversa. Come ho detto di recente a un mio lettore,
posso riassumere la mia persona nel seguente modo: Dr. Jekyll (saggista) e Mr.
Hyde (romanziere) che convivono in Clark Kent (comune impiegato della vita di
tutti i giorni).
Nel 2018, esce “Delirium - Papillon catalano e oro cileno”,
scritto a quattro mani con Roberta Busacca. Cosa troveranno i lettori al suo
interno?
L’assurdo della mente umana,
sviscerato lungo un giallo da risolvere per i protagonisti di questa folle
storia. I lettori troveranno i paradisi artificiali di Baudelaire, intrisi della
schizzofrenia dei dialoghi dei film di Tarantino. Troveranno forse se stessi, o
forse si perderanno in se stessi. Difficile a dirsi. Tuttavia, stilisticamente,
troveranno (credo e spero) finalmente qualcosa di nuovo. Un testo molto
particolare e così voluto sin dalla sua genesi, in cui i personaggi sfuggono al
controllo dei propri creatori per prendere possesso del testo. Un testo
difficile da portare avanti, anche perché predisposto per mantenere intatti i
due stili differenti che collaboravano. Da una parte il mio e, dall’altro, quello
dell’autrice Roberta Busacca ognuno con il suo personaggio da tenere a bada in
un continuo botta e risposta via e-mail. Si tratta di un esercizio letterario
nuovo e avvincente, ricco di improvvisazione e ispirazione, ma pur sempre saldo
a una trama e a un filo paradossalmente logico, che conduce i suoi protagonisti
fino all’epilogo di un mistero oscuro.
Qual è stato l’input per questo libro?
Volevo creare qualcosa di diverso
da quanto avevo letto sino a quel momento. Il mio desiderio era di portare alla
luce un qualcosa che, a fine lettura, portasse il lettore a chiudere il libro e
guardarlo stranito, dicendo “ma cosa ho letto?” (ovviamente in senso positivo).
Poi la seconda tappa è stata trovare qualcuno di altrettanto folle, quanto
diverso da me, con il quale condividere il progetto. Roberta viene da un’altra
esperienza a quattro mani, dal titolo "Vita Indocente" e, conoscendola anche di
persona, aveva la giusta scintilla artistica e intellettuale per potermi
seguire in quest’assurdo progetto. Il resto è nelle pagine di "Delirium" che, mi
auguro, possa catturare e travolgere i lettori di questa intervista.
Questo testo è stato scritto a quattro mani. Com’è stata
questa esperienza? La replicheresti?
L’esperienza, per come strutturata,
è andata benissimo. Grazie a Roberta, sono riuscito a far nascere "Papillon catalano
e oro cileno", ma ancor di più "Delirium", ovvero un cappello matto sotto il quale
far confluire nuove storie, di cui "Papillon catalano e oro cileno" non è che un
primo capitolo. Diciamo che è nata una collana, forse, dove i personaggi del
primo capitolo potranno avere vita propria, o ritrovarsi. Nessuno può dire con
esattezza cosa accadrà in futuro. Per ora, di certo c’è che "Papillon catalano e
oro cileno" è in libreria e che due altri volumi, con ogni probabilità, lo
seguiranno nei prossimi due anni. Ma il come, il chi e il quando sono temi
prematuri da trattare…
Nell’epoca del self-publishing, qual è il tuo pensiero al
riguardo?
Sarò sincero: sono scettico,
perché ritengo l’editore (non l’editore a pagamento) un attestato di qualità
all’opera. Ho anche acquistato prodotti in self-publishing, ma la qualità del
cartaceo la ritengo pessima. Non bisogna pubblicare giusto per farlo a mio
avviso e, se si viene rifiutati, c’è un motivo che a volte non vogliamo
accettare. Lo dice uno che, di porte in faccia, ne ha avute, ma le ha usate anche
per maturare la propria capacità di scrittura. Il fallimento deve rafforzare.
Poi, ovviamente, esiste la
pubblicazione in e-book che supera la barriera della qualità del prodotto
stampato ma, anche qui, resto scettico perché manca (a mio avviso) quella
qualità che ancora pretendo mi garantisca un editore che si assume il rischio e
investe in quel prodotto. Inoltre, sono un tradizionalista romantico, e il
profumo di un libro fisico è insostituibile.
Come detto, sto ultimando il
secondo capitolo di "Delirium" che ho scritto in solitaria. Inoltre, ho stretto
una collaborazione con un nuovo autore, per iniziare la stesura del terzo
capitolo della stessa collana. Per la saggistica, invece, ho ripromesso un libro
sul Sudamerica, e le promesse dalle mie parti si mantengono sempre…
È stato un piacere ospitarti nel mio blog. In bocca al lupo!
Grazie a te per l’ospitalità e buona lettura a tutti,
qualunque essa sia.
Per seguire William WILLIAM BAVONE - SAGGISTA/ANALISTA
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