Neve. Una pioggia di farfalle ghiacciate inzuppa le strade, ammantandole di una scia di bianco vestita. Il silenzio è una componente essenziale della neve, ho sempre adorato passeggiare per le vie ricoperte da questa coltre impalpabile e ovattata. Una pacifica atmosfera sembra avvolgere case e persone quando nevica, ma non oggi.
Oggi questo silenzio mi stordisce. Dentro casa regna la quiete, una quiete assordante. Il soggiorno è illuminato dai raggi del sole che sembrano ancora più scintillanti riflettendosi sul manto ghiacciato che splende oltre il battente. Resto affacciata a contemplare l’alba di un giorno atipico, un giorno senza di te.
Nevicava il giorno in cui mi hai lasciato, nevicava la notte in cui ti ho tradito. Un verbo che mi rimbalza in cuore e mente, che mi smarrisce e mi precipita nella disperazione.
Assurdo come l’animo umano senta il bisogno di distruggere la felicità, di distruggere quello spiraglio di perfezione che con tanto sudore si edifica, mattone su mattone. Quasi si sentisse il bisogno di ritornare a prendere contatto con la realtà, quasi ci si sentisse in colpa, consapevoli che niente è per sempre e che tutto inevitabilmente ha una fine.
Era una notte silenziosa quando m’infilai nel letto di uno sconosciuto, concedendo un corpo agognante di calore e brivido. Ero una donna che aveva avuto tutto dalla vita, una carriera avviata, un matrimonio perfetto.
Forse succede sempre così. Quando tutto è perfetto, la minima inezia assume i connotati di una minuscola scheggia, All’inizio, è solo un’incrinatura nella corazza che, se trascurata, è destinata a espandersi sino a trasformarsi in evitabili frantumi.
Nevicava quando ti tradii, nevicava quando tornavi tardi la sera senza dare spiegazioni, quando ti assentavi per giornate intere, quando litigavi per un cassetto lasciato aperto, per il rubinetto che sgocciolava. Nevicava, sulla città e sul mio cuore, quando piccoli tarli mi tormentavano, quando tentavo di dare un senso alla tua rabbia, al tuo distacco, al tuo umore ballerino.
Il cuore di una donna è un rifugio d’insicurezze e gioie, di ossessioni e paure. E la spina della gelosia, quando punge, si conficca in profondità, imbrattando di gocce vermiglie quel briciolo di nivea sicurezza che credevamo indelebile.
Nevicava quando ti tradii e nevicava quando, in un letto di ospedale, mi confessasti una verità che neppure lontanamente osavo immaginare. Quando desti corpo e sostanza alle tue assenze, quando mi rivelasti la tua amante segreta di nero vestita, l’inseparabile compagna delle tue notti. Lei che si era ritagliato uno spazio tutto suo nel tuo corpo e ora pretendeva il resto. Non se ne sarebbe andata, non avrebbe desistito, non senza di te.
Nevica anche oggi mentre osservo il giardino di casa nostra e mi sembra di rivederci abbracciati, a rotolare nel parco sotto il sole del primo pomeriggio. Alle mie splle, l’orologio a cucù ticchetta ricordandomi il nostro viaggio a Parigi e la tua ossessione per quel tedioso aggeggio che hai voluto infilare nella valigia. Ogni arredo mi parla di noi. Ogni angolo di questo rifugio, il nostro angolo fuori dal mondo.
Poso una mano sul ventre arrotondato e un sorriso accoglie la lacrima che scorre sul mio viso, mentre mi domando se il frutto del nostro amore, della nostra ultima notte insieme, riuscirà a perdonare questa madre insicura. I fiocchi, là fuori, inzuppano il giardino e la mia anima. Resto alla finestra agognando questo miracolo che mi scalderà come un raggio di sole e, forse, riuscirà a sciogliere tutto il dolore che mi gela il cuore.
Oggi questo silenzio mi stordisce. Dentro casa regna la quiete, una quiete assordante. Il soggiorno è illuminato dai raggi del sole che sembrano ancora più scintillanti riflettendosi sul manto ghiacciato che splende oltre il battente. Resto affacciata a contemplare l’alba di un giorno atipico, un giorno senza di te.
Nevicava il giorno in cui mi hai lasciato, nevicava la notte in cui ti ho tradito. Un verbo che mi rimbalza in cuore e mente, che mi smarrisce e mi precipita nella disperazione.
Assurdo come l’animo umano senta il bisogno di distruggere la felicità, di distruggere quello spiraglio di perfezione che con tanto sudore si edifica, mattone su mattone. Quasi si sentisse il bisogno di ritornare a prendere contatto con la realtà, quasi ci si sentisse in colpa, consapevoli che niente è per sempre e che tutto inevitabilmente ha una fine.
Era una notte silenziosa quando m’infilai nel letto di uno sconosciuto, concedendo un corpo agognante di calore e brivido. Ero una donna che aveva avuto tutto dalla vita, una carriera avviata, un matrimonio perfetto.
Forse succede sempre così. Quando tutto è perfetto, la minima inezia assume i connotati di una minuscola scheggia, All’inizio, è solo un’incrinatura nella corazza che, se trascurata, è destinata a espandersi sino a trasformarsi in evitabili frantumi.
Nevicava quando ti tradii, nevicava quando tornavi tardi la sera senza dare spiegazioni, quando ti assentavi per giornate intere, quando litigavi per un cassetto lasciato aperto, per il rubinetto che sgocciolava. Nevicava, sulla città e sul mio cuore, quando piccoli tarli mi tormentavano, quando tentavo di dare un senso alla tua rabbia, al tuo distacco, al tuo umore ballerino.
Il cuore di una donna è un rifugio d’insicurezze e gioie, di ossessioni e paure. E la spina della gelosia, quando punge, si conficca in profondità, imbrattando di gocce vermiglie quel briciolo di nivea sicurezza che credevamo indelebile.
Nevicava quando ti tradii e nevicava quando, in un letto di ospedale, mi confessasti una verità che neppure lontanamente osavo immaginare. Quando desti corpo e sostanza alle tue assenze, quando mi rivelasti la tua amante segreta di nero vestita, l’inseparabile compagna delle tue notti. Lei che si era ritagliato uno spazio tutto suo nel tuo corpo e ora pretendeva il resto. Non se ne sarebbe andata, non avrebbe desistito, non senza di te.
Nevica anche oggi mentre osservo il giardino di casa nostra e mi sembra di rivederci abbracciati, a rotolare nel parco sotto il sole del primo pomeriggio. Alle mie splle, l’orologio a cucù ticchetta ricordandomi il nostro viaggio a Parigi e la tua ossessione per quel tedioso aggeggio che hai voluto infilare nella valigia. Ogni arredo mi parla di noi. Ogni angolo di questo rifugio, il nostro angolo fuori dal mondo.
Poso una mano sul ventre arrotondato e un sorriso accoglie la lacrima che scorre sul mio viso, mentre mi domando se il frutto del nostro amore, della nostra ultima notte insieme, riuscirà a perdonare questa madre insicura. I fiocchi, là fuori, inzuppano il giardino e la mia anima. Resto alla finestra agognando questo miracolo che mi scalderà come un raggio di sole e, forse, riuscirà a sciogliere tutto il dolore che mi gela il cuore.
(Finalista al Contest indetto da Butterfly Edizioni 'Nora e il bacio di Giuda')
Inedito, pubblicato sui siti SCRITTORI EMERGENTI e ALI DI CARTA
Nessun commento:
Posta un commento