lunedì 2 settembre 2013

INTERVISTA A PEE GEE DANIEL

Ciao Pee Gee, benvenuto nel mio blog. Raccontaci qualcosa di te.

Sono alto 186 cm di statura e mezzo metro all’incirca al garrese, ho gli occhi verdi, i baffi bruno-biondicci, porto il 45 di scarpe, su una spalla ho un tatuaggio tribale che raffigura uno squalo, il mio soprannome di battaglia era “Il Tigre” (perlomeno sino a prima della paternità). Sono padre di un bambino di cinque anni e mezzo che si chiama Michelangelo e marito di una mia quasi coetanea che si chiama Daniela. Ho fatto le scuole pre-ginnasiali da salesiane e gesuiti e, di conseguenza, ho perso irrevocabilmente ogni fede. Il mio piatto preferito sono le frattaglie. Il mio film preferito è Novecento di Bernardo Bertolucci. Il mio romanzo “totemico” è Moby Dick. Il mio autore di riferimento è C.E. Gadda. Alimento un culto personale quasi omoerotico verso Elvis Presley. Odio tutti gli sport tranne il pugilato.

Una laurea in filosofia e una collezione notevole di lavori: da impiegato a magazziniere, da poliziotto a bibliotecario, aiuto-camionista, copywriter, addetto a ufficio-stampa, responsabile di sale-slot sala-giochi e agenzie di scommesse. Un bagaglio di esperienze che incuriosisce. Parlacene.

Mi è sempre piaciuto farmi trascinare, in qualche modo, dalla vita: “perinde ac cadaver”, come mi insegnavano i gesuiti, coi toni drammatici che amano spesso sfoggiare. Nutro un’adorazione para-religiosa verso la vita, intesa quale forza sovrastante e dominante cui, volenti o nolenti, comunque vada soggiacciamo. È quindi capitato quasi sempre che rispondessi alle chance che la situazione mi proponeva, avendo così l’opportunità di sperimentare, conoscere e afferrare il più possibile della realtà contingente che, nei suoi più disparati aspetti, questa mai esausta ricerca di cambiamenti mi consentiva. Peraltro quello che mi sono sempre, più o meno segretamente, prefisso di fare nella vita era scrivere, per l’appunto. Averne fatte tante, come si suol dire, mi ha consentito di mettere insieme materiale, umano e non, sufficiente a tal proposito per i prossimi quattro decenni…
La mia seconda passione, oltre alla letteratura, è la filosofia, che cerco di coltivare di pari passo, con diversi e frequenti crossover interdisciplinari. L’utilità principale di quest’ultima rispetto all’attività di scrittore sta principalmente nel fatto che gli studi filosofici ti informano di tutto quello che le migliori menti scaldate da questo stesso sole che ora abbronza noi abbiano precedentemente postulato, tanto da dare la giusta modestia indispensabile, ogni qual volta ci percorra la mente qualche nuova idea magari particolarmente allettante, per sapere che essa è già stata quasi sempre pensata e strutturata da qualche illustre predecessore, nella maggior parte dei casi senz’altro meglio di come faremmo noi…

Sposato e con un figlio, sei anche sceneggiatore, commediografo e articolista. Dove trovi il tempo per scrivere?

Il mio tempo è tutto dedicato alla scrittura. In primis perché il ben noto periodo congiunturale che stiamo attraversando, e la conseguente difficoltà a rintracciare una mensilità fissa, mi ha infine incoraggiato a tentare il lavoro dello scrittore tout cour. Secondariamente perché uno scrittore scrive anche quando non sta scrivendo. Quando sembra fare tutt’altro, quasi senza volerlo sta in realtà incamerando esperienze, sensazioni e intuizioni che lavoreranno lentamente in lui ed emergeranno, alla fine, sotto forma di una storia pronta da essere narrata. C’è quella celebre frase di Joseph Conrad, che spiega bene questa fase di “assorbimento” propria della scrittura: «Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?»

Raccontaci del tuo primo approccio con la penna?

