lunedì 10 settembre 2018

INTERVISTA A WILLIAM BAVONE


Ciao William, benvenuto nel mio blog. Raccontaci qualcosa di te. 

Ciao e grazie per l’invito in questo salotto virtuale. Che dire… a giorni la mia carta d’identità farà suonare la trentaseiesima campana e di cose posso dire di averne realizzate nel mio piccolo. Laurea, lavoro, famiglia e, da sette mesi, un figlio, posso dirmi felice. Penso spesso al fatto di esser partito da un paese di quattromila abitanti della provincia di Lecce a diciotto anni, per poi pian piano risalire l’Italia fino a stabilirmi (oggi) a Parma. Un percorso ricco di sfide spesso cercate, ma che non si fraintenda: a volte si perde anche, ma l’importante è rialzarsi e riprendere da dove si è smarrito l’equilibrio. Occorre esser tenaci, determinati anche nell’inseguire i propri sogni più lontani. Amo lo sport, la lettura ovviamente, ma tutto finisce in ogni caso con una continua ricerca di un nuovo punto limite delle proprie capacità. Diciamo che non mi accontento mai di me stesso e punto a migliorarmi continuamente. Cos’altro aggiungere? Mi piacciono i tatuaggi, però credo nell’importanza del simbolismo degli stessi e credo debbano essere espressione stessa della persona che li indossa e non una riproduzione casuale di immagini e icone.

Laureato in Economia e Commercio, ti occupi di organizzare fiere ed eventi. Quando si accende in te la scintilla della scrittura, e dove trovi il tempo per scrivere?

Non parlerei di scintilla, ma di impulso a comunicare. Da qui, poi, dobbiamo distinguere la saggistica dal romanzo, perché nel primo caso la comunicazione non può prescindere dal rigore dello studio e dell’imparzialità per non trascendere nel qualunquismo dell’opinionismo che, il più delle volte, cavalca mode e preconcetti inutili all’approfondimento. Nel caso del romanzo, invece, l’impulso a comunicare incontra la forma artistica della narrazione. Si dipinge un paesaggio ricco di colori e immagini ma che nella loro armonica convivenza (se ben fatti) hanno il fine ultimo di comunicare ben oltre l’estetica. Ovviamente credo anche non sia sempre così e credo che c’è chi scrive per dirsi “scrittore”, chi scrive per “vendere” e chi “scrive” credendo di farlo. In questi e altri casi non parliamo di arte, ma di progettazione fredda e priva di un’anima. Infine, c’è e serve il tempo che non è facile da trovare: a volte in pausa pranzo, a volte a tarda sera e a volte nel weekend. Occorre sacrificio ovviamente, perché scrivere non può essere un lavoro se non in condizioni particolari, ma ne vale ugualmente la pena, perché comunicare vuol dire condividere, per non parlare del benessere che provo io stesso a farlo. Il mio motto è: “scrivere: voce del verbo pensare”.

Hai una vocazione per l’America Latina. Parlacene.

Se ti riferisci soprattutto alla saggistica, nella quale mi occupo soprattutto di analizzare economia, politica del continente sudamericano... be', c’è poco da dire in realtà, perché è un’attrazione inspiegabile, quasi innata che mi appartiene. Amo il Sudamerica in modo profondo, tanto da sentirmi parte di quel continente stesso. Come vedi, è difficile da spiegare, ma è una certezza della mia vita. Il paradosso è che, mio malgrado, ancora non vi ho messo fisicamente piede, ma ho il tempo per poterlo fare. Per ora mi accontento del fatto che, chi è latinoamericano, riconosce in me un esperto e non un simpatizzante che vive nel limite europeo di una visione colonizzatore-colonia (e quindi di superiorità).

Tra le tante collaborazioni, ricordiamo Caffè Geopolitico e L’Indro. Recensisci sulla rivista LeggereTutti e collabori anche con la rivista Scenari Internazionali. Quali collaborazioni ti hanno motivato maggiormente? 

Di tutte, la collaborazione con LeggereTutti risponde alla passione per la lettura, quindi con loro ho la possibilità di leggere e recensire. Per il resto, invece, entriamo nell’approfondimento economico e politico delle relazioni internazionali. Quello che posso dire è che ho collaborato veramente con tante piattaforme web di approfondimento e riviste cartacee in Italia e Argentina, ma ciò che ho realmente apprezzato sono le esperienze in cui non c’era una linea editoriale da seguire. Credo che, se di analisi si tratta, nessuno possa sindacare quanto riportato, perché frutto di un’analisi vera e propria e non una traduzione, o un articolo giornalistico. Non può esistere una linea editoriale e, quindi, nessuno può imporre contenuti o taglio di un’analisi. Pertanto, posso rispondere che, delle tante collaborazioni, quelle che mi motivano maggiormente sono quelle in essere: Scenari Internazionali, Oltrefrontiera News, Geopolitica.info. Aggiungo anche la rivista annuale “Africana”, rivista fra i sedici periodici italiani consultati dall’«Index Islamicus» dell’Università di Cambridge. Per “Africana” ho scritto nel 2012 e nel 2017 (forse lo farò anche in questo 2018) e devo dire che è una collaborazione che dà lustro al mio lavoro d’analisi.

