lunedì 13 febbraio 2017

Le autrici EWWA - INTERVISTA A LAURA CIALE'



Ciao Laura, benvenuta nel mio blog. Raccontaci qualcosa di te.

Romana di Roma, quartiere San Giovanni in Laterano, quello della basilica, dei concertoni, delle manifestazioni, della festa delle streghe la notte del 24 giugno; ci vivo da sempre perché ci sono nata nel 1954, cuspide 21 dicembre, ma sono figlia degli anni ’70, periodo dell’università, del primo lavoro da insegnante, dei primi amori da adulta. Mai stata, però, una figlia dei fiori o del voto politico, anche se all’epoca partecipavo ai raduni femministi, invece impegnata nello studio con amore. Erano i tempi per me della libera espressione, dell’animazione teatrale, delle pantomime. Amo la lettura da quando ero bambina. A sette anni lessi tutto d’un fiato “Renard la Volpe”, preso dalla bibliotechina di classe. Mi venne la febbre a 39, però ne ricordo ancora la soddisfazione. MI piace viaggiare per conoscere, osservare, costruire idee, lo svago è al mare di fonte alle onde e sotto il calore del sole. Sposata con un uomo impagabile. Un mio peccato? Voglio essere leader ovunque mi trovi, forse dipenderà dall’attività professionale che ho svolto. Una virtù? La resilienza.

Sei psicologa-psicopedagogista iscritta all’albo, Cavaliere del lavoro, formatrice in corsi rivolti a docenti e presidi, e dirigente scolastico. Quando trovi il tempo per scrivere?

Ho lavorato per più di quarant’anni nella scuola, ora sono in pensione, cercando di coniugare i miei interessi culturali al servizio per le persone, immedesimandomi nelle istituzioni di cui facevo parte. Diciamo che non mi sono mai fermata negli studi e nella professione. Quando vinsi il concorso nazionale per Dirigente scolastico ero fra i più giovani in tutta l’Italia, infatti quando entrai in direzione per prendere servizio la segretaria della scuola di Bergamo mi disse che non era giorno di ricevimento dei supplenti. Avevo 31 anni, dopo già 10 di insegnamento. La formazione è stata sempre un mio cavallo di battaglia, a partire da me naturalmente. La scrittura mi ha consentito di comunicare soprattutto a livello professionale. Prima della pensione non avevo il tempo di dedicarmi anche alla narrativa, che ha rappresentato il filo conduttore della mia vita. Ora è motivo di riflessione e gusto, una forma di resilienza, come dicevo prima, che oltretutto mi ha permesso di superare alcuni momenti negativi anche di salute. Ciò non significa, però, che scriva romanzi per autoterapia. Tutt’altro. La narrazione è comunque un metodo qualitativo che associa le persone.

Hai curato parecchie opere di carattere professionale inerenti all’integrazione scolastica e al counseling, e hai diretto progetti relativi all’apprendimento della persona nella comunità sociale e professionale. Parlacene.

La cultura di rete, il fare tesoro delle risorse insite in ciascuno è la tensione verso obiettivi di cambiamento attraverso lo scambio di risorse perché ciascuno porta in sé capacità, conoscenze, competenze e creatività. Il senso dei progetti è questo. Soprattutto l’intervento a favore delle persone più deboli, disagi, disabilità, deprivazione culturale e sociale, promozione della lingua italiana e d’origine per i migranti, rende significativa l’offerta formativa ed esalta l’identità di ognuno nella valorizzazione delle potenzialità personali.  Molti i percorsi attivati, sulla qualità della formazione, sull’organizzazione della scuola, sulla multimedialità, sulla didattica per competenze, sulla crescita personale. La produzione scritta a carattere tecnico professionale si è sviluppata prevalentemente sulle tematiche realizzate attraverso i progetti in rete di cui sono stata animatrice e curatrice. Voglio citare soltanto uno degli ultimi lavori con la Questura di Roma, un cortometraggio realizzato e interpretato dai miei alunni - lasciatemi dire “Miei” perché li ho sempre amati tanto - che è diventato materiale per il progetto “Scuole sicure” rivolto alla prevenzione del bullismo e della dispersione scolastica.

