domenica 3 gennaio 2016

Racconto - LA MASCHERA


Anna osservò la Stella di Natale al centro del tavolo, i petali accoglievano ancora qualche brillantino che tentava di restare aggrappato all’oasi vermiglia. Sembrava sfavillare nella stanza rischiarata dallo schermo muto della televisione, sul quale scorrevano immagini di bambini che sgranocchiavano panettoni, i nasini imbiancati dallo zucchero.
Fuori, il cielo piangeva fiocchi immacolati che sfioravano il suolo in candide carezze. Il freddo pungente penetrava attraverso le finestre dai vetri tempestati d’impronte e precipitava nella stanza, incuneandosi sotto la pelle, tra le ossa, su fino al cuore.
Un orologio a cucù spezzò il silenzio. Mezzanotte di un Natale atipico per chiunque, ma non per lei. L’immondizia, abbandonata davanti all’uscio in un sacco nero, le ricordò i suoi doveri. Trovò la forza di alzarsi dalla sedia. Diede le spalle alla pianta colorata, unico omaggio al Natale, e uscì nella notte ovattata.
Strano come la neve ammorbidisca il mondo intero, tutto acquista un particolare fascino sotto la sua coltre, gli alberi, le strade, le dimore. Tutti amano la neve: i bambini giocano a rincorrersi confezionando pupazzi, gli innamorati passeggiano stringendosi l’uno all’altra. Tutti, eccetto lei. 
Nevicava quando mamma Luisa era spirata in una notte di dieci anni fa, la neve ricopriva i davanzali quando Antonio, suo padre, alzò per la prima volta le mani su di lei e i fiocchi ancora la avvolgevano quando Nicola esalò l’ultimo respiro tra le sue braccia dopo che il killer di nero vestito si fu posato sulla sua fronte, infestando ogni angolo del suo corpo, strappandole il compagno con cui voleva edificare il proprio futuro.
Anna cacciò il ricordo del giovane, i suoi occhi neri, i capelli scuri, il sorriso gentile; di lui non le restava altro che una fotografia sul tavolo, accanto alla Stella di Natale. Un’istantanea di due luminosi innamorati. 
Raggiunse il bidone dell’immondizia con il fiato corto, nelle orecchie le raccomandazioni del Dottor Miller. Attorno a lei, si susseguivano palazzi monocordi, gli alberi li intervallavano donando un triste rigore al quartiere. Sollevò il coperchio, gli occhi fissi sulla coltre che ricopriva il terreno ai suoi piedi. Fu in quel momento che un’ombra si disegnò sulla neve tingendola di grigio, una chiazza cinerea dai profili tremolanti. Il cuore accelerò i battiti, ma lei non si volse.
«Esprimi un desiderio.»
Anna non si mosse, non osava scoprire a chi apparteneva la voce alle sue spalle; poi il cuore ritrovò il suo ritmo regolare. Perché? A chi apparteneva quel timbro maschile distorto e irriconoscibile?
Chiuse gli occhi, cullata dalla strana sensazione. Di desideri, non ne possedeva, nonostante i suoi diciannove anni. Forse un libro, un buon libro, l’unico compagno in grado di spegnere il frastuono del rimpianto. Uno di quei romanzi ottocenteschi dove le signorine bennate indossano morbide mussoline, ventagli a schermare il viso e ombrellini per ripararsi dal sole. Un’ambientazione inglese, magari in una tenuta signorile dove non ci sono padri-padroni che alzano le mani sulle figlie, dove il più grande cruccio del giorno è quale ricamo confezionare in attesa della cena e quanto belletto mettere sulle guance.

