lunedì 3 ottobre 2016

INTERVISTA A JEAN-CHRISTOPHE CASALINI



Ciao Jean-Christophe, benvenuto nel mio blog. Raccontaci qualcosa di te.

Ciao a tutti. 
Chi è Jean-Christophe Casalini? Un’anima atterrata a Milano nel 1962, a cui è stata data un nome ed un cognome da due amorevoli genitori, un papà Francese ed una mamma Danese. L’anno successivo ho avuto il piacere della compagnia di mio fratello, splendida persona, con cui oggi gestisco una Casa di Produzione cinematografica, specializzata in spot pubblicitari nazionali; sì, quelli che interrompono il vostro film sempre sul più bello e vi invitano al consumismo. A parte un breve periodo in Valsesia, quando i miei avevano deciso di trasferirsi lontano dalla metropoli, ho sempre vissuto a Milano. Oggi, mi sono spostato nell’hinterland milanese per essere in contatto con la natura; amo il giardinaggio e le corse all’aperto. Mi piace viaggiare perché oltre ad avere parenti sparsi per tutta l’Europa, mi considero un Cittadino del Mondo. Mi sono sposato con una bella Siciliana, Nadia, con cui ho avuto due figli meravigliosi, Michael e Jolie. A riprova del mio codice genetico complesso, uno è nato rosso con gli occhi azzurri e, l’altra, castana con gli occhi verdi.

Sei scenografo, co-sceneggiatore e attore. Possiamo dichiarare che l’arte è nel tuo dna?

Da sempre, ho avuto l’esigenza di provare ogni forma artistica. Questa curiosità innata mi ha portato ad essere disegnatore, scenografo, sceneggiatore, attore, aiuto regista poi regista, musicista, paroliere, produttore musicale, sound designer, post produttore, produttore multimediale e, oggi, scrittore. Ritengo tutte le mie esperienze le conseguenze di una passione per l’Arte, intesa come forma di comunicazione. Essere cresciuti in un contesto familiare artistico è stato certamente stimolante. 
Mio padre, Paul Casalini, era un noto regista pubblicitario e mia madre, Annette Lorentzen, una pittrice. Il carattere estroverso dell’uno si completava splendidamente nell’introversione dell’altra. Grazie a loro ho potuto cogliere gli estremi comunicativi dell’esuberanza e del silenzio fino a farmi apprezzare gli equilibri che nascono tra forze contrapposte.

Sei stato il primo a intuire la rivoluzione digitale acustica e hai fondato la “Mach 2”, una società di post produzione e servizi audio; successivamente sei stato coinvolto da Salvatores nel suo film ‘Sud’ e, in seguito, ottieni la menzione di ‘Sound Designer’. Cosa ricordi di questa esperienza?

Era il 1993. Ricordo di aver dovuto lottare contro i pregiudizi dei professionisti del settore legati alle vecchie tecnologie. È la solita diffidenza che un giovane si trova a dover affrontare contro una mediocrità che rifiuta ogni innovazione. Ho utilizzato per primo in Italia i sistemi informatici e digitali sincronizzandoli con il video. Sono stato contattato dal montatore video M. Fiocchi e da Salvatores che si apprestava a dirigere "Sud". 
Mi hanno coinvolto, da Milano, nel montaggio audio della presa diretta ripresa dal fonico durante il set, nella cura dei vari masters musicali realizzati da vari compositori italiani e nella sonorizzazione degli effetti sonori. Il tutto doveva essere poi trasferito a Roma per il mix finale dove si utilizzavano ancora i nastrini e le bande magnetiche su pellicola. Il rischio di vanificare tutto il lavoro era altissimo. Ho preteso di coordinare tutti i professionisti dell’audio, dal fonico della presa diretta ai musicisti e ai tecnici audio per assicurare alla produzione - allora era la Cecchi Gori - una colonna sonora cristallina, di grande impatto emotivo, la prima in Italia in quadrifonia, ai tempi codificata Dolby. Dopo tre mesi di lavoro maniacale con i miei tecnici in Mach 2, abbiamo portato il computer con le schede audio a Roma per collegarlo con il banco mix analogico e interfacciarlo ai registratori magnetici su perforato. Mi guardavano tutti come fossi un extra terrestre. Non credevano alle loro orecchie! È stata una vera rivoluzione acustica. 
Ho valorizzato il lavoro di tutti, parlo dei talenti tra cui R. Pampaloni (mix Dolby), F. De Robertis (musicista), T. Morganti (fonico presa diretta) e F. Savina (responsabile Dolby) perché avevano molto da insegnarmi, come io a loro. 
È stata una esperienza positiva per tutti che ha portato al film "Sud" il premio Donatello per il suono.  La statuina in Italia è assegnata, da sempre per ignoranza acustica e per retaggio di una vecchia scuola di pensiero produttivo, solo al fonico della presa diretta, ma è corretto affermare che il merito è di tutti i tecnici audio coinvolti e dell’ingegnere al mix, coordinati, come nel mio caso, da un responsabile audio creativo: il Sound Designer.