Sei una profonda conoscitrice delle tematiche interculturali; ti sei occupata per anni di istruzione degli stranieri e hai diretto un centro territoriale per l’educazione degli adulti. Raccontaci qualcosa di più.

Questo è un mondo sconosciuto ai molti, perciò nella mia breve biografia ne ho voluto accennare. L’inclusione degli stranieri oggi è un grave problema che coinvolge l’opinione pubblica con posizioni avverse. Inutile dire, lo sappiamo. Io credo che attraverso i Centri di educazione e istruzione degli adulti stranieri- prima denominati CTP ed ora CPIA - che sono istituiti dallo Stato, totalmente gratuiti, e quindi fanno parte integrante del sistema istituzionale della formazione, si possano raggiungere obiettivi di integrazione e anche di miglioramento civile e culturale senza sopprimere i valori di cui ciascuno è portatore. I corsi di alfabetizzazione della lingua italiana, l’acquisizione dei titoli di studio, come la licenza media per gli adulti, la prossimità con i bisogni di lavoratori delle diverse etnie, dei profughi e dei rifugiati, delle donne a cui le culture di origine non consentono l’istruzione, permettono di far acquisire livelli di cittadinanza migliorati, implementati dalla formazione formale e non formale secondo il Quadro comune europeo. Mi riferisco in questo caso ad una didattica che tenga conto dei bisogni provenienti da lingue e generazioni diverse, agli affiancamenti maturi proposti da docenti che non salgono in cattedra ma che invece si prendono carico anche di gravi problematiche esistenziali, che facciano “scuola” sulla base delle esigenze orarie e sgombrino le paure di affacciarsi in un nuovo mondo. I Centri per gli adulti funzionano con orari modulari per tutto l’arco della giornata, rilasciano certificazioni anche internazionali, svolgono esami per conto del Ministero dell’Interno in collaborazione con il Ministero dell’istruzione per la convalida del permesso di soggiorno, trattandosi di tutti studenti non clandestini ovviamente.  Per chi di noi pensa che gli stranieri siano un pericolo immanente si può concludere che i Centri svolgano forse anche un controllo. Io non lo penso. Ho imparato moltissimo da loro.

Nel 2015 esordisci con il romanzo “Tutti i fiori del mio giardino”. Daccene un assaggio!

In ottobre pubblico in selfpublishing il mio primo romanzo “Tutti i fiori del mio giardino” che ripubblico in cartaceo con alcuni miglioramenti nell’aprile 2016 per Edizioni Anicia, Roma.
È un romanzo contemporaneo in cui racconta di relazioni interculturale, di temi sociali, di colpi di scena affrontati con fragilità dalla generazione postmoderna. La protagonista, Rosa, una trentenne semplice e riservata conduce un’esistenza opaca, abitudinaria, lontana dall’ebbrezza della movida odierna, nonostante abiti a Roma e nientemeno che a Piazza di Spagna. La sua unica passione sono le piante e i fiori. Ad un tratto la sua vita viene repentinamente travolta dall’incontro casuale con Pablo, giardiniere gitano. La scelta del passaggio dal grigiore di un ufficio all’Andalusia è immediata ma una serie di circostanze che si incrociano con le vicissitudini di altri personaggi coinvolti in un evento drammatico mettono a dura prova la loro realtà vitale già segnata dalla crudele ricerca della sopravvivenza. I sentimenti dei personaggi femminili costituiscono il filo conduttore della storia, soprattutto quando Rosa giunge alla scoperta che ognuno di essi possiede il nome di un fiore. Tutti i nomi del giardino di Pablo.

E nel 2017 pubblichi “Una donna in leasing”. Cosa troveranno i lettori al suo interno?