Il mio primissimo approccio fu con una matita, a dire la verità. Sin da bambino adoravo riempire quadernoni a quadretti di storie a fumetti. Questa voglia di reinterpretare, ovvero di rielaborare l’esperienza del mondo si “traslitterò”, durante gli anni del liceo, in un nuovo mezzo espressivo. Partii, come quasi tutti, dalla poesia, che poi, come quasi tutti, abbandonai precocemente, dopo aver collezionato una serie di premi e segnalazioni letterarie anche di un qualche prestigio, in favore della narrativa, più confacente a ciò che mi preme dire.

E’ doveroso dire ai lettori che scrivi sotto pseudonimo. Perché questa scelta?

Sin da subito capii che mi serviva un 'nom de plume'. Questo innanzitutto per rendere più chiara possibile la distinzione tra lo scrittore e la persona. Ritengo infatti che nella scrittura un autore dia di sé molto spesso il meglio, altre volte il peggio, comunque sempre la parte più profonda e meditata della propria personalità. Era dunque per me molto importante mostrare sin dall’inizio questa distanza ontologica tra i due diversi aspetti che mi contraddistinguono: l’uomo qualunque, nella sua feriale mediocrità, da un lato, contrapposto allo stato di eccezionalità dello scrittore. Quanto all’origine per così dire “tecnica”, Pee Gee non è che la versione inglesizzata del nomignolo ipocoristico che da sempre mi accompagna (facendo io, all’anagrafe, Pierluigi), mentre, per quanto riguarda il cognome, la scelta fu più complicata. Quando mi dovevo scegliere uno pseudonimo a un certo punto mi dissi: se ci sono Eros Ramazzotti e Mia Martini perché non posso omaggiare anch’io il mio drink preferito? Il mio pseudocognome, quindi, non è altro che un grato riferimento al Jack Daniel’s, che tanti ispirazioni mi diede (anche questo sempre prima della paternità…).

Partecipi a diversi concorsi letterari ed è proprio in uno di questi che il tuo racconto “Anzelmius” viene premiato e inserito in una rivista e in un’antologia edita da Marcos y Marcos. Di cosa si tratta?

È un racconto svolto in prima persona da un imbonitore di piazza, che deve convincere il pubblico astante ad accaparrarsi un biglietto cadauno per assistere allo spettacolo di quel “Superbo Anzelmius” che dà titolo al racconto stesso. Anzelmius, nelle parole dell’imbonitore, è un prestigiatore prodigioso, capace di magie mai prima tentate, che spesso sfociano nel più oscuro occultismo. Al termine della storia sorge il sospetto che in verità questo personaggio tanto pomposamente enarrato sia più leggendario che reale e che le vere facoltà magiche risiedano tutte nella facondia e nella magniloquenza dell’imbonitore.
Ho sempre amato le manifestazioni spettacolari, come i numeri di macromagia appunto, ma questo racconto, come forse si intuisce, viene anche a costituire una sorta di riflessione metanarrativa su quale sia l’effettivo ruolo di chi narra e su quale valore assuma mai il suo stile qualora non serva che a nascondere una completa vacuità di contenuti.

Nel novembre 2010 un tuo monologo viene segnalato al concorso ‘Pervocesola’ e pubblicato in un’antologia edita da ‘Nerosubianco’. Parlacene.

Si tratta della versione drammatizzata del racconto di cui vi dicevo poco fa. Probabilmente questo breve monologo verrà prima o poi ripresentato in scena dalla compagnia teatrale romana che sta anche curando la messinscena di una mia commedia intitolata "Guerra lampo" .

E nel 2012 un tuo saggio di critica letteraria viene segnalato al ‘Concorso Letterario Nazionale Bel-Ami 2012 – Festival Dieci Lune’ e premiato presso la ‘Domus Ars’ di Napoli. Cosa ricordi di questa esperienza?