Anna aprì gli occhi sentendosi ridicola, lì al freddo, a fantasticare su libri che non avrebbe mai letto, in compagnia di uno sconosciuto che, quasi certamente, l’avrebbe aggredita. 
La voce alle sue spalle si alzò di nuovo: «Signorina vi prenderete un brutto raffreddore, qui fuori.» 
Il timbro spiccatamente femminile e la gentilezza dei toni indussero Anna a voltarsi.
Si ritrovò a fissare una ragazzina, non poteva avere più di dodici-tredici anni: i capelli castigati sulla nuca, una mantella ad avvolgerle le spalle e un grembiule immacolato che le fasciava il grembo, celando una gonna anonima.
Anna osservò l’orlo dell’insolita sottana sfiorarne un’altra: la propria! Seguì con gli occhi la gonna di mussola bianca che le scendeva morbida dai fianchi, l’abito era in stile impero con la vita alta. Le maniche corte impreziosite da ricami avorio erano corredate da lunghi guanti bianchi che salivano oltre il gomito. Fu in quell’istante che avvertì una morsa comprimerle lo sterno, il fiato stentava a uscire imprigionato in un bustino celato dalla stoffa ricamata. La scollatura generosa rivelava la curva dei seni e un cammeo era appuntato sul collo a racchiudere uno scialle color avorio che le avvolgeva le spalle infreddolite.
Alzò gli occhi con la bocca spalancata, quando la visuale la immobilizzò. Davanti a lei, in fondo al sentiero su cui sostavano, si profilava una tenuta bianca come il latte. Le finestre ad arco si susseguivano metodiche. Il tetto era piatto con due camini ai margini in spiccato stile georgiano. Una balconata occupava il centro della facciata, rigorosamente in ferro battuto come il cancello che recintava la proprietà.
«Venite Signorina. Gli ospiti vi stanno aspettando» esclamò la domestica.
Anna la seguì, le scarpe di seta affondavano nella neve mentre raggiungeva l’ingresso costituito da una porta nera incorniciata da un paio di colonne bianche. Il suono degli archi giungeva alle sue orecchie mentre spalancavano l’uscio e si ritrovavano in un’anticamera dominata da un’alta scalinata. Alla sua destra, un salone illuminato rivelava un insieme omogeneo di uomini e donne. Il pavimento era un intrico di sete e mussoline dai tenui colori che contrastavano con il rosso dei tendaggi.
«Esprimi un desiderio» una frase e una voce che le riecheggiavano nella testa e, ora, anche alle sue spalle. 
Anna si volse e si ritrovò a fissare un uomo che indossava una maschera bianca impreziosita da applicazioni luminose ai lati, gli occhi di un nero corvino la fissavano, immobili. L'individuo aveva spalle larghe e capelli scuri, indossava una giacca a coda, una cravatta arzigogolata fioriva sullo sterno e i pantaloni attillati erano infilati in stivali lucidi che gli arrivavano al ginocchio.
Anna non riusciva smettere di fissare quegli occhi enigmatici, si sentiva irrimediabilmente attirata da quelle iridi buie, come sballottata alla deriva su una zattera preda di onde impetuose. 
«Siete silenziosa, questa sera» le disse.
Un sogno, un bizzarro sogno. Non c’era altra spiegazione a quella tanto assurda quanto irresistibile condizione. Forse si era addormentata sul tavolo della cucina, accanto alla Stella di Natale che i tendaggi della tenuta le rammentavano.
«Venite, qui c’è troppa confusione.» La guidò nella stanza adiacente. 
Un pianoforte a coda dominava l’ambiente, un paio di sedie erano addossate alle pareti e alcuni candelabri rischiaravano la stanza. 
Lui allungò una mano nella sua direzione: «Voelte concedermi un ballo prima della cena?»
Anna si ritrovò a stringere il palmo dell’uomo e un formicolio le penetrò nelle ossa. Un riflesso che s’irradiò in ogni suo poro, mentre il torace dell’uomo sfiorava il bustino ricamato e il cuore iniziava a battere indiavolato. Una melodia sottile giunse alle sue orecchie ed eccola stretta tra le sue braccia, la maschera sempre a celare buona parte del viso, i polpastrelli che producevano un piacevole calore sulla vita. 
Anna volteggiava nella stanza, una mano a sollevare la gonna ingombrante e l’altra ad aggrapparsi allo sconosciuto. Una brezza leggera le carezzava i capelli racchiusi in un’elaborata acconciatura, teneva la testa lievemente reclinata all’indietro e si lasciava condurre dall’accompagnatore. Felice, istintivamente felice. Nessuna preoccupazione ad adombrarla, nessun cruccio in quella stanza. Solo lei e la musica, solo lei e le ombre dei loro corpi che danzavano sulle pareti.
«Esprimi un desiderio» il sussurro giunse al suo orecchio trasportato da un fiato caldo che s’infranse contro le labbra dischiuse.
Anna aprì gli occhi, fissandolo intensamente, priva di remore. Le labbra a meno di un soffio, i respiri che danzavano su note affilate. «Nicola. Rivoglio Nicola.» Una nome e un ricordo che le riempiva occhi e cuore.
Lui sorrise, un‘incurvatura che racchiudeva un mistero inesplicabile. Annuì. La musica cessò all’improvviso e le labbra del giovane schiusero le sue, un incontro di lingue e fiati, di respiri e vissuti. Il freddo penetrò nella stanza avviluppandole il corpo, addormentando i sensi.

La mussolina bianca si confondeva con la neve che precipitava sul viso di Anna, rendendole omaggio con la sua fredda carezza. Due braccia la sollevarono delicatamente da terra  e, come un’alcova, la ripararono dal freddo, ma lei non poteva percepirlo. La vita era evaporata dal suo corpo assieme all'infelicità.
Antonio era in fondo al vicolo quando li vide allontanarsi nella notte: un ragazzo che sorreggeva una ragazza addormentata tra le braccia, mentre fiocchi candidi tracciavano per loro un sentiero che sembrava sfavillare. L’alcool in circolo gli annebbiò la vista mentre travolgeva con il proprio corpo il bidone dell’immondizia, il piede incauto che seppelliva una maschera tra la neve. Raggiunse l’abitazione, chiudendosi l’uscio alle spalle.
«Anna!» chiamò ma della figlia nessuna risposta. 
Antonio si lasciò cadere sul divano. Qualche minuto e si appisolò con la mano intorpidita che ancora reggeva la bottiglia vuota e le immagini mute della televisione che creavano luci e ombre sulle nocche arrossate.
Il silenzio calò nella stanza, inframmezzato dal ritmico ronfare dell’uomo. Sul tavolo, una Stella di Natale a colorare l’ambiente, i petali a coppa che sfioravano una cornice che immortalava due volti sorridenti: i capelli scuri di Nicola sfiorano quelli di Anna, gli occhi neri sono affondati in quelli di lei, le tiene una mano sulle spalle, l’altra è abbandonata lungo il fianco e stringe una maschera candida come la neve ai loro piedi. 

                                                          Racconto inserito nel Contest "Christmas in Love2 del blog 'La mia biblioteca romantica'.

                                                                Inedito pubblicato sul sito SCRITTORI EMERGENTI e ALI DI CARTA

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