Nel 2012, esordisci con “Le Rivolte Gattopardiane”.  Perché un saggio?

Perché me lo han chiesto. Mi spiego. Nel 2010-2011, avevo appena iniziato a collaborare con una rivista web di analisi geopolitiche. Un piccolo editore mi chiese di scrivere un libro sul Sudamerica. Ovviamente accettai, ma erano gli anni delle Rivolte Arabe, e non potevo starmene in silenzio davanti all’assordante flusso di bugie proveniente da tv e giornali nazionali. La verità non piace mai e occorre spettacolarizzare ogni cosa, per direzionare il pensiero di chi ascolta senza permettergli di pensare. Volevo dire la verità di quelle rivolte, e la cosa migliore per farlo era scrivere. Ecco come nascono "Le Rivolte Gattopardiane". Ovviamente ogni promessa è un debito e, quindi, dopo 2 anni lo stesso editore ebbe da me "Sulle tracce di Simon Bolivar", il libro che più amo e che raccoglie tre anni di studio e sacrificio dedicato al Sudamerica.

Con questo testo, ti aggiudichi il Premio Nabokov come miglior saggio edito. I concorsi aiutano l’autore a farsi conoscere?

Per i romanzi ancora non so come funziona ma, per la saggistica, il premio non fa altro che certificare ulteriormente la qualità del lavoro eseguito. Purtroppo, la saggistica ha una nicchia di lettori in Italia e, soprattutto, la saggistica geopolitica. Pertanto il premio ha un valore per l’opera stessa, ma non in diffusione. È la qualità a esser comprovata. Tutto qui. La cosa bella, e che rafforza ciò, è che il Nabokov lo ha vinto, nel 2014, un libro pubblicato nel 2012 e ciò non ha fatto altro che sottolinearne l’attualità del lavoro, nonostante gli anni trascorsi. Non è scontato per un saggio che parla di fatti in divenire. Oggi riguardandolo, posso sorridere, perché lo vedo ancora maledettamente attuale, visto che contiene le origini dell’ISIS.

Nel 2014, esce “Sulle tracce di Simòn Bolìvar”, cui segue “Appunti di geopolitica”. Dove nasce la tua ispirazione?

Come detto, "Sulle tracce si Simon Bolivar" era un lavoro dovuto, ma anche necessario a me stesso. La consacrazione di un percorso di studi personale non poteva che avvenire mediante un testo difficile, lungo, ma realmente completo. Ne sono soddisfatto per i suoi contenuti, e il sigillo di qualità a questo testo lo ha posto un docente argentino che, dopo averlo letto, lo ha definito un testo che non sembrava scritto da un europeo, ma da un sudamericano. Il miglior complimento, per chi intende portare avanti il proprio metodo e il proprio studio, senza influenze e libero da ogni preconcetto. "Appunti di geopolitica", invece, andava a portare in un unico testo quanto prodotto nel web dal 2011 al 2013. Un testo semplice nella sua composizione, ma indispensabile, perché mette nero su bianco congetture internazionali utili per studi futuri.


Nel 2017, pubblichi “Play” e “Sul declino della globalizzazione”. Quest’ultimo ottiene una  Menzione speciale al Premio Cerruglio. Cosa ricordi di questa esperienza?

Come detto, un premio per un saggio non è altro che un’attestazione di qualità e, in questo caso, "Sul declino della globalizzazione" è stato certificato da una giuria di alto livello tra giornalisti affermati e membri delle forze armate. Un testo, in vero, preceduto da un importante saggio “Eurosisma” (Castelvecchi Editore – 2016) e che precede una nuova esperienza per me: "Play", ovvero il primo romanzo. Un modo diverso di comunicare (la saggistica è diretta e priva di interpretazione per il lettore) ma affascinante, perché pretende capacità espressive e fantasiose superiori. Occorre narrare, creare una trama e, con questa, riuscire a comunicare ben oltre ciò che la storia è. Difficilissimo e bellissimo allo stesso tempo. E, in più, a me personalmente, richiede un equilibrismo continuo per tenere ben distinte le due tipologie di scrittura (saggistica e romanzo), per evitare che l’una distrugga l’altra e viceversa. Come ho detto di recente a un mio lettore, posso riassumere la mia persona nel seguente modo: Dr. Jekyll (saggista) e Mr. Hyde (romanziere) che convivono in Clark Kent (comune impiegato della vita di tutti i giorni).