Nel 1996 collabori al film "Nirvana" e prosegui sonorizzando una decina di film sino a diventare produttore pubblicitario di spot nazionali. Parlacene.

Successivamente, con "Nirvana" (1996) ho proposto a Salvatores una colonna in 5.1, la prima in Italia, anche questa vincitrice del Premio Donatello per il suono. Dopo una decina di film sonorizzati, editati e mixati, alle musiche composte, orchestrate e prodotte, ed oltre ai dodicimila masters audio pubblicitari realizzati con i miei tecnici per la tv, il web, la radio e il cinema, ero arrivato ad un punto in cui sentivo di aver provato di tutto nel campo acustico. Forse c’era ancora spazio di movimento, ma i progetti che ritenevo stimolanti diventavano sempre meno; ero caduto nella trappola della routine dei servizi richiesti. Prima di cadere nella ripetitività e nella monotonia, benché fossi pagato profumatamente per il mio lavoro di Fonico, di Musicista e Sound Designer, ho ritenuto di dover cambiare strada. È stato più forte di me. Mi sono proposto come produttore pubblicitario, forse nel momento più sbagliato perché il settore era fortemente in crisi, ma dovevo mettermi alla prova con la multidimensionalità delle arti coinvolte, dalla pre produzione al set e alla post produzione, come fossero l’interazione in simultanea delle mie esperienze precedenti per portarmi ad un livello di piacere superiore.

Nel 2014 esordisci con il libro "Inventory of Dreams", scritto a quattro mani con il curatore Alan Jones. Di cosa si tratta?

Mia madre, Annette, non ha mai esposto i suoi quadri durante la sua vita. Sia io che mio fratello avevamo sempre pensato che fosse per la sua timidezza cronica. Abbiamo scoperto con Alan Jones, curatore internazionale, che non era così. 
Quando gli abbiamo parlato del progetto, presentato poi con successo alla Regione Lombardia, egli ha preteso di vedere tutte insieme le 130 tele, oltre ai 3000 disegni che abbiamo scovato dopo la morte di nostra madre. È stata una vera sorpresa scoprire che la sequenza dei quadri, dal significato diverso per ogni tema affrontato, rivelava nell’insieme un dialogo continuo ed evolutivo con i propri figli, cioè io e mio fratello. Le sue parole erano nelle pennellate che posava con maestria sulle tele che esponeva sulle pareti di casa. La produzione delle sue opere inizia nel 1967 con le fiabe (quando noi eravamo bambini) e si sviluppa tra le allegorie, le emozioni, i sogni e gli incubi fino alla consapevolezza del sé (durante la nostra maturità). Smette di dipingere nel 1983 quando io e mio fratello intraprendiamo le nostre carriere professionali e lasciamo la casa di famiglia in Valsesia. Riprende poi nel 1999, questa volta con una visione esteriore come fosse una soggettiva delle sue montagne, e dunque non più introspettiva, svelandoci la chiave della felicità nell’accettazione del circostante. 
Il libro "Inventory of Dreams 1" è stato realizzato in occasione della mostra al Palazzo della Regione durante l’Expo, patrocinata dall’Ambasciata Danese.

Nel 2015, esce il sequel di "Inventory of Dreams" dal titolo  "La città di Annette", daccene un assaggio.

Dopo il successo di Milano, la mostra è stata ospitata al Centro Culturale Austriaco-Danese e si è spostata nel 2015 al Museo di Holbaek in Danimarca, la città natale di Annette. Per l’occasione abbiamo realizzato il secondo libro di "Inventory of Dreams" con Alan Jones e Vanni Cuoghi, noto artista italiano, rimasto anche lui folgorato dall’arte di Annette. Il libro è stato tradotto in danese ed in inglese.

Nello stesso anno, esce il romanzo “OTTO Luce e Ombra”. Cosa troveranno i lettori al suoi interno?