È un saggio che cerca di investigare quanta parte abbia avuto sulla composizione del Moby Dick l’influenza esercitata su Melville dalla contemporanea lettura delle opere del proto-illuminista Pierre Bayle. Il suo titolo è la testuale citazione di una frase di Ahab quanto mai rivelatrice: «Sometimes I think there’s naught beyond» (trad.: a volte penso che al di là non ci sia alcunché). Entro fine anno questo stesso saggio, rimaneggiato in chiave un tantino più filosofica, avrà l’onore di apparire sulla rivista di filosofia, organo ufficiale della Facoltà di Trieste.

Sempre nel 2012 pubblichi il tuo primo romanzo “Gigi il bastardo (e le sue 5 morti)” che ti vale la segnalazione al ‘Concorso Nazionale Alexandria Scriptori Festival’. Quali contenuti tratti in questo esordio?

"Gigi il bastardo" è un romanzo che definirei “testosteronico”: progettato e impostato intorno ai 21 anni (anche se mi è poi capitato di rivederlo anche in anni successivi), rappresenta un debutto letteralmente esplosivo. È infatti un testo fortemente sperimentale (spesso ai limiti dell’avanguardia letteraria) che vuole romanzare le mie esperienze di allora, non di rado estreme, in gran parte frutto dei miei anni trascorsi come poliziotto a Torino, attraverso una mescola di slang, gerghi tecnici, forestierismi, neologismi, forme dialettali, obsolescenze, onomatopee, citazionismi eruditi, errori marchiani, tic linguistici, etc.
La storia è delle più semplici: Gigi Strapiù una mattina si risveglia e scopre di essere stato abbandonato da Lisa. Per l’intero evolversi del romanzo suo compito sarà ritrovarla, sino alla riuscita finale che, tuttavia, presenterà un ulteriore, inaspettato colpo di scena. Quel che importa maggiormente è però quel che Gigi vive ed esperisce in questa sua folle ricerca, in una Torino quasi sempre notturna, tra locali ambigui, personaggi incubatici, viaggi allucinati, falsi messia, pusher, orge tragicomiche e peripezie varie.
È un peccato che la sua diffusione sia un parecchio sacrificata dal tipo di scelte gestionali operate dall’editore. Comunque, se vi venisse difficile rintracciarlo, almeno per farvene un’idea è stato interamente pubblicato, a puntate, anche sul blog dello scrittore Marco Candida.

Nel 2013 pubblichi il romanzo e-book “Phenomenorama”. Vuoi darcene un assaggio?

"Phenomenorama" parla di una mia annosa passione: i freaks, ossia quegli sventurati che, segnati sin dalla nascita da incredibili deformità, se qui da noi venivano rinchiusi nel Cottolengo, in gran parte d’Europa e soprattutto in America venivano esposti al pubblico come una sorta di “artisti naturali” e prendevano appunto nome di fenomeni da baraccone. La storia è quella di un freakshow itinerante per l’America più profonda, durante gli anni della Grande Depressione, il direttore del quale, Monsieur Korallo (un altro imbonitore da piazza!), si vede scomparire nottetempo, uno dietro l’altro, tutti i suoi artisti, a detta loro rapiti dal messia dei freaks Cincio Ciancio, che li preleverebbe onde recarli alla terra promessa dei fenomeni umani. Forse però le cose stanno un po’ diversamente… Ho inventato Phenomenorama per sfruttare un nuovo software per tablet e smartphone sviluppato da un giovane team di Modena. Il sistema rassomiglia a quelli che erano i libri-game, ma dà l’opportunità allo scrittore, e di conserva anche ai lettori, di perdersi tra infiniti meandri, approfondimenti, vicoli ciechi, diversi punti di vista circa una stessa scena, musica, illustrazioni, capitoli consultabili solo a certe ore del giorno e solo con certe condizioni atmosferiche (in accordo con lo svolgimento della scena narrata), etc.
Ne volete un breve assaggio? Comincia così: «A partire dall'agorà ateniese, giù attraverso i secoli, dalle fiere medievali alle feste di piazza vittoriane, mai è mancato un momento di evasione collettiva, durante il quale qualche impresario spregiudicato non credesse opportuno alzare un po' di soldi esibendo di fronte a un pubblico pagante i rappresentanti più sfortunati della società umana: esemplari deformi alla nascita, dalle sembianze animalesche o mostruose, portatori di handicap rarissimi e a loro modo speciali. Tuttavia non giudicate con eccessiva severità l'intraprendenza di questa sottospecie di agenti teatrali. Costoro non fanno che conciliare l'eterna legge commerciale della domanda e dell'offerta. Perché è la gente, prima di tutto, a esigere questo tipo di spettacoli. Padri timorati d'Iddio che si accalcano in interminabili code pur di munirsi del biglietto che permetta loro, insieme all'innocente prole, di assistere quanto più da vicino possibile ai tanti abomini raccolti sotto le apposite tensostrutture.»