Nel 2018, esce “Delirium - Papillon catalano e oro cileno”, scritto a quattro mani con Roberta Busacca. Cosa troveranno i lettori al suo interno?

L’assurdo della mente umana, sviscerato lungo un giallo da risolvere per i protagonisti di questa folle storia. I lettori troveranno i paradisi artificiali di Baudelaire, intrisi della schizzofrenia dei dialoghi dei film di Tarantino. Troveranno forse se stessi, o forse si perderanno in se stessi. Difficile a dirsi. Tuttavia, stilisticamente, troveranno (credo e spero) finalmente qualcosa di nuovo. Un testo molto particolare e così voluto sin dalla sua genesi, in cui i personaggi sfuggono al controllo dei propri creatori per prendere possesso del testo. Un testo difficile da portare avanti, anche perché predisposto per mantenere intatti i due stili differenti che collaboravano. Da una parte il mio e, dall’altro, quello dell’autrice Roberta Busacca ognuno con il suo personaggio da tenere a bada in un continuo botta e risposta via e-mail. Si tratta di un esercizio letterario nuovo e avvincente, ricco di improvvisazione e ispirazione, ma pur sempre saldo a una trama e a un filo paradossalmente logico, che conduce i suoi protagonisti fino all’epilogo di un mistero oscuro.


https://www.amazon.it/Delirium-Papillon-catalano-oro-cileno/dp/8897593933/ref=sr_1_1?s=books&ie=UTF8&qid=1535574660&sr=1-1&keywords=william+bavone+delirium


Qual è stato l’input per questo libro?

Volevo creare qualcosa di diverso da quanto avevo letto sino a quel momento. Il mio desiderio era di portare alla luce un qualcosa che, a fine lettura, portasse il lettore a chiudere il libro e guardarlo stranito, dicendo “ma cosa ho letto?” (ovviamente in senso positivo). Poi la seconda tappa è stata trovare qualcuno di altrettanto folle, quanto diverso da me, con il quale condividere il progetto. Roberta viene da un’altra esperienza a quattro mani, dal titolo "Vita Indocente" e, conoscendola anche di persona, aveva la giusta scintilla artistica e intellettuale per potermi seguire in quest’assurdo progetto. Il resto è nelle pagine di "Delirium" che, mi auguro, possa catturare e travolgere i lettori di questa intervista.

Questo testo è stato scritto a quattro mani. Com’è stata questa esperienza? La replicheresti?

L’esperienza, per come strutturata, è andata benissimo. Grazie a Roberta, sono riuscito a far nascere "Papillon catalano e oro cileno", ma ancor di più "Delirium", ovvero un cappello matto sotto il quale far confluire nuove storie, di cui "Papillon catalano e oro cileno" non è che un primo capitolo. Diciamo che è nata una collana, forse, dove i personaggi del primo capitolo potranno avere vita propria, o ritrovarsi. Nessuno può dire con esattezza cosa accadrà in futuro. Per ora, di certo c’è che "Papillon catalano e oro cileno" è in libreria e che due altri volumi, con ogni probabilità, lo seguiranno nei prossimi due anni. Ma il come, il chi e il quando sono temi prematuri da trattare…

Nell’epoca del self-publishing, qual è il tuo pensiero al riguardo?

Sarò sincero: sono scettico, perché ritengo l’editore (non l’editore a pagamento) un attestato di qualità all’opera. Ho anche acquistato prodotti in self-publishing, ma la qualità del cartaceo la ritengo pessima. Non bisogna pubblicare giusto per farlo a mio avviso e, se si viene rifiutati, c’è un motivo che a volte non vogliamo accettare. Lo dice uno che, di porte in faccia, ne ha avute, ma le ha usate anche per maturare la propria capacità di scrittura. Il fallimento deve rafforzare.
Poi, ovviamente, esiste la pubblicazione in e-book che supera la barriera della qualità del prodotto stampato ma, anche qui, resto scettico perché manca (a mio avviso) quella qualità che ancora pretendo mi garantisca un editore che si assume il rischio e investe in quel prodotto. Inoltre, sono un tradizionalista romantico, e il profumo di un libro fisico è insostituibile.

Progetti in cantiere?
 
Come detto, sto ultimando il secondo capitolo di "Delirium" che ho scritto in solitaria. Inoltre, ho stretto una collaborazione con un nuovo autore, per iniziare la stesura del terzo capitolo della stessa collana. Per la saggistica, invece, ho ripromesso un libro sul Sudamerica, e le promesse dalle mie parti si mantengono sempre…

È stato un piacere ospitarti nel mio blog. In bocca al lupo!

Grazie a te per l’ospitalità e buona lettura a tutti, qualunque essa sia.

Per seguire William  WILLIAM BAVONE - SAGGISTA/ANALISTA

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