"OTTO Luce e Ombra" non è un libro semplice, benché complesso e scorrevole allo stesso tempo. È un’opera coraggiosa, non convenzionale; contro ogni logica narrativa, porto il lettore ad odiare il personaggio principale lungo la storia. Lo smarrimento è tale che il lettore si ritrova a comprendere la psicologia di Otto,  un mago illusionista e mentalista, attraverso gli ‘occhi’ di Anna, la sua compagna plagiata ed umiliata. Il genere è gotico, demoniaco, violento. Lo definirei un thriller psicologico, ma per chi ha voglia di comprendere una seconda chiave di lettura, scoprirà che mi sono divertito a scomporre il personaggio in varie entità che possiamo identificare in ognuno di noi. Nel caso di Otto, ognuna delle entità ha le proprie peculiarità, i pregi e i difetti esasperati nelle loro presenze e nelle loro assenze sceniche dell’illusione, per essere imprigionate in una situazione drammatica di un successo planetario, fortemente voluto sin dall’inizio.


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Qual è stato l’input per questo libro?

Molte volte ci guardiamo allo specchio per curare il proprio aspetto e studiarci. Siamo tutti narcisisti, chi più chi meno. Di fronte alla mia immagine non ho potuto fare a meno di pensare al percorso della luce che nel colpire il mio fisico, restituisce allo specchio la parte luminosa non assorbita dal mio corpo. Di conseguenza, l’immagine che noi cogliamo allo specchio è esattamente il contrario di ciò che siamo in realtà. Mi sono chiesto se oltre alla luce, lo specchio riflettesse l’opposto delle nostre personalità. Di fronte a noi, avremmo un essere dal carattere contrario al nostro: la bontà dell’uno sarebbe la crudeltà dell’altro, la positività si tramuterebbe in negatività, mentre il carisma, il fascino e la seduzione del primo, diventerebbero repulsione, e così via… Da qui l’idea del romanzo.

Quali tematiche affronti e quale messaggio vuoi trasmettere?

Invito tutti a restare integri e coerenti con il nostro agire per non perdere il controllo della nostra immagine, che essendo fatta di luce, può creare più danno di quanto si possa credere in un mondo dove l’apparenza conta più della sostanza. Oggi la nostra privacy è messa in pericolo dalla veicolazione in rete della nostra immagine, intesa come dati visivi sulla nostra persona, sulla nostra quotidianità, sui nostri affetti. Perderne il controllo significa distruggerci. Siamo esseri che hanno bisogno di una reciproca fiducia per relazionarsi con l’altro. Basta un click per distruggere la propria serenità, se non addirittura una reputazione ed una vita se offriamo aspetti privati e personali sui socials ad individui scaltri o dediti al bullismo. Gli esempi sono tanti; non posso fare a meno di pensare alla recente vicenda del contributo erotico divulgato in rete, dunque non più cancellabile, che ha portato al suicidio una giovane donna umiliata.

Il tuo romanzo partecipa al concorso ‘International Literary Award Città di Cattolica 2016’ e vince il Premio della Giuria. Raccontaci le tue emozioni.

All’annuncio del riconoscimento, mi sono emozionato non tanto per il premio – chi mi conosce, sa bene che non cerco mai l’approvazione degli altri – ma perché in quel momento avevo capito di essere riuscito a fare centro con un’opera prima. Il libro ha suscitato l’interesse della Giuria di Cattolica al Literary Award per il suspence portato fino al suo estremo nella ricerca della verità su Otto da parte dei vari protagonisti, e per i dialoghi a volte profondi su tematiche filosofiche della nostra esistenza e sull’illusione della luce. Hanno suscitato interesse anche le interruzioni della narrazione, attraverso dei flashback che hanno la stessa invadenza degli spot televisivi  in un programma, che in questo caso consentono al lettore di riprendere fiato e di comprendere il perché la coprotagonista, Anna, sia arrivata ad amare un uomo e a doverne sopportare l’arroganza ed una violenza crescente.

Hai qualche altro progetto in cantiere?

In queste settimane sto terminando il mio secondo libro insieme a Maddalena Ercoles (editor) e Philippe Martin (regista francese) che ha mostrato interesse per un’eventuale sceneggiatura. 
L’obiettivo è quello di chiudere la versione definitiva entro la fine dell’anno per proporla ad un Editore strutturato. È un romanzo fantascientifico, drammatico, distopico, in cui il personaggio, oltre ad evolversi, affronta da solo il Potere. I riferimenti di un Davide contro Golia sono inevitabili. Come per il primo romanzo, mi sono avvalso della collaborazione di esperti in varie discipline, in questo caso ho coinvolto degli esperti finanziari e brokers di borsa per descrivere un probabile scenario economico dove l’avidità del Male ha la meglio sull’umanità.

Ho in cantiere anche il terzo romanzo, un horror che prevedo di terminare nella sua prima stesura per la fine del 2017 e procedere con la definizione nei primi mesi del 2018.

È stato un piacere ospitarti nel mio blog. In bocca al lupo per tutto!

 Grazie a te per l’ospitalità.



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