E sempre quest’anno pubblichi il tuo terzo romanzo “Il politico”. Cosa troveranno i lettori al suo interno?

Prima di pubblicarlo l’editore mi chiese di compilare una breve scheda di presentazione per vedere se gli potesse tornare utile per la quarta di copertina. Dopo averla letta mi espresse testuali parole: «Mai far scrivere la quarta di copertina a uno scrittore: sono i peggiori venditori di se stessi!», e sono perfettamente d’accordo con lui. Lascio quindi la parola al testo poi redatto di suo pugno, che presenta egregiamente quanto il lettore si troverà davanti, una volta aperto il libro:
«Un uomo insulso, privo di una vera personalità, senza reazioni emotive e dalle scarse capacità. Il protagonista de “Il Politico” è un uomo mosso da bassi istinti, caratterizzato da un’indolenza quasi morbosa, capace di improvvisi atti di violenza: tutto questo lo farà diventare attivista del Movimento e, grazie all’amicizia dei suoi discutibili capi, si avvierà verso un’irresistibile, quanto inaspettata ascesa sociale. “Il politico” è un romanzo caustico, carico di straordinaria sagacia e di tragica ironia, in cui il dramma di un uomo chiuso in se stesso si trasforma nella fotografia di una società smarrita.»



http://associazionegolena.com/page.php?136




Quali tematiche affronti?

La trama coincide con la fortunosa costituzione sociale di un antieroe dei nostri tempi, per parafrasare Lermontov. Seguiamo questo idiota integrale, protagonista del romanzo, sin dalla più tenera infanzia e, attraverso le sue continue efferatezze, piccoli o grandi, lo vediamo crescere sia fisicamente che dal punto di vista del ruolo sociale. Quasi senza alcun contributo volontario da parte sua, lo pedineremo infatti progredire gradualmente, prima entrando in un movimento politico estremista non meglio identificato e quindi, sul finale, passando addirittura le elezioni e accedendo alla cosiddetta “casta”, come deputato della repubblica italiana. La tematica principale risponde perciò alla volontà di descrivere un personaggio completamente svuotato di ogni personalità. Calare un tipo di personaggio del genere all’interno delle dinamiche che reggono politica e società e dimostrare come verosimilmente risultino a costui favorevoli si trasforma poi, però, attraverso un processo quasi automatico, in un preciso quanto esplicito atto d’accusa verso il sistema e le strutture sociali in cui viviamo. Non per nulla lo slogan che lancia il romanzo recita: «È cattivo. È stupido. È incapace… E farà carriera»
Quello che mi prefiggevo, dunque, era una meditazione sui nostri tempi che travalicasse il più semplicistico sentimento dell’antipolitica, che comunque, in una nazione come la nostra, resta sempre e largamente legittima.

Come nasce l’idea per questo libro?