È un romanzo breve che offre spunti di riflessione sui ruoli maschili e femminili dell’epoca contemporanea in cui ciascuno, pur essendo protagonista e antagonista di se stesso, riesce ad arrivare all’orizzonte della coscienza attraverso faticosi percorsi di riflessione.
Il protagonista principale è Marcello Maffei, noto professionista romano, che si reca a San Pietroburgo nel ruolo di procacciatore d’affari per un’importante mediazione finanziaria che gli frutterà guadagni e successo. Già al suo arrivo, però, allo scopo di condizionarlo, i suoi committenti lo mettono di fronte al fatto compiuto: notti di sesso illimitato con Elena, una ventenne ucraina di rara bellezza, stella del porno e delle pratiche erotiche. Marcello rimane soggiogato non riuscendo a sottrarsi alla passione.
Quando torna in Italia è tormentato dal desiderio di Elena tanto da decidere di averla tutta per sé a qualsiasi costo tramite un losco figuro che funge da contatto con la malavita internazionale.
La donna che si troverà a fianco cambierà i suoi parametri di riferimento perchè Elena gli dimostrerà di non essere sua schiava bensì una donna dalla personalità complessa già minata da ricordi indelebili.
Quando Marcello si rende conto di essersi innamorato di lei credendo di essere ricambiato, i fantasmi del passato riaffiorano per una serie di incredibili coincidenze: la storia pregressa di Elena riprende forma in modo drammatico fino ad un epilogo sorprendente.
Soltanto la costante presenza dell’onesto e fidato Nassor, il maggiordomo che fa da filo conduttore a tutte le vicende, ricomporrà con la forza di un mentore il tessuto di vita e le consapevolezze di ciascun personaggio.



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Quali tematiche affronti e quale messaggio vuoi trasmettere?

Sicuramente il confronto uomo–donna e il rapporto povertà-ricchezza, non soltanto di ordine materiale.
Affronto con una narrazione veloce e non pesante il bisogno intrinseco in ciascuno di amare e di essere amato al di là di qualsiasi tipo di affermazione esteriore o dettata da parametri economici. 
In “Una donna in leasing” il protagonismo maschilista dell’uomo di affari contemporaneo che non sa sottrarsi all’ambizione e al possesso può mutare grazie alla solidità affettiva solo quando riconosce in se stesso e negli altri, soprattutto nel ruolo femminile, le caratteristiche della persona.

Qual è stato l’input per questo romanzo?

Una parte della storia è vera o almeno da me isolata nei contesti di riferimento attraverso l’osservazione di situazioni e la conversazione con alcune persone concrete che poi sono diventate i personaggi e i luoghi di ambientazione. Il soggetto in sé è fonte di costruzione di raccordi tra fantasia e realtà.

Sei membro dell’Associazione EWWA. Di cosa si occupa nello specifico e la consiglieresti alle tue colleghe?

EWWA, European Writing Women Association, è una rete associativa di donne scrittrici che ho conosciuto per puro caso alla presentazione di un libro di due delle fondatrici, Elisabetta Flumeri e Gabriella Giacometti. Sono state loro a farmi risorgere la voglia di scrivere narrativa anche attraverso la frequentazione del sito web www.ewwa.org, e la partecipazione ai workshop sulle tematiche della scrittura creativa e dei canali editoriali. La consiglio a tutte le amiche che amino i libri, che siano o non siano scrittrici professioniste.

Hai qualche progetto in cantiere?

Sì, certo, sono alla mia terza fatica, ma scherzo è un piacere invece. Sto terminando un terzo romanzo che spero vedrà la luce entro la fine dell’anno. È più corposo e complesso perché si svolge in due periodi diversi, il dopoguerra e quello attuale. Sto studiando molto per documentarmi oltre a scrivere, però per ora non voglio aggiungere altro, altrimenti che sorpresa sarebbe?

È stato un piacere ospitarti nel mio blog. In bocca la lupo!

Grazie per l’intervista.

Per seguire Laura  LAURA CIALE'

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