domenica 3 gennaio 2016

Racconto - LA CANDELA

 
Le luci della sera illuminano la via ormai deserta, i passanti si affrettano verso le loro abitazioni, desiderosi di ripararsi dal freddo dell'inverno, desiderosi di rispettare il coprifuoco.
Solo una ragazza continua a passeggiare a testa china, incurante del gelo e del pericolo a cui é esposta.Transita tranquillamente per le vie, quasi ignara della guerra che imperversa in quel triste anno del 1943.
Ancora qualche metro e lo raggiungerà, davanti agli occhi il loro primo incontro.

Mara si era trattenuta troppo a lungo dall'amica d’infanzia e l'orologio segnava già le 22 di una serata buia.
Lo aveva incontrato a pochi metri dalla porta di casa; ricordava ancora la paura nel riconoscere la svastica cucita sulla manica della divisa.
Con la mano destra, tentò di nascondere l'orrida stella gialla e poi accadde qualcosa d'inaspettato: lui sorrise, chiedendole il suo nome, gli occhi gentili.
Mara abbassò lo sguardo e gli rispose. Iniziò così: lui che l'aspettava sotto casa, lei che si attardava, sperando di rivederlo.
Un amore sbocciato sotto un tramonto angusto. Un amore silenzioso, nascosto, proibito. "Malato" secondo le leggi che vigevano.

Quella sera, l'aria era più fredda del solito. Lo aveva aspettato fino all'ultimo e, non vedendolo arrivare, si era diretta al suo appartamento.
Salì la rampa di scale e bussò contro il battente consumato. Appena qualche istante e l'uscio si aprì, rivelando una donna dai lunghi capelli biondi: indossava un grembiule stretto in vita e, tra le mani, reggeva un cucchiaio di legno imbrattato di pomodoro.
Mara sentì la gola farsi arida, mentre i ricordi si susseguivano nella sua mente: i pomeriggi trascorsi con Franz nel parco, i loro baci intensi e appassionati, le sue mani sul proprio corpo innocente.
Una vertigine la colse e, incespicando con le parole, fuggì.
Correva a rotta di collo, la vista appannata dalle lacrime irruenti. Non udì le grida di Franz alle sue spalle che la imploravano di non fuggire, di non tornare a casa.
Mara lo considerò un'inutile, vano tentativo di circuirla ancora una volta. Non poteva certo immaginare...
Le condizioni dell'appartamento erano disastrose quando rientrò: il soggiorno deserto, i mobili rovesciati e i letti violati. Nessuna traccia dei genitori e dei fratelli, svaniti in quella serata aliena, fredda, agghiacciante.
Mara non riusciva a trovare la forza di muoversi, se ne stava addossata allo stipite con l'uscio ancora spalancato. Il senso di colpa che la dominava per aver amato un nemico, quello stesso nemico che aveva preso i suoi cari, precipitandola nello sconforto. Una traditrice, ecco come si sentiva nei confronti dei famigliari e del suo stesso popolo!
Fu proprio in quell'istante che avvertì la sua presenza. Si voltò di scatto e lui era lì, dietro di lei: bello e maledetto.
In un primo momento, Mara si abbandonò tra le sue braccia, disperata, per poi allontanarlo con uno schiaffo repentino, urlandogli in faccia tutto il proprio disprezzo.
La zittì con un bacio, lungo, sincero, raccontandole di Ana, l'altra donna. Di un legame che si trascinava da anni e del profondo sentimento che lo legava a lei: poco più di una ragazzina, una ragazzina ebrea.
- Se ti succedesse qualcosa, Mara, ne morirei, lo capisci?
E lei comprese, guardò quei suoi occhi lucidi e disperati e si arrese. Si lasciò avvolgere dalle sue forti braccia, dimentica della donna con il grembiule, della guerra, persino dei propri famigliari. Rinnegò tutto, anche se stessa.
Non fu che l'inizio di un capitolo doloroso è già segnato.

Trascorse una sola settimana, prima che i nazisti la trovassero e la trascinassero nei campi di lavoro. Non so dire cosa dovette affrontare, ma so che mio padre tentò il tutto pur di salvarla. Unica concessione: crescere il figlio che lei portava in grembo.
Quando Mara mi depose tra le braccia di Franz, sapeva quale sarebbe stato il suo destino, sapeva che sarebbe morta, ma non lo diede a vedere. Non permise alla guerra di rovinarle anche quell'ultimo istante.
L'unica cosa che mi resta di lei é questa candela, non se ne separò mai durante quei mesi di maltrattamenti e umiliazioni. La conservo gelosamente, assieme al suo ricordo, e non mento quando affermo che vorrei non essere mai nato, se questo le avesse consentito di vivere più a lungo.

Nessun commento:

Posta un commento