La psicogenesi del romanzo - chiamiamola così – nasce da un esperimento mentale, ovvero una specie di esperimento filosofico. Era infatti da tempo che volevo costruire un personaggio completamente privo di intelligenza, qui intesa sia come intelligenza logico-speculativa che come quella che si definisce intelligenza emotiva. Ci sono figure sostanzialmente deprivate di uno di questi aspetti, pur riuscendo a conservare l’altro.
In filosofia, ad esempio, si parla di “genio morale” per intendere qualcuno magari incapace delle più semplici operazioni intellettive, ma, d’altra parte, ricco di umanità, a tal punto da comprendere quel che gli altri provano per pura intuizione. Poi c’è il serial killer, cui viene riconosciuta un’intelligenza acutissima ma una pressoché totale mancanza di reazioni emotive, a tal punto da portarlo alle gesta che ben conosciamo. Ecco, volevo riunire i deficit interiori di questi due esempi umani per farne un personaggio che, nelle sue esagerazioni, rendesse al meglio il milieu che ci tocca vivere in un periodo come questo. Era il secondo aspetto a interessarmi maggiormente: l’assoluta assenza di empatia. Tutti conosciamo il celebre aforisma kantiano: «Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me» Freud amava sbeffeggiarlo affermando che, mentre l’esistenza del cielo stellato gli era chiara, in tanti decenni consumati a investigare che cosa davvero albergasse dentro gli esseri umani, mai gli era capitato di imbattersi in qualche legge morale in essi innatamente inscritta.
Ebbene, se proprio vogliamo recuperare l’ottimismo dell’illuminista tedesco, questa legge altro non è che l’empatia, grazie alla quale sentiamo quel che l’altro prova e ci comportiamo di conseguenza, consentendo tra l’altro ogni convivenza sociale. Chi ne è privo o carente è il peggiore dei malvagi. Molto più dei villain da film western o degli arcinemici dei fumetti o, ancora, del baritono a cui nei melodrammi tocca la parte del perfido: quelli, al di là delle loro risatacce teatrali, perseguono uno scopo, per riprovevole che sia. Una volta raggiuntolo sono soddisfatti. Il cretino invece non conosce remore, né limiti, né traguardi. Va avanti come un panzer e macina quel che gli si para davanti senza neanche rendersene conto. È pericolosissimo!
Per tornare ora al romanzo, il problema è che un personaggio non basta a se stesso, ma perché lui e la sua storia siano credibili bisogna prima trovargli la giusta collocazione, o la giusta location, per dirla con una pisquanata; anche se in questo caso il termine più adatto sarebbe “il giusto habitat”. Quando scrissi "Il politico" lavoravo in una biblioteca civica che dà su quella stessa piazza principale su cui si affaccia anche il municipio. Un giorno, affacciandomi dal finestrone, mi capitò di assistere a una manifestazione politica che si stava svolgendo nella piazza sottostante, talmente pomposa e talmente stupida che quasi di riflesso mi fece finalmente decidere in che ambito inserire quel personaggio senza qualità che da tempo andavo formando nella mia mente.

Hai qualche progetto in cantiere di cui vuoi metterci a parte?

Attualmente sto ultimando il copione per un musical liberamente ispirato al film "L’attimo fuggente", che mi è stato commissionato da un’importante impresa teatrale. Entro breve dovrebbe essere pubblicato un mio romanzo giallo in formato digitale che si chiama "Il lungo sentiero dai mattoni dorati". Ho sottomano una raccolta di racconti e un romanzo tuttora inediti e una compagnia teatrale romana – ma questo già lo accennavo prima - si sta attrezzando per mettere in scena una mia commedia intitolata "Guerra lampo".

E’ stato un piacere ospitarti nel mio blog. In bocca al lupo per il tuo lavoro!

Piacere mio! Ti ringrazio dell’ospitalità e ti faccio i miei più sinceri complimenti per il tuo blog. Per richiamare la maggior botta di fortuna possibile ti rispondo: crepi Wolverine!

Per seguire Pee Gee    PEEGEEDANIELANDIA


2 commenti:

  1. Ringrazio la mia esimia collega Linda per la gentile ospitalità nonché per le domande rivoltemi, come sempre argute e "maieutiche"!

    Pee Gee Daniel

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie mille dei complimenti! E' stato davvero un piacere ospitarti! :)

      Elimina